A partire dalla celebre definizione omerica della stirpe degli uomini mortali, «quanti ora vivono sulla terra e mangiano pane», ripresa dall’Odissea (VIII, 222), intendiamo analizzare il particolare significato culturale di un certo tipo di offerta incruenta, consistente nella consacrazione di pani e focacce rituali a una tipologia specifica di divinità del pantheon olimpio, all’interno di un contesto fortemente ideologizzato, dove «l’agrarietà diventa la cifra della “cultura” e della civiltà» che attraverso determinati riti «conferma se stessa» (P. Scarpi. 2002. Le religioni dei Misteri 1, p. XXXIII). Tratteremo dunque, nella fattispecie, della funzione del cibo come marcatore di status in relazione all’ambito tesmoforico demetriaco, rispetto al quale il valore simbolico del sacrificio vegetale è significativamente posto, nelle Leggi platoniche (VI, 782c), in contiguità col mito eleusino della dea delle messi, all’interno di una «ideologia della terra» maturata in età soloniana e sotto i Pisistratidi. Facendo leva su una costruzione teologico-filosofica che alimenta rappresentazioni legate a movimenti contestatari o riformatori, il filosofo ateniese sottolinea innanzitutto l’estrema arcaicità di un tipo di offerta (ἁγνὰ θύματα) – risalente a un tempo in cui gli uomini non osavano mangiare la carne del bue, vittima prototipica del sacrificio prometeico – programmaticamente connessa al regime alimentare puro praticato secondo lo stile di vita detto “orfico”, che notoriamente prevedeva l’astensione dal cibo carneo. Sullo sfondo della società ateniese di fine V, inizio IV secolo a.C., la riflessione platonica appare particolarmente animata dalla volontà di ribadire l’identità civica della polis, attraverso il confronto, fortemente strumentalizzato, tra codici alimentari che vedono opporsi gli usi rituali degli orfici ai rituali cruenti attribuiti ancora ad alcuni popoli barbari avvezzi a «sacrificarsi l’un l’altro», condizionando di fatto una certa lettura dell’uso di consacrare offerte incruente agli dèi, che fu prassi particolarmente diffusa nell'antichità.

Mangiatori di pane. Il cibo come marcatore dell’identità civica da Omero a Platone

VISCARDI G. P.
2020

Abstract

A partire dalla celebre definizione omerica della stirpe degli uomini mortali, «quanti ora vivono sulla terra e mangiano pane», ripresa dall’Odissea (VIII, 222), intendiamo analizzare il particolare significato culturale di un certo tipo di offerta incruenta, consistente nella consacrazione di pani e focacce rituali a una tipologia specifica di divinità del pantheon olimpio, all’interno di un contesto fortemente ideologizzato, dove «l’agrarietà diventa la cifra della “cultura” e della civiltà» che attraverso determinati riti «conferma se stessa» (P. Scarpi. 2002. Le religioni dei Misteri 1, p. XXXIII). Tratteremo dunque, nella fattispecie, della funzione del cibo come marcatore di status in relazione all’ambito tesmoforico demetriaco, rispetto al quale il valore simbolico del sacrificio vegetale è significativamente posto, nelle Leggi platoniche (VI, 782c), in contiguità col mito eleusino della dea delle messi, all’interno di una «ideologia della terra» maturata in età soloniana e sotto i Pisistratidi. Facendo leva su una costruzione teologico-filosofica che alimenta rappresentazioni legate a movimenti contestatari o riformatori, il filosofo ateniese sottolinea innanzitutto l’estrema arcaicità di un tipo di offerta (ἁγνὰ θύματα) – risalente a un tempo in cui gli uomini non osavano mangiare la carne del bue, vittima prototipica del sacrificio prometeico – programmaticamente connessa al regime alimentare puro praticato secondo lo stile di vita detto “orfico”, che notoriamente prevedeva l’astensione dal cibo carneo. Sullo sfondo della società ateniese di fine V, inizio IV secolo a.C., la riflessione platonica appare particolarmente animata dalla volontà di ribadire l’identità civica della polis, attraverso il confronto, fortemente strumentalizzato, tra codici alimentari che vedono opporsi gli usi rituali degli orfici ai rituali cruenti attribuiti ancora ad alcuni popoli barbari avvezzi a «sacrificarsi l’un l’altro», condizionando di fatto una certa lettura dell’uso di consacrare offerte incruente agli dèi, che fu prassi particolarmente diffusa nell'antichità.
2020
Il cibo e il sacro. Tradizioni e Simbologie
77
89
VISCARDI G.P.
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