A partire dalla seconda metà del Ventesimo secolo nella società occidentale si è assistito ad una vera e propria rivoluzione demografica: l’aspettativa di vita si è allungata e l’età media della popolazione è passata da 54 a 80 anni (Chattat, 2004). Tale aumento ha fatto sì che il tema della “fragilità” dell’anziano abbia assunto caratteri di emergenza e che le patologie di carattere degenerativo che comportano un deterioramento cognitivo, ed in particolare il morbo di Alzheimer (Alzheimer’s Disease, AD), abbiano ricevuto un’attenzione crescente in campo clinico per il loro alto costo sociale. Vi è una difficoltà oggettiva nel determinare l’entità e la natura delle modificazioni delle funzioni cognitive correlate all’età rispetto a quelle imputabili a un disturbo di tipo dementigeno, soprattutto in ragione dell’elevata variabilità interindividuale che caratterizza il declino delle attività intellettive nel corso della terza e della quarta età. Non esiste, infatti, una soglia sul piano biologico che delimiti il passaggio da una situazione di normalità cognitiva ad una di demenza severa e conclamata; si tratta piuttosto di un continuum cognitivo, che va dall’invecchiamento normale alla demenza passando per una fase di compromissione cognitiva lieve. Il Mild Cognitive Impairment (MCI), come entità clinica, individua appunto questa zona grigia. Ad oggi non esiste, purtroppo, un trattamento farmacologico in grado di prevenire o di far regredire il processo degenerativo che porta alla morte neuronale che caratterizza la malattia dal punto di vista pato-fisiologico. È perciò auspicabile che la diagnosi giunga in una fase precoce, nella quale le funzioni cognitive siano ancora conservate. Da un lato ciò rende infatti possibile mettere in campo trattamenti terapeutici in grado di ritardarne la progressione, rallentando ad esempio la deposizione nel cervello di proteina amiloide coinvolta nell’eziopatogenesi della malattia; dall’altro una diagnosi preclinica consente al paziente di prendere attivamente parte alle discussioni sul proprio futuro, in una fase in cui la sua capacità decisionale non risulta ancora intaccata o lo è solo in minima parte (Morris et al., 2001). L’articolo presenterà la struttura e le modalità di taratura della batteria di test SMAAV (“Semantic Memory Assessment on Action Verbs”). Tale strumento, creato a partire da una selezione di dati estratti dall’ontologia IMAGACT (Moneglia et al., 2014), potrebbe essere utilizzato a supporto delle batterie tradizionalmente impiegate in ambito clinico e sperimentale per lo studio e la diagnosi del disturbo alla luce della semantica dei verbi d’azione.

“SMAAV”: una batteria di test semantici per lo studio e la diagnosi del Mild Cognitive Impairment.

Gloria Gagliardi
2017

Abstract

A partire dalla seconda metà del Ventesimo secolo nella società occidentale si è assistito ad una vera e propria rivoluzione demografica: l’aspettativa di vita si è allungata e l’età media della popolazione è passata da 54 a 80 anni (Chattat, 2004). Tale aumento ha fatto sì che il tema della “fragilità” dell’anziano abbia assunto caratteri di emergenza e che le patologie di carattere degenerativo che comportano un deterioramento cognitivo, ed in particolare il morbo di Alzheimer (Alzheimer’s Disease, AD), abbiano ricevuto un’attenzione crescente in campo clinico per il loro alto costo sociale. Vi è una difficoltà oggettiva nel determinare l’entità e la natura delle modificazioni delle funzioni cognitive correlate all’età rispetto a quelle imputabili a un disturbo di tipo dementigeno, soprattutto in ragione dell’elevata variabilità interindividuale che caratterizza il declino delle attività intellettive nel corso della terza e della quarta età. Non esiste, infatti, una soglia sul piano biologico che delimiti il passaggio da una situazione di normalità cognitiva ad una di demenza severa e conclamata; si tratta piuttosto di un continuum cognitivo, che va dall’invecchiamento normale alla demenza passando per una fase di compromissione cognitiva lieve. Il Mild Cognitive Impairment (MCI), come entità clinica, individua appunto questa zona grigia. Ad oggi non esiste, purtroppo, un trattamento farmacologico in grado di prevenire o di far regredire il processo degenerativo che porta alla morte neuronale che caratterizza la malattia dal punto di vista pato-fisiologico. È perciò auspicabile che la diagnosi giunga in una fase precoce, nella quale le funzioni cognitive siano ancora conservate. Da un lato ciò rende infatti possibile mettere in campo trattamenti terapeutici in grado di ritardarne la progressione, rallentando ad esempio la deposizione nel cervello di proteina amiloide coinvolta nell’eziopatogenesi della malattia; dall’altro una diagnosi preclinica consente al paziente di prendere attivamente parte alle discussioni sul proprio futuro, in una fase in cui la sua capacità decisionale non risulta ancora intaccata o lo è solo in minima parte (Morris et al., 2001). L’articolo presenterà la struttura e le modalità di taratura della batteria di test SMAAV (“Semantic Memory Assessment on Action Verbs”). Tale strumento, creato a partire da una selezione di dati estratti dall’ontologia IMAGACT (Moneglia et al., 2014), potrebbe essere utilizzato a supporto delle batterie tradizionalmente impiegate in ambito clinico e sperimentale per lo studio e la diagnosi del disturbo alla luce della semantica dei verbi d’azione.
2017
Il linguaggio disturbato: Modelli, strumenti, dati empirici.
79
92
Gloria Gagliardi
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