Il romanzo Medea. Voci di Christa Wolf (1996) afferma la differenza sessuale come prospettiva critica sul presente e sulla costituzione patriarcale del potere politico. A partire da questa chiave di lettura, nella prima parte dell’intervento sono presi in esame i testi preparatori al romanzo e le diverse ipotesi sviluppate da Wolf per attualizzare il mito producendo un «incontro fra i tempi». Attraverso la riflessione di Hans Blumenberg si mostra dunque come l’autrice abbandoni la strada della ricerca antropologica – ovvero la pretesa di rintracciare un’originaria contrapposizione tra l’ordine matriarcale e quello patriarcale – per riscrivere il mito portando alla luce ciò che esso ha taciuto in quanto espressione della «tradizione maschile», un rapporto sessuale di dominio che, attraverso i tempi, è giunto fino a noi. Nella seconda parte si analizza il personaggio di Medea, «la barbara donna selvaggia», come incarnazione della prospettiva critica definita da Wolf. Il confronto con la tragedia di Euripide e con la riflessione di Luce Irigaray permette di mostrare che gli aggettivi «barbara» e «selvaggia» sono inscritti nel gioco di specchi che l’Occidente e l’Uomo istituiscono per legittimare la propria posizione di dominio. Tuttavia, in quanto è «selvaggia», Medea rifiuta, rivela e interrompe questi rimandi speculativi portando così alla luce il segreto su cui è edificata la città. Non si tratta soltanto dell’infanticidio che sta alla base del potere del re tanto nella barbara Colchide quanto nella civile Corinto. In entrambi i casi la posta in gioco nello scontro per la successione è il dominio sul corpo della donna, sulla sua capacità di generare e conferire alla generazione un senso al di fuori della norma patriarcale. Rivelando questo segreto, Medea può dunque illuminare la natura di un potere che si regge sulla seduzione della morte, sulla paura – la passione politica per eccellenza – e sulla dimenticanza delle proprie origini. Per questo, la «barbara donna selvaggia» deve essere espulsa dalla città. Nell’ultima parte dell’intervento, il parallelo tra il romanzo di Wolf e la riflessione di René Girard è sviluppato per mostrare che non è possibile liberarsi di Medea. In un ordine politico che a un tempo reclama il potere del suo corpo e le nega ogni possibilità di parola, lei è l’ineliminabile «nemico interno». Come «l’informante nativo» di Gayatri Chakravorty Spivak, la «barbara donna selvaggia» è tanto necessaria alla costruzione discorsiva dell’Occidente e del patriarcato quanto «forclusa» da quella costruzione.
Paola Rudan (2018). La barbara donna selvaggia e il segreto della città. Medea di Christa Wolf. Padova : Padova University Press.
La barbara donna selvaggia e il segreto della città. Medea di Christa Wolf
Paola Rudan
2018
Abstract
Il romanzo Medea. Voci di Christa Wolf (1996) afferma la differenza sessuale come prospettiva critica sul presente e sulla costituzione patriarcale del potere politico. A partire da questa chiave di lettura, nella prima parte dell’intervento sono presi in esame i testi preparatori al romanzo e le diverse ipotesi sviluppate da Wolf per attualizzare il mito producendo un «incontro fra i tempi». Attraverso la riflessione di Hans Blumenberg si mostra dunque come l’autrice abbandoni la strada della ricerca antropologica – ovvero la pretesa di rintracciare un’originaria contrapposizione tra l’ordine matriarcale e quello patriarcale – per riscrivere il mito portando alla luce ciò che esso ha taciuto in quanto espressione della «tradizione maschile», un rapporto sessuale di dominio che, attraverso i tempi, è giunto fino a noi. Nella seconda parte si analizza il personaggio di Medea, «la barbara donna selvaggia», come incarnazione della prospettiva critica definita da Wolf. Il confronto con la tragedia di Euripide e con la riflessione di Luce Irigaray permette di mostrare che gli aggettivi «barbara» e «selvaggia» sono inscritti nel gioco di specchi che l’Occidente e l’Uomo istituiscono per legittimare la propria posizione di dominio. Tuttavia, in quanto è «selvaggia», Medea rifiuta, rivela e interrompe questi rimandi speculativi portando così alla luce il segreto su cui è edificata la città. Non si tratta soltanto dell’infanticidio che sta alla base del potere del re tanto nella barbara Colchide quanto nella civile Corinto. In entrambi i casi la posta in gioco nello scontro per la successione è il dominio sul corpo della donna, sulla sua capacità di generare e conferire alla generazione un senso al di fuori della norma patriarcale. Rivelando questo segreto, Medea può dunque illuminare la natura di un potere che si regge sulla seduzione della morte, sulla paura – la passione politica per eccellenza – e sulla dimenticanza delle proprie origini. Per questo, la «barbara donna selvaggia» deve essere espulsa dalla città. Nell’ultima parte dell’intervento, il parallelo tra il romanzo di Wolf e la riflessione di René Girard è sviluppato per mostrare che non è possibile liberarsi di Medea. In un ordine politico che a un tempo reclama il potere del suo corpo e le nega ogni possibilità di parola, lei è l’ineliminabile «nemico interno». Come «l’informante nativo» di Gayatri Chakravorty Spivak, la «barbara donna selvaggia» è tanto necessaria alla costruzione discorsiva dell’Occidente e del patriarcato quanto «forclusa» da quella costruzione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.