Quelle che il lettore troverà in queste pagine sono considerazioni a margine di una ricerca in corso attorno alla figura del bibliografo in epoca rinascimentale; una figura emergente nell’universo letterario della prima modernità, eppure di fatto vistosamente esclusa, almeno fino ad epoche molto recenti, dai grandi affreschi tracciati dagli storici della letteratura, che pure, magari storcendo un po’ il naso, alle compilazioni di quei minori avevano attinto a piene mani. Già abbiamo cercato di mostrare in un lavoro dedicato nello specifico alla ricezione della cultura italiana in Francia («Demonstrer ce qui est plus clair que le plein midy»: italianisme et traduction d’après les inventaires de la Croix du Maine et Du Verdier, in «Poco a poco». L’apport de l’édition italienne dans la culture francophone,Tours, CESR-Paris, Bibliothèque Mazarine, 27-30 juin 2017, in corso di stampa), come sin da un primo spoglio dei due più importanti repertori francesi del XVI secolo, le Bibliothèques françoises di François Grudé de La Croix du Maine (1584) e di Antoine Du Verdier (1585), dati significativi potessero emergere non solo per quanto riguarda le informazioni a disposizione del lettore coevo d’Oltralpe, ma anche per ciò che è della circolazione a noi oggi altrimenti ignota di testi destinati al massimo a trovare una collocazione nella casella dei fantasmi librari. Ciò che lo spazio a noi concesso non ci aveva però consentito di prendere allora in esame, e che ci sembrato invece meritevole di qualche riflessione, è come quei testi e le informazioni che essi mettevano in circolo fossero giunti fino a noi. Ci riferiamo segnatamente al fatto che, fino a non molti anni orsono, fino cioè a che la rivoluzione digitale rendesse disponibile la lettura in rete dei due repertori, era alla loro riedizione settecentesca che gli studiosi avevano per lo più fatto ricorso, vuoi per la sua più facile reperibilità, vuoi per la presenza al suo interno di utili apparati extratestuali assenti nella versione originale, di strumenti che rendevano dunque assai più agevole e veloce il reperimento dei dati. Ora, quando nei primi anni anni ’70 del XVIII secolo, Jean-Antoine Rigoley de Juvigny (1709-1788), noto avversario dei Philosophes, decide di rieditare le Bibliothèques françoises, egli non si limita però solo a corredarle di qualche apparato: i sei volumi in-4° che vengono alla luce a Parigi tra il 1772 e il 1773 per i tipi di Saillant et Nyon e Michel Lambert contengono infatti, oltre a più di un testo liminare, le abbondanti annotazioni, le correzioni e le osservazioni critiche raccolte fin dai primi decenni del secolo da almeno due accademici di Francia, Bernard de la Monnaye e il Président Bouhier, e da un membro non meno autorevole dell’Académie des Inscriptions des Belles-Lettres, Camille Falconet. Ecco perché ci è sembrato verosimile ipotizzare che il confronto tra i due diversi stadi dell’operazione potesse aiutarci a cogliere quanto la nuova versione, pur mantenendo separate le due Bibliothèques e graficamente distinto l’apparato critico, abbia in qualche modo guidato la nostra lettura dei dati originali; a capire se una concezione della letteratura a noi più vicina li abbia resi, al di là di ragioni di mero ordine pratico, più fruibili e, grazie anche ad un nuovo mercato del libro impostosi definitivamente nel corso del XVIII secolo, abbia contribuito a garantirne la sopravvivenza.

Sulla riedizione settecentesca delle ‘Bibliothèques françoises’di La Croix du Maine et Du Verdier

conconi bruna
2018

Abstract

Quelle che il lettore troverà in queste pagine sono considerazioni a margine di una ricerca in corso attorno alla figura del bibliografo in epoca rinascimentale; una figura emergente nell’universo letterario della prima modernità, eppure di fatto vistosamente esclusa, almeno fino ad epoche molto recenti, dai grandi affreschi tracciati dagli storici della letteratura, che pure, magari storcendo un po’ il naso, alle compilazioni di quei minori avevano attinto a piene mani. Già abbiamo cercato di mostrare in un lavoro dedicato nello specifico alla ricezione della cultura italiana in Francia («Demonstrer ce qui est plus clair que le plein midy»: italianisme et traduction d’après les inventaires de la Croix du Maine et Du Verdier, in «Poco a poco». L’apport de l’édition italienne dans la culture francophone,Tours, CESR-Paris, Bibliothèque Mazarine, 27-30 juin 2017, in corso di stampa), come sin da un primo spoglio dei due più importanti repertori francesi del XVI secolo, le Bibliothèques françoises di François Grudé de La Croix du Maine (1584) e di Antoine Du Verdier (1585), dati significativi potessero emergere non solo per quanto riguarda le informazioni a disposizione del lettore coevo d’Oltralpe, ma anche per ciò che è della circolazione a noi oggi altrimenti ignota di testi destinati al massimo a trovare una collocazione nella casella dei fantasmi librari. Ciò che lo spazio a noi concesso non ci aveva però consentito di prendere allora in esame, e che ci sembrato invece meritevole di qualche riflessione, è come quei testi e le informazioni che essi mettevano in circolo fossero giunti fino a noi. Ci riferiamo segnatamente al fatto che, fino a non molti anni orsono, fino cioè a che la rivoluzione digitale rendesse disponibile la lettura in rete dei due repertori, era alla loro riedizione settecentesca che gli studiosi avevano per lo più fatto ricorso, vuoi per la sua più facile reperibilità, vuoi per la presenza al suo interno di utili apparati extratestuali assenti nella versione originale, di strumenti che rendevano dunque assai più agevole e veloce il reperimento dei dati. Ora, quando nei primi anni anni ’70 del XVIII secolo, Jean-Antoine Rigoley de Juvigny (1709-1788), noto avversario dei Philosophes, decide di rieditare le Bibliothèques françoises, egli non si limita però solo a corredarle di qualche apparato: i sei volumi in-4° che vengono alla luce a Parigi tra il 1772 e il 1773 per i tipi di Saillant et Nyon e Michel Lambert contengono infatti, oltre a più di un testo liminare, le abbondanti annotazioni, le correzioni e le osservazioni critiche raccolte fin dai primi decenni del secolo da almeno due accademici di Francia, Bernard de la Monnaye e il Président Bouhier, e da un membro non meno autorevole dell’Académie des Inscriptions des Belles-Lettres, Camille Falconet. Ecco perché ci è sembrato verosimile ipotizzare che il confronto tra i due diversi stadi dell’operazione potesse aiutarci a cogliere quanto la nuova versione, pur mantenendo separate le due Bibliothèques e graficamente distinto l’apparato critico, abbia in qualche modo guidato la nostra lettura dei dati originali; a capire se una concezione della letteratura a noi più vicina li abbia resi, al di là di ragioni di mero ordine pratico, più fruibili e, grazie anche ad un nuovo mercato del libro impostosi definitivamente nel corso del XVIII secolo, abbia contribuito a garantirne la sopravvivenza.
2018
Alla conquista della modernità. Studi sul Settecento in onore di Daniela Gallingani
71
85
conconi bruna
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/655141
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