Attira notevoli perplessità l’opzione del legislatore italiano di declinare la tutela del benessere lavorativo in chiave penalistica. La costitutiva eterogeneità dell’obiettivo, che oscilla tra il perseguimento di una generica condizione di “benessere nell’ambiente di lavoro” e la protezione da potenziali lesioni all’integrità psicofisica del lavoratore, unitamente alla sproporzione del mezzo utilizzato, per il raggiungimento dello scopo sanzionatorio, inducono ad esprimere forti riserve. In nome di una più severa risposta stigmatizzante, vengono sovvertiti i canoni di una corretta imputazione, travisando principi di ordine costituzionale; mentre l’impianto sanzionatorio si mostra palesemente inadeguato nell’esercitare un’idonea prevenzione. È opportuno chiedersi se non sia preferibile attingere direttamente ai più duttili, efficaci e comunque meno costosi strumenti amministrativi. Il grave tasso di ineffettività, che affligge il sistema di regole a tutela della sicurezza sul lavoro , non può che travolgere anche le crescenti aspettative sull’efficacia deterrente di quelle che, alla luce delle argomentazioni appena esposte, possono considerarsi delle “frecce spuntate” lanciate contro forme di rischio psicosociale. Preferiamo accogliere il punto di vista che vede nell’organizzazione aziendale l’oggetto e, al tempo stesso, «il laboratorio nel quale prende forma la politica prevenzionale», senza mai neppure ipotizzare che l’attuazione del diritto alla salute ex art. 32 Costituzione possa essere subordinata alle esigenze oggettive della produzione . Tale premessa concettuale serve a sottolineare la necessità di anticipare forme di tutela, capaci di prevenire anche condizioni di disagio psicosociale, già sul piano della programmazione degli interventi sulla sicurezza e salute dei lavoratori compiuta da ciascun imprenditore.
curi francesca (2014). Colpa di organizzazione e stress lavoro correlato. Una proposta de iure condendo. Torino : Giappichelli Editore.
Colpa di organizzazione e stress lavoro correlato. Una proposta de iure condendo
curi francesca
2014
Abstract
Attira notevoli perplessità l’opzione del legislatore italiano di declinare la tutela del benessere lavorativo in chiave penalistica. La costitutiva eterogeneità dell’obiettivo, che oscilla tra il perseguimento di una generica condizione di “benessere nell’ambiente di lavoro” e la protezione da potenziali lesioni all’integrità psicofisica del lavoratore, unitamente alla sproporzione del mezzo utilizzato, per il raggiungimento dello scopo sanzionatorio, inducono ad esprimere forti riserve. In nome di una più severa risposta stigmatizzante, vengono sovvertiti i canoni di una corretta imputazione, travisando principi di ordine costituzionale; mentre l’impianto sanzionatorio si mostra palesemente inadeguato nell’esercitare un’idonea prevenzione. È opportuno chiedersi se non sia preferibile attingere direttamente ai più duttili, efficaci e comunque meno costosi strumenti amministrativi. Il grave tasso di ineffettività, che affligge il sistema di regole a tutela della sicurezza sul lavoro , non può che travolgere anche le crescenti aspettative sull’efficacia deterrente di quelle che, alla luce delle argomentazioni appena esposte, possono considerarsi delle “frecce spuntate” lanciate contro forme di rischio psicosociale. Preferiamo accogliere il punto di vista che vede nell’organizzazione aziendale l’oggetto e, al tempo stesso, «il laboratorio nel quale prende forma la politica prevenzionale», senza mai neppure ipotizzare che l’attuazione del diritto alla salute ex art. 32 Costituzione possa essere subordinata alle esigenze oggettive della produzione . Tale premessa concettuale serve a sottolineare la necessità di anticipare forme di tutela, capaci di prevenire anche condizioni di disagio psicosociale, già sul piano della programmazione degli interventi sulla sicurezza e salute dei lavoratori compiuta da ciascun imprenditore.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.