La cervicalgia è uno dei disturbi muscoloscheletrici più comuni; sebbene il suo andamento sia benigno e tenda a risolversi spontaneamente, incide in modo significativo in termini di costi economici e sociali. Tra i fattori di rischio assumono importanza rilevante gli aspetti occupazionali, il mantenimento di prolungate posture sedute e l’esecuzione di movimenti ripetuti di flessione e rotazione del tronco. L’eziologia non è chiara, ma sembra che circa il 50% delle cervicalgie croniche siano dovute ad un problema a carico delle articolazioni zigoapofisarie. La ricchezza di elementi viscerali nel collo richiede, nell’esame clinico, un’attenta ricerca delle “red flags”, al fine di escludere la presenza di importanti patologie non di competenza riabilitativa. L’esecuzione di esami radiologici, in assenza di traumi, non è quasi mai necessaria, non fornendo elementi utili alla diagnosi o alla terapia. Nel caso di trauma, per decidere la necessità di prescrivere un esame radiologico è utile riferirsi alla C-spine rule. Recenti lavori sperimentali hanno evidenziato un’associazione tra la cervicalgia e la diminuzione della capacità di reclutamento dei muscoli flessori profondi del collo. Nella cervicalgia acuta la terapia più efficace appare essere la combinazione della terapia manuale e dell’esercizio terapeutico, mentre nella cervicalgia cronica a questi presidi terapeutici si aggiunge la termodenervazione percutanea in radiofrequenza, eseguita sulla branca mediale del ramo dorsale del nervo spinale. La posologia dell’intervento manuale, mobilizzativo e manipolativo e dell’esercizio terapeutico dipenderà dalla valutazione della capacità di carico locale delle strutture interessate e generale della persona. Le scelte diagnostiche e terapeutiche dovrebbero essere prese mediando le prove di efficacia disponibili con “l’expertise” del fisioterapista e con i valori del paziente, esprimendo una pratica clinica dove la “individualizzazione” dell’intervento prende il sopravvento sulla modalità “a protocollo”, in accordo con una metodologia di “evidence based clinical pratice”. L’utilizzo di un modello di ragionamento clinico basato sulla visione biopsicosociale suggerita dalla International Classification of Functioning (ICF) e sul concetto di “carico-capacità di carico”, costituisce lo sfondo concettuale su cui l’approccio “Evidence Based Clinical Practice” si realizza pienamente.
Approccio clinico e riabilitativo alla cervicalgia
PILLASTRINI, PAOLO;
2008
Abstract
La cervicalgia è uno dei disturbi muscoloscheletrici più comuni; sebbene il suo andamento sia benigno e tenda a risolversi spontaneamente, incide in modo significativo in termini di costi economici e sociali. Tra i fattori di rischio assumono importanza rilevante gli aspetti occupazionali, il mantenimento di prolungate posture sedute e l’esecuzione di movimenti ripetuti di flessione e rotazione del tronco. L’eziologia non è chiara, ma sembra che circa il 50% delle cervicalgie croniche siano dovute ad un problema a carico delle articolazioni zigoapofisarie. La ricchezza di elementi viscerali nel collo richiede, nell’esame clinico, un’attenta ricerca delle “red flags”, al fine di escludere la presenza di importanti patologie non di competenza riabilitativa. L’esecuzione di esami radiologici, in assenza di traumi, non è quasi mai necessaria, non fornendo elementi utili alla diagnosi o alla terapia. Nel caso di trauma, per decidere la necessità di prescrivere un esame radiologico è utile riferirsi alla C-spine rule. Recenti lavori sperimentali hanno evidenziato un’associazione tra la cervicalgia e la diminuzione della capacità di reclutamento dei muscoli flessori profondi del collo. Nella cervicalgia acuta la terapia più efficace appare essere la combinazione della terapia manuale e dell’esercizio terapeutico, mentre nella cervicalgia cronica a questi presidi terapeutici si aggiunge la termodenervazione percutanea in radiofrequenza, eseguita sulla branca mediale del ramo dorsale del nervo spinale. La posologia dell’intervento manuale, mobilizzativo e manipolativo e dell’esercizio terapeutico dipenderà dalla valutazione della capacità di carico locale delle strutture interessate e generale della persona. Le scelte diagnostiche e terapeutiche dovrebbero essere prese mediando le prove di efficacia disponibili con “l’expertise” del fisioterapista e con i valori del paziente, esprimendo una pratica clinica dove la “individualizzazione” dell’intervento prende il sopravvento sulla modalità “a protocollo”, in accordo con una metodologia di “evidence based clinical pratice”. L’utilizzo di un modello di ragionamento clinico basato sulla visione biopsicosociale suggerita dalla International Classification of Functioning (ICF) e sul concetto di “carico-capacità di carico”, costituisce lo sfondo concettuale su cui l’approccio “Evidence Based Clinical Practice” si realizza pienamente.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.