Il testo discute l'approccio metodologico di Leandro Alberti alle fonti geografiche disponibili alla sua epoca, e utilizzate effettivamente nella compilazione della sua grande opera, la Descrittione di tutta Italia (Bologna, Giaccarelli, 1550). All’epoca di Alberti l’idea di una terra chiamata Italia, racchiusa tra le montagne e il mare, aveva già una lunga storia. Gli antichi (da Polibio a Plinio a Tolomeo a Strabone) avevano fornito le prime immagini della sua forma. Gli intellettuali del Rinascimento giudicano questi autori un punto di riferimento necessario. Ma spesso i loro testi sono corrotti, bisogna anche tradurli dal greco in latino, per diffonderne la conoscenza. Strabone e Tolomeo propongono però modelli diversi di conoscenza geografica. Ciò che il libro di Tolomeo offre agli uomini del Rinascimento è soprattutto un metodo (dimenticato da un millennio) per disegnare carte geografiche. Qui, l’immagine si sostituisce alla parola come fondamento di conoscenze che sono certe, perché basate su valori matematici: i dati di latitudine e di longitudine che àncorano la superficie della terra alla volta del cielo. Strabone, invece, usa la parola per descrivere il mondo e il suo multiforme aspetto, legando però i luoghi alla presenza degli uomini, quindi alla storia: la sua geografia è una scienza politica, che serve (è lui stesso a dircelo) «alla pratica del governo e alle sue esigenze». Fra Leandro si muove a proprio agio tra questi libri. La sua Descrittione si colloca però nel solco della tradizione straboniana: lo rende evidente la stretta relazione stabilita, sulle sue pagine, tra uomini e spazio. I luoghi assorbono l’eredità della storia; vizi e virtù di ieri prolungano i propri effetti fin nel presente. Di qui la sua viva attenzione per i più antichi abitatori di ogni regione, per i fondatori delle città. La sua passione antiquaria lo farà cadere nella trappola degli Auctores antiquissimi di Annio da Viterbo, che promettevano di aprire all’indagine storica strati temporali profondi, rimasti ignoti agli storici greci e romani. Si trattava invece di un falso, clamoroso quanto ben costruito. Del resto, la scelta tra le diverse fonti non è semplice. Anche perché la descrizione di un grande paese come l’Italia comporta il ricorso a una serie ricchissima di testi, prodotti in epoche diverse. Il risultato non è sempre criticamente sorvegliato. In genere, anzi, Alberti tende ad affastellare una quantità di autori, senza preoccuparsi troppo della coerenza complessiva: sicché un testo umanistico rigoroso come le Cornucopiae del Perotti può stare accanto alle fantasie di Fazio degli Uberti, o a compilazioni come il Tractatus civitatum di Girolamo Albertucci. Fra Leandro sa che la qualità del risultato dipende dalla qualità dei materiali utilizzati. Di qui la sua ricerca di fonti specifiche, meglio se recenti, dalla Rhaetia Alpina dello svizzero Tschudi, alle Historiae ferrarienses del Prisciani, al trattato cosmografico del Maurolico. Non sempre la scelta è felice: per la Liguria, ad esempio, Alberti preferirà la vecchia Descriptio Lyguriae del Bracelli al lavoro più recente e più ricco di Agostino Giustiniani (1537), domenicano a lui ben noto. Questo immane lavoro di documentazione non trascura gli storici contemporanei, testimoni come lui della crisi che trasformò profondamente la realtà politica italiana

Il laboratorio di fra Leandro / M. Donattini. - STAMPA. - (2008), pp. 171-183.

Il laboratorio di fra Leandro

DONATTINI, MASSIMO
2008

Abstract

Il testo discute l'approccio metodologico di Leandro Alberti alle fonti geografiche disponibili alla sua epoca, e utilizzate effettivamente nella compilazione della sua grande opera, la Descrittione di tutta Italia (Bologna, Giaccarelli, 1550). All’epoca di Alberti l’idea di una terra chiamata Italia, racchiusa tra le montagne e il mare, aveva già una lunga storia. Gli antichi (da Polibio a Plinio a Tolomeo a Strabone) avevano fornito le prime immagini della sua forma. Gli intellettuali del Rinascimento giudicano questi autori un punto di riferimento necessario. Ma spesso i loro testi sono corrotti, bisogna anche tradurli dal greco in latino, per diffonderne la conoscenza. Strabone e Tolomeo propongono però modelli diversi di conoscenza geografica. Ciò che il libro di Tolomeo offre agli uomini del Rinascimento è soprattutto un metodo (dimenticato da un millennio) per disegnare carte geografiche. Qui, l’immagine si sostituisce alla parola come fondamento di conoscenze che sono certe, perché basate su valori matematici: i dati di latitudine e di longitudine che àncorano la superficie della terra alla volta del cielo. Strabone, invece, usa la parola per descrivere il mondo e il suo multiforme aspetto, legando però i luoghi alla presenza degli uomini, quindi alla storia: la sua geografia è una scienza politica, che serve (è lui stesso a dircelo) «alla pratica del governo e alle sue esigenze». Fra Leandro si muove a proprio agio tra questi libri. La sua Descrittione si colloca però nel solco della tradizione straboniana: lo rende evidente la stretta relazione stabilita, sulle sue pagine, tra uomini e spazio. I luoghi assorbono l’eredità della storia; vizi e virtù di ieri prolungano i propri effetti fin nel presente. Di qui la sua viva attenzione per i più antichi abitatori di ogni regione, per i fondatori delle città. La sua passione antiquaria lo farà cadere nella trappola degli Auctores antiquissimi di Annio da Viterbo, che promettevano di aprire all’indagine storica strati temporali profondi, rimasti ignoti agli storici greci e romani. Si trattava invece di un falso, clamoroso quanto ben costruito. Del resto, la scelta tra le diverse fonti non è semplice. Anche perché la descrizione di un grande paese come l’Italia comporta il ricorso a una serie ricchissima di testi, prodotti in epoche diverse. Il risultato non è sempre criticamente sorvegliato. In genere, anzi, Alberti tende ad affastellare una quantità di autori, senza preoccuparsi troppo della coerenza complessiva: sicché un testo umanistico rigoroso come le Cornucopiae del Perotti può stare accanto alle fantasie di Fazio degli Uberti, o a compilazioni come il Tractatus civitatum di Girolamo Albertucci. Fra Leandro sa che la qualità del risultato dipende dalla qualità dei materiali utilizzati. Di qui la sua ricerca di fonti specifiche, meglio se recenti, dalla Rhaetia Alpina dello svizzero Tschudi, alle Historiae ferrarienses del Prisciani, al trattato cosmografico del Maurolico. Non sempre la scelta è felice: per la Liguria, ad esempio, Alberti preferirà la vecchia Descriptio Lyguriae del Bracelli al lavoro più recente e più ricco di Agostino Giustiniani (1537), domenicano a lui ben noto. Questo immane lavoro di documentazione non trascura gli storici contemporanei, testimoni come lui della crisi che trasformò profondamente la realtà politica italiana
2008
In BUB. Ricerche e cataloghi sui fondi della Biblioteca Universitaria di Bologna
171
183
Il laboratorio di fra Leandro / M. Donattini. - STAMPA. - (2008), pp. 171-183.
M. Donattini
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/64329
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