La traduzione di A Tale of a Tub (1704) di Jonathan Swift nel 1966 coincide non solo con l'esordio di Gianni Celati come traduttore, ma anche con la rivalorizzazione negli anni '60 della satira-filosofica tipica del Settecento inglese (in particolare degli scrittori riuniti sotto lo pseudonimo collettivo di Martinus Scriblerus), al fine di ribaltare i generi letterari codificati. Nella sua introduzione alla Favola, Celati sottolinea infatti l'aspetto più eversivo del libro, che si configura come il «progetto di parlare assolutamente a vuoto, di mostrare fino in fondo la propria inconcludenza, con nugoli di discorsi che girano intorno a un buco, dove non si scorge il famoso Nulla, bensì il Caos». Tale interesse per lo pseudo-trattato accomuna Celati ad un altro scrittore “satirico” italiano, ovvero Giorgio Manganelli, il quale plasma il suo Nuovo Commento (1969) proprio sulla Favola swiftiana. Il saggio si propone di indagare l'influenza del modello della Favola della Botte nelle prime opere narrative di Manganelli e Celati, analizzando in particolare la loro attrazione per la tecnica della digressione, il flusso esondante e polidirezionale del parlare a vuoto, quel “felice vanverare” di cui parla Grazia Menechella a proposito dell'opera manganelliana.
filippo milani (2019). La Favola della Botte e il “felice vanverare”. Roma : Aracne.
La Favola della Botte e il “felice vanverare”
filippo milani
2019
Abstract
La traduzione di A Tale of a Tub (1704) di Jonathan Swift nel 1966 coincide non solo con l'esordio di Gianni Celati come traduttore, ma anche con la rivalorizzazione negli anni '60 della satira-filosofica tipica del Settecento inglese (in particolare degli scrittori riuniti sotto lo pseudonimo collettivo di Martinus Scriblerus), al fine di ribaltare i generi letterari codificati. Nella sua introduzione alla Favola, Celati sottolinea infatti l'aspetto più eversivo del libro, che si configura come il «progetto di parlare assolutamente a vuoto, di mostrare fino in fondo la propria inconcludenza, con nugoli di discorsi che girano intorno a un buco, dove non si scorge il famoso Nulla, bensì il Caos». Tale interesse per lo pseudo-trattato accomuna Celati ad un altro scrittore “satirico” italiano, ovvero Giorgio Manganelli, il quale plasma il suo Nuovo Commento (1969) proprio sulla Favola swiftiana. Il saggio si propone di indagare l'influenza del modello della Favola della Botte nelle prime opere narrative di Manganelli e Celati, analizzando in particolare la loro attrazione per la tecnica della digressione, il flusso esondante e polidirezionale del parlare a vuoto, quel “felice vanverare” di cui parla Grazia Menechella a proposito dell'opera manganelliana.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.