Il problema, a mio avviso, sta nel fatto che l’uomo, nonostante questa accertata dispersione e, direi quasi, dissipazione dell’identità nella frammentazione dell’Io, ogni volta aspira tuttavia a una sorta di unità che vorrebbe tradurre anche figurativamente in un’immagine di sé sufficientemente univoca e rappresentativa: immagine, d’altra parte, che egli sembra effettivamente conservare dentro di sé e che però quando si manifesta visivamente, secondo la più universale esperienza, è sentita sempre come inadeguata, non riuscendo a corrispondere all’impressione (anche visiva) che il soggetto ha di sé. Sotto questo aspetto l’autoritratto coincide infatti con l’esigenza di rappresentare all’esterno l’immagine del proprio mondo interno come si immagina che dovrebbe essere vista dagli occhi degli altri. E non è – si badi bene – un problema di verità oppure, al contrario, di simulazione e dissimulazione (essere vs. apparire), ma solo di bisogno di corrispondenza tra ciò che l’uomo sente e ciò che immagina gli altri possano vedere e capire di lui. Fatto sta che ci troviamo di fronte ad una dialettica tra l’aspirazione all’unità e alla costanza dell’Io (che sembra confluire nell’idea di quella che ho definito l’immagine interna), che nella sua sintetica plasticità assorbe e unifica le diverse esigenze e i diversi modelli del mondo interno e di quello esterno e la concreta varietà delle sue rappresentazioni, nei diversi contesti di tempo, di luogo e di umore di cui è testimonianza la raffigurazione concreta di ogni autoritratto.
S. Ferrari (2008). Postfazione. Unità e molteplicità dell'Io nella dinamica dell'autoritratto. MILANO : Edizioni Red.
Postfazione. Unità e molteplicità dell'Io nella dinamica dell'autoritratto
FERRARI, STEFANO
2008
Abstract
Il problema, a mio avviso, sta nel fatto che l’uomo, nonostante questa accertata dispersione e, direi quasi, dissipazione dell’identità nella frammentazione dell’Io, ogni volta aspira tuttavia a una sorta di unità che vorrebbe tradurre anche figurativamente in un’immagine di sé sufficientemente univoca e rappresentativa: immagine, d’altra parte, che egli sembra effettivamente conservare dentro di sé e che però quando si manifesta visivamente, secondo la più universale esperienza, è sentita sempre come inadeguata, non riuscendo a corrispondere all’impressione (anche visiva) che il soggetto ha di sé. Sotto questo aspetto l’autoritratto coincide infatti con l’esigenza di rappresentare all’esterno l’immagine del proprio mondo interno come si immagina che dovrebbe essere vista dagli occhi degli altri. E non è – si badi bene – un problema di verità oppure, al contrario, di simulazione e dissimulazione (essere vs. apparire), ma solo di bisogno di corrispondenza tra ciò che l’uomo sente e ciò che immagina gli altri possano vedere e capire di lui. Fatto sta che ci troviamo di fronte ad una dialettica tra l’aspirazione all’unità e alla costanza dell’Io (che sembra confluire nell’idea di quella che ho definito l’immagine interna), che nella sua sintetica plasticità assorbe e unifica le diverse esigenze e i diversi modelli del mondo interno e di quello esterno e la concreta varietà delle sue rappresentazioni, nei diversi contesti di tempo, di luogo e di umore di cui è testimonianza la raffigurazione concreta di ogni autoritratto.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.