Giulio Cesare Croce è stato uno degli autori più frequentati da Camporesi, di cui ha anche offerto l’edizione più affidabile del Bertoldo. Movendo dalle sue indagini, il saggio risale alla vera paternità delle Disgrazie di Bartolino, prima versione italiana del Lazarillo de Tormes attribuita a Croce ma in realtà appartenente a Pompeo Vizzani, e analizza il ruolo di mediatore che Croce ha svolto tra le classi subalterne e la classe dirigente. Da una parte descrive la secolare fatica patita dagli uomini appartenenti al «mondo basso», «materiale e corporeo», dall’altra esorta alla sopportazione, affrontando la piaga della povertà non già in chiave sociale o politica, ma, per così dire, moralistica, prendendosela, oltre che con i peccati degli uomini, puniti per questo con la carestia, con chi ne approfitta per arricchirsi rincarando il pane oltre misura. I suoi contrasti dialogati non sono eristici, ma irenici e si risolvono sempre non già con un vincitore e un vinto, ma con un accordo finale che predica la pace sociale. Pur riflettendo la posizione degli apocalittici censori dell’«oggidì», che scorgevano ovunque i segni del decadimento di una società assediata dalle calamità naturali, dalle guerre, dalla fame, la sua visione concede sempre uno spiraglio alla speranza perché non viene meno la fiducia nell’uomo e nelle sue forze. Nondimeno, a compensare le frustrazioni, Croce si rifugia talvolta nei miti d’evasione, nell’utopia e nei sogni egualitari in grado di riscattare, ma soltanto in una dimensione onirica, un sistema sociale fondato sui privilegi dei padroni.
Battistini, A. (2018). Tormenti e sopportazione della povertà in Giulio Cesare Croce. Milano : il Saggiatore.
Tormenti e sopportazione della povertà in Giulio Cesare Croce
Battistini, A.
2018
Abstract
Giulio Cesare Croce è stato uno degli autori più frequentati da Camporesi, di cui ha anche offerto l’edizione più affidabile del Bertoldo. Movendo dalle sue indagini, il saggio risale alla vera paternità delle Disgrazie di Bartolino, prima versione italiana del Lazarillo de Tormes attribuita a Croce ma in realtà appartenente a Pompeo Vizzani, e analizza il ruolo di mediatore che Croce ha svolto tra le classi subalterne e la classe dirigente. Da una parte descrive la secolare fatica patita dagli uomini appartenenti al «mondo basso», «materiale e corporeo», dall’altra esorta alla sopportazione, affrontando la piaga della povertà non già in chiave sociale o politica, ma, per così dire, moralistica, prendendosela, oltre che con i peccati degli uomini, puniti per questo con la carestia, con chi ne approfitta per arricchirsi rincarando il pane oltre misura. I suoi contrasti dialogati non sono eristici, ma irenici e si risolvono sempre non già con un vincitore e un vinto, ma con un accordo finale che predica la pace sociale. Pur riflettendo la posizione degli apocalittici censori dell’«oggidì», che scorgevano ovunque i segni del decadimento di una società assediata dalle calamità naturali, dalle guerre, dalla fame, la sua visione concede sempre uno spiraglio alla speranza perché non viene meno la fiducia nell’uomo e nelle sue forze. Nondimeno, a compensare le frustrazioni, Croce si rifugia talvolta nei miti d’evasione, nell’utopia e nei sogni egualitari in grado di riscattare, ma soltanto in una dimensione onirica, un sistema sociale fondato sui privilegi dei padroni.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


