Presentazione di Cristina Valenti (consulente scientifico): Dopo “La Gerusalemme liberata”, il cantiere diffuso che nel biennio 2014-2015 ha fatto esplodere l’universo letterario del poema tassiano e delle sue metafore nei perimetri ristretti delle prigioni, e dopo “Le Patafisiche”, il percorso che dal 2016 al 2018 ha attraversato l’opera di Alfred Jarry per riattivarne il potenziale corrosivo e liberare rispecchiamenti inaspettati fra la condizione reclusa e le soluzioni immaginarie fornite dalla patascienza, i sei registi del coordinamento emiliano-romagnolo interrogano la complessa relazione padri-figli attingendo di volta in volta alla fitta simbologia e alla vasta letteratura (psicologica, drammatica, epica, psicanalitica…) ad essa connesse. “Padri e figli”: non il riferimento a un testo o a un universo letterario, ma un binomio concettuale dai forti rimandi culturali, letterari, psico-pedagogici è al centro del progetto pluriennale che impegna il Coordinamento Teatro Carcere Emilia Romagna a partire dal 2018. Padri, ma anche madri, per indagare le molte sfaccettature di un legame fra generazioni da sempre al centro di conflitti e aspettative non risolte, fra vincoli affettivi e coercitivi, processi identificativi ed emancipativi. Una tematica che non può non evocare uno degli aspetti dominanti della situazione detentiva, che tende a bloccare l’individuo in una dimensione di reiterata infantilizzazione, spingendolo alla deresponsabilizzazione e alla passività. Alla dimensione reclusa rimanda Mamma di Annibale Ruccello, uno dei testi su cui lavora Horacio Czertok a Ferrara: la storia di una donna rinchiusa in manicomio perché convinta di essere la Madonna, mentre l’altro testo scelto, Filumena Marturano di Eduardo De Filippo, riporta alla rivendicazione materna come ossessione e riscatto. Al doppio binomio “Madri Figlie/Figli Padri” si ispira il lavoro di Paolo Billi a Bologna che nella sezione femminile della Casa circondariale traduce il Re Lear shakespeariano in Figlie di Lear, mentre con i minori dell’IPM e dell’Area Penale Esterna dà vita a una rilettura al maschile della fiaba Bella e Bestia e successivamente, con Eredi Eretici, lavora sulla Lettera al padre di Franz Kafka e su Geologia di un padre di Valerio Magrelli. A Reggio Emilia il laboratorio condotto dallo stesso Paolo Billi vede al centro I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij. A Parma il teatro di figura di Corrado Vecchi è il tramite per affrontare il rapporto padri e figli in relazione al tema del distacco parentale e territoriale. A Ravenna Eugenio Sideri lavora su Antigone di Sofocle e Lettere luterane di Pasolini per tracciare i solchi ancestrali e generazionali della ribellione dei figli contro le leggi dei padri e le Verità dello Stato. A Forlì Sabina Spazzoli colloca la relazione padri-figli nel contesto intergenerazionale di un laboratorio che coinvolge gli attori detenuti e gli studenti liceali e universitari del territorio. A Castelfranco Emilia e Modena Stefano Tè declina il rapporto padri e figli attorno al tema dell’abbandono, prendendo le mosse dal precedente progetto su Ubu, che fornisce lo spunto per un inaspettato processo di filiazione. Contemporaneamente, continuano gli appuntamenti del progetto “Le Patafisiche” e anche della “Gerusalemme liberata”, dentro e fuori gli istituti di pena della Regione. Giunte alla ottava edizione, le Stanze di Teatro in Carcere proseguono e approfondiscono il rapporto teatro-carcere-scuola, coinvolgendo e integrando nelle attività laboratoriali studenti di licei, istituti musicali e università, mentre si confermano e arricchiscono le interazioni con gli enti teatrali e culturali dei diversi territori.

Cristina Valenti (2018). Stanze di Teatro in Carcere 2018.

Stanze di Teatro in Carcere 2018

Cristina Valenti
2018

Abstract

Presentazione di Cristina Valenti (consulente scientifico): Dopo “La Gerusalemme liberata”, il cantiere diffuso che nel biennio 2014-2015 ha fatto esplodere l’universo letterario del poema tassiano e delle sue metafore nei perimetri ristretti delle prigioni, e dopo “Le Patafisiche”, il percorso che dal 2016 al 2018 ha attraversato l’opera di Alfred Jarry per riattivarne il potenziale corrosivo e liberare rispecchiamenti inaspettati fra la condizione reclusa e le soluzioni immaginarie fornite dalla patascienza, i sei registi del coordinamento emiliano-romagnolo interrogano la complessa relazione padri-figli attingendo di volta in volta alla fitta simbologia e alla vasta letteratura (psicologica, drammatica, epica, psicanalitica…) ad essa connesse. “Padri e figli”: non il riferimento a un testo o a un universo letterario, ma un binomio concettuale dai forti rimandi culturali, letterari, psico-pedagogici è al centro del progetto pluriennale che impegna il Coordinamento Teatro Carcere Emilia Romagna a partire dal 2018. Padri, ma anche madri, per indagare le molte sfaccettature di un legame fra generazioni da sempre al centro di conflitti e aspettative non risolte, fra vincoli affettivi e coercitivi, processi identificativi ed emancipativi. Una tematica che non può non evocare uno degli aspetti dominanti della situazione detentiva, che tende a bloccare l’individuo in una dimensione di reiterata infantilizzazione, spingendolo alla deresponsabilizzazione e alla passività. Alla dimensione reclusa rimanda Mamma di Annibale Ruccello, uno dei testi su cui lavora Horacio Czertok a Ferrara: la storia di una donna rinchiusa in manicomio perché convinta di essere la Madonna, mentre l’altro testo scelto, Filumena Marturano di Eduardo De Filippo, riporta alla rivendicazione materna come ossessione e riscatto. Al doppio binomio “Madri Figlie/Figli Padri” si ispira il lavoro di Paolo Billi a Bologna che nella sezione femminile della Casa circondariale traduce il Re Lear shakespeariano in Figlie di Lear, mentre con i minori dell’IPM e dell’Area Penale Esterna dà vita a una rilettura al maschile della fiaba Bella e Bestia e successivamente, con Eredi Eretici, lavora sulla Lettera al padre di Franz Kafka e su Geologia di un padre di Valerio Magrelli. A Reggio Emilia il laboratorio condotto dallo stesso Paolo Billi vede al centro I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij. A Parma il teatro di figura di Corrado Vecchi è il tramite per affrontare il rapporto padri e figli in relazione al tema del distacco parentale e territoriale. A Ravenna Eugenio Sideri lavora su Antigone di Sofocle e Lettere luterane di Pasolini per tracciare i solchi ancestrali e generazionali della ribellione dei figli contro le leggi dei padri e le Verità dello Stato. A Forlì Sabina Spazzoli colloca la relazione padri-figli nel contesto intergenerazionale di un laboratorio che coinvolge gli attori detenuti e gli studenti liceali e universitari del territorio. A Castelfranco Emilia e Modena Stefano Tè declina il rapporto padri e figli attorno al tema dell’abbandono, prendendo le mosse dal precedente progetto su Ubu, che fornisce lo spunto per un inaspettato processo di filiazione. Contemporaneamente, continuano gli appuntamenti del progetto “Le Patafisiche” e anche della “Gerusalemme liberata”, dentro e fuori gli istituti di pena della Regione. Giunte alla ottava edizione, le Stanze di Teatro in Carcere proseguono e approfondiscono il rapporto teatro-carcere-scuola, coinvolgendo e integrando nelle attività laboratoriali studenti di licei, istituti musicali e università, mentre si confermano e arricchiscono le interazioni con gli enti teatrali e culturali dei diversi territori.
2018
Cristina Valenti (2018). Stanze di Teatro in Carcere 2018.
Cristina Valenti
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