Il libro Si scrive lavoro, si legge uomo. Umanesimo e impresa cerca di dare conto di un percorso che trova il suo compimento nell’ambito lavorativo, ma che in realtà parte da più lontano. È un volume, in altre parole, che arriva al rapporto tra umanesimo ed impresa dopo una lunga riflessione sulle condizioni socio-culturali dei nostri giorni, sulla quotidianità e sulle istituzioni dei nostri territori, sui segni di disagio che caratterizzano una parte importante della nostra popolazione. La formazione prevista del progetto non si limita ad affrontare il tema della sicurezza sul lavoro, per quanto fondamentale; ambisce infatti alla salute dei lavoratori, nel senso suggerito dalla Dichiarazione di Alma-Ata nel 1978, cioè come «stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non soltanto come assenza di malattia o di infermità». Qualità del lavoro e qualità della vita sembrano quindi incontrarsi in questo progetto. Per fare questo, però, è necessario individuare e comprendere i segni del disagio tra i lavoratori; un lavoro decisamente difficile tanto più che questo è spesso presente in modo asintomatico. Formare in tal senso, evidentemente, significa “irrobustire” contro i tanti rischi che l’attività lavorativa può comportare: parliamo infatti di soggetti potenzialmente “vulnerabili”. Questo percorso è stato possibile grazie alla collaborazione tra tre attori: il gruppo industriale Marcegaglia (cha ha promosso il progetto), Arca Formazione (che l’ha coordinato) ed il Ce.P.Ci.T. (che ha offerto una consulenza scientifica). Il gruppo Marcegaglia, come è noto, è una delle realtà industriali più importanti nella siderurgia italiana, ed ha nello stabilimento di Contino di Volta Mantovana uno dei suoi principali punti di produzione. Il volume si apre con il contributo di Giovanni Pieretti, Uscire dalla cultura del surplus. Partendo da alcuni dati statistici, l’autore sottolinea il “mutamento antropologico” (riprendendo l’efficace espressione di P.P. Pasolini) che ha caratterizzato la società italiana negli ultimi decenni, abbandonando progressivamente una cultura dell’essenzialità di matrice popolare e contadina per “abbracciarne” una del surplus, del superfluo. Con queste premesse, lo scivolare nel senso di insuccesso, nel disagio e nelle dipendenze diventa purtroppo facile, come dimostrano gli stessi dati statistici. Già in questo capitolo, però, si suggerisce un possibile percorso di uscita da questo circolo vizioso, un percorso che passa dalla relazione con gli altri senza gerarchie, senza strumentalizzazioni, seguendo i propri tempi interni; si delineano quindi gli elementi di una terapia ambientale che caratterizza tante comunità terapeutiche italiane e che affonda il segreto del proprio successo in alcune peculiarità della nostra cultura: la solidarietà, l’assenza di competizione, l’attenzione agli aspetti essenziali della vita. Tutti questi elementi possono (e devono) diventare sempre più parte integrante dei servizi socio-sanitari del territorio. Nel secondo capitolo, Un viaggio nelle dipendenze, Sergio Bovi presenta le principali dipendenze che affliggono la nostra società, delineando un quadro talmente complesso da rendere anche poco utile la distinzione tra “droghe leggere” e “droghe pesanti”, tanto più che le dipendenze non da sostanze si sono ormai diffuse in una quota rilevante della popolazione italiana: da quella da gioco d’azzardo a quella da Internet passando per lo shopping compulsivo. Anche in questo capitolo troviamo molti dati recenti ma anche la segnalazione dell’esigenza di prevenzione, esigenza che non vede però un singolo attore protagonista ma tutta una comunità e le sue istituzioni chiave: la famiglia, la scuola, i servizi, le imprese. Dal cap. 3 al cap. 7, il volume riprende i suddetti aspetti dedicando un approfondimento al territorio mantovano, quello in cui è stato implementato il progetto Si scrive lavoro, si legge uomo. Questi capitoli, scritti tutti da Natale Bottura, sono altrettante tappe di un percorso che parte dalla cultura e dalle usanze di quel territorio, evidenzia gli elementi di crisi della contemporaneità e prova a suggerire alcune “vie d’uscita” dal disagio che passano dal lavoro, dagli affetti e dalla riscoperta delle proprie radici. Nel capitolo "Cancelli", l’autore parte dai suoi ricordi e dalla sua esperienza di insegnante e dirigente scolastico per sottolineare la difficoltà di relazionarsi davvero con i giovani e la necessità di andare loro incontro, sia nella formazione a scuola sia in quella in azienda. Nel capitolo "Il tempo di adesso", viene presa in considerazione la “società della conoscenza” in cui viviamo attualmente, una società caratterizzata da un cambiamento sempre più rapido ma anche da un costante calo di affetti veri; ciò che cresce, invece, è l’incertezza in tutti gli aspetti della nostra quotidianità. Il bisogno di formazione diventa ancora più importante in un presente come questo, una formazione che può e deve accompagnare l’individuo in tutti i momenti della sua vita. Nel capitolo "La famiglia nella modernità" si considerano i recenti cambiamenti di questa istituzione nel nostro Paese, e le tante criticità emerse: difficoltà di relazioni, precarietà imperante, fatica a conciliare tempi di cura e tempi di lavoro, ma forse anche mancanza di coraggio, dimenticando il tanto che abbiamo oggi rispetto al poco o niente che avevano i nostri genitori e i nostri nonni. Nonostante ciò, la famiglia resta un’esigenza molto sentita dai giovani, una delle poche risorse ancora spendibili per apprendere “competenze di vita”, e forse una dimostrazione che l’indipendenza e la ricerca del nuovo come vie alla felicità sono due miti da sfatare. Nel capitolo "Strade di futuro", l’autore riscopre l’importanza dei sentimenti “classici” e lo fa “con l’aiuto dei classici”, dai testi sacri a quelli degli autori greci e latini. Parte quindi dall’amicizia passando dalla fratellanza e, più in generale richiama ad un’attenzione al prossimo che non può mai mancare, così come non possono mai mancare la scuola e la famiglia nell’insegnarla. L’autore parla anche di bisogno di “sobrietà”, uscendo da quella cultura del surplus già considerata da Pieretti nel primo capitolo, e conclude con “tre parole per vivere”: fiducia, speranza e futuro. In "Il possibile nostro", infine, si invita a “fermare la corsa e pensare”, a riscoprire quel “senso del noi” attraverso le piccole cose quotidiane, suggerendo che sono proprio quelle a dare o ridare senso e spessore alla vita. Nel fare questo, l’autore ritorna alle origini della propria terra e alle sue radici rurali, tant’è che parla di “parole del grano”: sembra essere lì una possibile risposta a tante domande annegate nelle dipendenze, e soprattutto la riscoperta che “l’altro esiste ed è uno di noi”, sia nel lavoro sia fuori. L’ultimo capitolo, "Uomini o caporali?" di Paolo Parma, è dedicato più specificamente al progetto Si scrive lavoro, si legge uomo. L’autore parte da alcuni dati e alcuni riferimenti legislativi su sicurezza e infortuni sul lavoro; al tempo stesso, sottolinea come, dietro questi infortuni, possano non di rado esserci segni di disagio del lavoratore. Un’impresa che creda nell’umanesimo non può non dedicare attenzione a questi segni, nell’interesse del lavoratore e naturalmente anche nel proprio. È proprio da questa consapevolezza che ha preso vita il progetto.
Francesca Mantovani, Gabriele Manella (2018). Introduzione al volume. Milano : FrancoAngeli.
Introduzione al volume
Francesca Mantovani
;Gabriele Manella
2018
Abstract
Il libro Si scrive lavoro, si legge uomo. Umanesimo e impresa cerca di dare conto di un percorso che trova il suo compimento nell’ambito lavorativo, ma che in realtà parte da più lontano. È un volume, in altre parole, che arriva al rapporto tra umanesimo ed impresa dopo una lunga riflessione sulle condizioni socio-culturali dei nostri giorni, sulla quotidianità e sulle istituzioni dei nostri territori, sui segni di disagio che caratterizzano una parte importante della nostra popolazione. La formazione prevista del progetto non si limita ad affrontare il tema della sicurezza sul lavoro, per quanto fondamentale; ambisce infatti alla salute dei lavoratori, nel senso suggerito dalla Dichiarazione di Alma-Ata nel 1978, cioè come «stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non soltanto come assenza di malattia o di infermità». Qualità del lavoro e qualità della vita sembrano quindi incontrarsi in questo progetto. Per fare questo, però, è necessario individuare e comprendere i segni del disagio tra i lavoratori; un lavoro decisamente difficile tanto più che questo è spesso presente in modo asintomatico. Formare in tal senso, evidentemente, significa “irrobustire” contro i tanti rischi che l’attività lavorativa può comportare: parliamo infatti di soggetti potenzialmente “vulnerabili”. Questo percorso è stato possibile grazie alla collaborazione tra tre attori: il gruppo industriale Marcegaglia (cha ha promosso il progetto), Arca Formazione (che l’ha coordinato) ed il Ce.P.Ci.T. (che ha offerto una consulenza scientifica). Il gruppo Marcegaglia, come è noto, è una delle realtà industriali più importanti nella siderurgia italiana, ed ha nello stabilimento di Contino di Volta Mantovana uno dei suoi principali punti di produzione. Il volume si apre con il contributo di Giovanni Pieretti, Uscire dalla cultura del surplus. Partendo da alcuni dati statistici, l’autore sottolinea il “mutamento antropologico” (riprendendo l’efficace espressione di P.P. Pasolini) che ha caratterizzato la società italiana negli ultimi decenni, abbandonando progressivamente una cultura dell’essenzialità di matrice popolare e contadina per “abbracciarne” una del surplus, del superfluo. Con queste premesse, lo scivolare nel senso di insuccesso, nel disagio e nelle dipendenze diventa purtroppo facile, come dimostrano gli stessi dati statistici. Già in questo capitolo, però, si suggerisce un possibile percorso di uscita da questo circolo vizioso, un percorso che passa dalla relazione con gli altri senza gerarchie, senza strumentalizzazioni, seguendo i propri tempi interni; si delineano quindi gli elementi di una terapia ambientale che caratterizza tante comunità terapeutiche italiane e che affonda il segreto del proprio successo in alcune peculiarità della nostra cultura: la solidarietà, l’assenza di competizione, l’attenzione agli aspetti essenziali della vita. Tutti questi elementi possono (e devono) diventare sempre più parte integrante dei servizi socio-sanitari del territorio. Nel secondo capitolo, Un viaggio nelle dipendenze, Sergio Bovi presenta le principali dipendenze che affliggono la nostra società, delineando un quadro talmente complesso da rendere anche poco utile la distinzione tra “droghe leggere” e “droghe pesanti”, tanto più che le dipendenze non da sostanze si sono ormai diffuse in una quota rilevante della popolazione italiana: da quella da gioco d’azzardo a quella da Internet passando per lo shopping compulsivo. Anche in questo capitolo troviamo molti dati recenti ma anche la segnalazione dell’esigenza di prevenzione, esigenza che non vede però un singolo attore protagonista ma tutta una comunità e le sue istituzioni chiave: la famiglia, la scuola, i servizi, le imprese. Dal cap. 3 al cap. 7, il volume riprende i suddetti aspetti dedicando un approfondimento al territorio mantovano, quello in cui è stato implementato il progetto Si scrive lavoro, si legge uomo. Questi capitoli, scritti tutti da Natale Bottura, sono altrettante tappe di un percorso che parte dalla cultura e dalle usanze di quel territorio, evidenzia gli elementi di crisi della contemporaneità e prova a suggerire alcune “vie d’uscita” dal disagio che passano dal lavoro, dagli affetti e dalla riscoperta delle proprie radici. Nel capitolo "Cancelli", l’autore parte dai suoi ricordi e dalla sua esperienza di insegnante e dirigente scolastico per sottolineare la difficoltà di relazionarsi davvero con i giovani e la necessità di andare loro incontro, sia nella formazione a scuola sia in quella in azienda. Nel capitolo "Il tempo di adesso", viene presa in considerazione la “società della conoscenza” in cui viviamo attualmente, una società caratterizzata da un cambiamento sempre più rapido ma anche da un costante calo di affetti veri; ciò che cresce, invece, è l’incertezza in tutti gli aspetti della nostra quotidianità. Il bisogno di formazione diventa ancora più importante in un presente come questo, una formazione che può e deve accompagnare l’individuo in tutti i momenti della sua vita. Nel capitolo "La famiglia nella modernità" si considerano i recenti cambiamenti di questa istituzione nel nostro Paese, e le tante criticità emerse: difficoltà di relazioni, precarietà imperante, fatica a conciliare tempi di cura e tempi di lavoro, ma forse anche mancanza di coraggio, dimenticando il tanto che abbiamo oggi rispetto al poco o niente che avevano i nostri genitori e i nostri nonni. Nonostante ciò, la famiglia resta un’esigenza molto sentita dai giovani, una delle poche risorse ancora spendibili per apprendere “competenze di vita”, e forse una dimostrazione che l’indipendenza e la ricerca del nuovo come vie alla felicità sono due miti da sfatare. Nel capitolo "Strade di futuro", l’autore riscopre l’importanza dei sentimenti “classici” e lo fa “con l’aiuto dei classici”, dai testi sacri a quelli degli autori greci e latini. Parte quindi dall’amicizia passando dalla fratellanza e, più in generale richiama ad un’attenzione al prossimo che non può mai mancare, così come non possono mai mancare la scuola e la famiglia nell’insegnarla. L’autore parla anche di bisogno di “sobrietà”, uscendo da quella cultura del surplus già considerata da Pieretti nel primo capitolo, e conclude con “tre parole per vivere”: fiducia, speranza e futuro. In "Il possibile nostro", infine, si invita a “fermare la corsa e pensare”, a riscoprire quel “senso del noi” attraverso le piccole cose quotidiane, suggerendo che sono proprio quelle a dare o ridare senso e spessore alla vita. Nel fare questo, l’autore ritorna alle origini della propria terra e alle sue radici rurali, tant’è che parla di “parole del grano”: sembra essere lì una possibile risposta a tante domande annegate nelle dipendenze, e soprattutto la riscoperta che “l’altro esiste ed è uno di noi”, sia nel lavoro sia fuori. L’ultimo capitolo, "Uomini o caporali?" di Paolo Parma, è dedicato più specificamente al progetto Si scrive lavoro, si legge uomo. L’autore parte da alcuni dati e alcuni riferimenti legislativi su sicurezza e infortuni sul lavoro; al tempo stesso, sottolinea come, dietro questi infortuni, possano non di rado esserci segni di disagio del lavoratore. Un’impresa che creda nell’umanesimo non può non dedicare attenzione a questi segni, nell’interesse del lavoratore e naturalmente anche nel proprio. È proprio da questa consapevolezza che ha preso vita il progetto.File | Dimensione | Formato | |
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