A partire dagli anni Ottanta del Novecento — sull’onda di Primitivism in 20th Century Art. Affinity of the Tribal and the Modern (MoMA, New York 1984) e di Magiciens de la terre (Centre Pompidou, Parigi 1989) —nei principali spazi espositivi internazionali si sono susseguite mostre basate sul confronto tra artisti provenienti da culture diverse. Tali esposizioni museali e/o ricorrenti (biennali, triennali, ecc.) hanno spesso evidenziato come la ricezione dell’arte “non-occidentale” abbia seguito canoni ben precisi di riconoscibilità rispetto alle aspettative occidentali; criteri che si fondavano su caratteristiche quali la “diversità”, la predominanza di aspetti politici e sociali nel lavoro, la corrispondenza stretta tra cultura di appartenenza e immagini realizzate. Tutti elementi che gli artisti “non-occidentali” hanno utilizzato e, allo stesso tempo, con forza o con ironia negato. Nell’intervento si vuole, dunque, partire dalla constatazione che molti degli artisti che hanno operato in contesti internazionali hanno cercato, con i loro lavori, di denunciare i limiti e le incongruità della situazione in cui sono stati chiamati ad agire. Il loro linguaggio si è trasformato e se alcuni artisti hanno accentuato gli aspetti più dichiaratamente politici del loro lavoro, altri, spesso attraverso autoritratti o uso di simboli che giocavano sull’ambiguità delle possibili letture, si sono appropriati dei paradigmi con cui venivano definiti per trasformarli dall’interno. Le figure su cui si baserà principalmente l’intervento saranno l’artista e film-maker iraniana Shirin Neshat, l’artista e film-maker keniana/tedesca Ingrid Mwangi, l’artista e poeta americano (appartenente alla minoranza Cherokee) Jimmie Durham, l’artista franco-algerino Kader Attia e l’artista/ attivista cubana Tania Bruguera. L’intervento è inoltre teso a indagare in che modo il mercato abbia assorbito queste espressioni critiche e di dissidenza trasformando molte di queste opere d’arte in una sorta di pubblicità degli aspetti positivi della globalizzazione e, per altri versi, in un prodotto/merce acquistabile soltanto dai componenti del ristretto gruppo di collezionisti “illuminati”.
pinto R. (2019). Tra rifiuto e fascinazione. La trasformazione dell’arte “non occidentale” negli ultimi anni del Novecento. Argelato (BO) : Minerva.
Tra rifiuto e fascinazione. La trasformazione dell’arte “non occidentale” negli ultimi anni del Novecento
pinto R.
2019
Abstract
A partire dagli anni Ottanta del Novecento — sull’onda di Primitivism in 20th Century Art. Affinity of the Tribal and the Modern (MoMA, New York 1984) e di Magiciens de la terre (Centre Pompidou, Parigi 1989) —nei principali spazi espositivi internazionali si sono susseguite mostre basate sul confronto tra artisti provenienti da culture diverse. Tali esposizioni museali e/o ricorrenti (biennali, triennali, ecc.) hanno spesso evidenziato come la ricezione dell’arte “non-occidentale” abbia seguito canoni ben precisi di riconoscibilità rispetto alle aspettative occidentali; criteri che si fondavano su caratteristiche quali la “diversità”, la predominanza di aspetti politici e sociali nel lavoro, la corrispondenza stretta tra cultura di appartenenza e immagini realizzate. Tutti elementi che gli artisti “non-occidentali” hanno utilizzato e, allo stesso tempo, con forza o con ironia negato. Nell’intervento si vuole, dunque, partire dalla constatazione che molti degli artisti che hanno operato in contesti internazionali hanno cercato, con i loro lavori, di denunciare i limiti e le incongruità della situazione in cui sono stati chiamati ad agire. Il loro linguaggio si è trasformato e se alcuni artisti hanno accentuato gli aspetti più dichiaratamente politici del loro lavoro, altri, spesso attraverso autoritratti o uso di simboli che giocavano sull’ambiguità delle possibili letture, si sono appropriati dei paradigmi con cui venivano definiti per trasformarli dall’interno. Le figure su cui si baserà principalmente l’intervento saranno l’artista e film-maker iraniana Shirin Neshat, l’artista e film-maker keniana/tedesca Ingrid Mwangi, l’artista e poeta americano (appartenente alla minoranza Cherokee) Jimmie Durham, l’artista franco-algerino Kader Attia e l’artista/ attivista cubana Tania Bruguera. L’intervento è inoltre teso a indagare in che modo il mercato abbia assorbito queste espressioni critiche e di dissidenza trasformando molte di queste opere d’arte in una sorta di pubblicità degli aspetti positivi della globalizzazione e, per altri versi, in un prodotto/merce acquistabile soltanto dai componenti del ristretto gruppo di collezionisti “illuminati”.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.