Nell’ampio e variegato panorama degli scritti che Anton Giulio Bragaglia ha dedicato alle arti della scena in generale e alla danza in particolare, un posto di primo piano è senza dubbio riservato alla figura, stimata ed esaltata senza riserve, di Salvatore Viganò. Artista esemplare sotto molteplici aspetti, il “gigante Viganò” è, agli occhi di Bragaglia, degno della più alta considerazione, soprattutto perché il suo percorso artistico sembra costituire la prova di come, attraverso il movimento danzato, il corpo umano possa diventare protagonista di un’azione scenica talmente potente, efficace ed espressiva, da riuscire a parlare agli occhi dello spettatore senza il minimo ricorso alla parola. Quasi ossessionato dal problema dell’indipendenza del muto agire del corpo rispetto alla parola, vero e proprio basso continuo del suo pensiero, Bragaglia ravvisa nella parabola artistica di Viganò, evocato come “genio compositore” e “il più grande archimimo d’ogni tempo”, il tentativo perfettamente riuscito di fondere danza e pantomima, liberando la prima da ogni forma di virtuosismo fine a se stesso e rendendo la seconda aliena da qualunque tipo di convenzionalismo. Viganò aveva dunque portato a termine l’impresa, secondo Bragaglia mai pienamente compiuta nemmeno da artisti e teorici del calibro di Noverre, di dare vita a una modalità di gestione del corpo in scena non solo incredibilmente innovativa ma anche straordinariamente attuale: le azioni sceniche ideate da Viganò, infatti, si caratterizzano per un’autenticità e un’efficacia assolute, tali da rendere le danze viganoviane un modello che Bragaglia considera di indiscusso riferimento anche per danzatori e attori (teatrali e persino cinematografici) a lui contemporanei. A partire da queste premesse, e basandosi essenzialmente sulle argomentazioni contenute del volume Evoluzione del mimo (1930), il saggio illustra dapprima le modalità con cui Anton Giulio Bragaglia - facendo peraltro ampio ricorso a numerosi riferimenti bibliografici (a partire dai Commentari, definiti “magnifici”, di Carlo Ritorni) - ha ritratto la figura e l’arte di Salvatore Viganò, e, successivamente, mostra gli aspetti che, sempre secondo Bragaglia, conferiscono a Viganò un ruolo paradigmatico anche rispetto a numerosi percorsi della danza, del teatro e, forse sorprendentemente, finanche del cinema novecenteschi

Sguardi dal Novecento: il mito dell’antiregolista Salvatore Viganò negli scritti sulla danza di Anton Giulio Bragaglia

Giulia Taddeo
2017

Abstract

Nell’ampio e variegato panorama degli scritti che Anton Giulio Bragaglia ha dedicato alle arti della scena in generale e alla danza in particolare, un posto di primo piano è senza dubbio riservato alla figura, stimata ed esaltata senza riserve, di Salvatore Viganò. Artista esemplare sotto molteplici aspetti, il “gigante Viganò” è, agli occhi di Bragaglia, degno della più alta considerazione, soprattutto perché il suo percorso artistico sembra costituire la prova di come, attraverso il movimento danzato, il corpo umano possa diventare protagonista di un’azione scenica talmente potente, efficace ed espressiva, da riuscire a parlare agli occhi dello spettatore senza il minimo ricorso alla parola. Quasi ossessionato dal problema dell’indipendenza del muto agire del corpo rispetto alla parola, vero e proprio basso continuo del suo pensiero, Bragaglia ravvisa nella parabola artistica di Viganò, evocato come “genio compositore” e “il più grande archimimo d’ogni tempo”, il tentativo perfettamente riuscito di fondere danza e pantomima, liberando la prima da ogni forma di virtuosismo fine a se stesso e rendendo la seconda aliena da qualunque tipo di convenzionalismo. Viganò aveva dunque portato a termine l’impresa, secondo Bragaglia mai pienamente compiuta nemmeno da artisti e teorici del calibro di Noverre, di dare vita a una modalità di gestione del corpo in scena non solo incredibilmente innovativa ma anche straordinariamente attuale: le azioni sceniche ideate da Viganò, infatti, si caratterizzano per un’autenticità e un’efficacia assolute, tali da rendere le danze viganoviane un modello che Bragaglia considera di indiscusso riferimento anche per danzatori e attori (teatrali e persino cinematografici) a lui contemporanei. A partire da queste premesse, e basandosi essenzialmente sulle argomentazioni contenute del volume Evoluzione del mimo (1930), il saggio illustra dapprima le modalità con cui Anton Giulio Bragaglia - facendo peraltro ampio ricorso a numerosi riferimenti bibliografici (a partire dai Commentari, definiti “magnifici”, di Carlo Ritorni) - ha ritratto la figura e l’arte di Salvatore Viganò, e, successivamente, mostra gli aspetti che, sempre secondo Bragaglia, conferiscono a Viganò un ruolo paradigmatico anche rispetto a numerosi percorsi della danza, del teatro e, forse sorprendentemente, finanche del cinema novecenteschi
2017
Ritorno a Viganò
331
346
Giulia Taddeo
File in questo prodotto:
Eventuali allegati, non sono esposti

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/709055
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact