La ricerca definirà il lessico del potere, della povertà e della ricchezza sia nell’uso letterario sia nell’uso documentario. Verranno ricercati i modelli letterari e il loro riuso dal VI al XVI secolo mettendo a confronto varie aree del mondo bizantino e del mondo carolingio in contatto con il mondo bizantino. L'analisi della società compiuta dal pensiero politico e sociale bizantino evidenzia la ingiustizia sociale nella distribuzione delle ricchezze, come vediamo dal dialogo sulla scienza politica, già attribuito a Pietro Patrizio (550-565 floruit) (V, 10); ma soprattutto in un testo di lunga durata nel pensiero politico bizantino la Esposizione di capitoli parenetici del diacono Agapeto del 527, che al cap. 16 pone fra i compiti del basileus la promozione della giustizia distributiva: ricchezza e povertà sono malattie opposte, vanno curate con il rimedio della sottrazione e della addizione, cioè con un programma populistico di tasse e di spese, nella direzione della isotes, la eguaglianza, il mito tardo-ellenistico ancora da realizzare. Il codice di Leone III e di Costantino V, Eklogè ton nòmon, pubblicato il 31 marzo 726, individua nella opposizione povero, agiato, ricco il fondamento del diritto penale; mentre fra le "vessazioni" dell'imperatore Niceforo I (802-811) rientra l'arruolamento coatto dei "poveri", facendo gravare sugli homòchoroi il loro equipaggiamento, per 18 soldi e 1/2, una vera e propria misura di ridistribuzione delle risorse a favore dell'esercito , la stessa che viene richiesta da Digenìs all'imperatore nelle due versioni di Grottaferrata (971- 1053) e di Trebisonda (1486-1546): "di avere pietà dei poveri e di difendere gli offesi e i perseguitati", "nell' avere pietà degli affamati, nel liberare coloro che sono ingiustamente perseguitati". Ricchezza e povertà nella storia della società dell'impero romano d'Oriente sono una antitesi ricorrente fino dal IV secolo, quando la povertà (penetes) viene distinta in due categorie, quella degli aporoi, (lavoratori senza i mezzi di sostentamento, il povero è colui che possiede meno di 50 soldi d'oro); e quella degli ptochoi - "coloro che non lavorano", un "retaggio della natura", irriducibile alla gerarchia della società civile nelle quattro classi: la scientifica, la tecnica, la sacerdotale e la giuridica, secondo il tratto Della strategia dei primi anni di regno di Giustiniano. I penetes, sia gli aporoi, sia gli ptochoi, indigenti privi di tutto, entrano nella definizione della città cristiana attraverso la categoria del dono caritatevole, erede della antica everghesia urbana e attraverso la individuazione di enti assistenziali anche a finanziamento pubblico, che la legislazione di Giustiniano distingue per categorie di sventurati: per i malati lo xenon, per i vagabondi lo xenodochion, per i vecchi il gerotrophion, per i bambini l'orphanotrophion, per i poveri lo ptochion, per i lebbrosi lo ptochotrophion, anche se la Patlagean ritiene il vocabolario delle istituzioni passibile di qualche ambiguità e inclina a non accogliere la tesi del Philipsborn. Ma per questo rimando alle analisi di Constantelos sulla filantropia bizantina e di Miller sull'ospedale e sugli orfani. Le estensioni cronologiche della analisi sono rese necessarie dalla lunga durata implicita negli stereotipi che costituiscono l'oggetto principale del presente studio.

TIPOLOGIA LETTERARIA E MODELLISTICA SOCIALE DAL VI AL XVI SECOLO NEI PAESI BIZANTINI E DI INFLUENZA BIZANTINA Testo inglese LITERARY TYPOLOGY AND SOCIAL MODEL IN THE BYZANTINE COUNTRIES AND IN THE COUNTRIES OF BYZANTINE INFLUENCE (VI-XVI CENTURIES).

CARILE, ANTONIO ROCCO
2008

Abstract

La ricerca definirà il lessico del potere, della povertà e della ricchezza sia nell’uso letterario sia nell’uso documentario. Verranno ricercati i modelli letterari e il loro riuso dal VI al XVI secolo mettendo a confronto varie aree del mondo bizantino e del mondo carolingio in contatto con il mondo bizantino. L'analisi della società compiuta dal pensiero politico e sociale bizantino evidenzia la ingiustizia sociale nella distribuzione delle ricchezze, come vediamo dal dialogo sulla scienza politica, già attribuito a Pietro Patrizio (550-565 floruit) (V, 10); ma soprattutto in un testo di lunga durata nel pensiero politico bizantino la Esposizione di capitoli parenetici del diacono Agapeto del 527, che al cap. 16 pone fra i compiti del basileus la promozione della giustizia distributiva: ricchezza e povertà sono malattie opposte, vanno curate con il rimedio della sottrazione e della addizione, cioè con un programma populistico di tasse e di spese, nella direzione della isotes, la eguaglianza, il mito tardo-ellenistico ancora da realizzare. Il codice di Leone III e di Costantino V, Eklogè ton nòmon, pubblicato il 31 marzo 726, individua nella opposizione povero, agiato, ricco il fondamento del diritto penale; mentre fra le "vessazioni" dell'imperatore Niceforo I (802-811) rientra l'arruolamento coatto dei "poveri", facendo gravare sugli homòchoroi il loro equipaggiamento, per 18 soldi e 1/2, una vera e propria misura di ridistribuzione delle risorse a favore dell'esercito , la stessa che viene richiesta da Digenìs all'imperatore nelle due versioni di Grottaferrata (971- 1053) e di Trebisonda (1486-1546): "di avere pietà dei poveri e di difendere gli offesi e i perseguitati", "nell' avere pietà degli affamati, nel liberare coloro che sono ingiustamente perseguitati". Ricchezza e povertà nella storia della società dell'impero romano d'Oriente sono una antitesi ricorrente fino dal IV secolo, quando la povertà (penetes) viene distinta in due categorie, quella degli aporoi, (lavoratori senza i mezzi di sostentamento, il povero è colui che possiede meno di 50 soldi d'oro); e quella degli ptochoi - "coloro che non lavorano", un "retaggio della natura", irriducibile alla gerarchia della società civile nelle quattro classi: la scientifica, la tecnica, la sacerdotale e la giuridica, secondo il tratto Della strategia dei primi anni di regno di Giustiniano. I penetes, sia gli aporoi, sia gli ptochoi, indigenti privi di tutto, entrano nella definizione della città cristiana attraverso la categoria del dono caritatevole, erede della antica everghesia urbana e attraverso la individuazione di enti assistenziali anche a finanziamento pubblico, che la legislazione di Giustiniano distingue per categorie di sventurati: per i malati lo xenon, per i vagabondi lo xenodochion, per i vecchi il gerotrophion, per i bambini l'orphanotrophion, per i poveri lo ptochion, per i lebbrosi lo ptochotrophion, anche se la Patlagean ritiene il vocabolario delle istituzioni passibile di qualche ambiguità e inclina a non accogliere la tesi del Philipsborn. Ma per questo rimando alle analisi di Constantelos sulla filantropia bizantina e di Miller sull'ospedale e sugli orfani. Le estensioni cronologiche della analisi sono rese necessarie dalla lunga durata implicita negli stereotipi che costituiscono l'oggetto principale del presente studio.
2008
A. CARILE
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