Nel corso di pochi anni il Movimento 5 stelle (M5s) è riuscito in modo sorprendente ad ampliare notevolmente i propri consensi. Uno degli effetti più rilevanti di questo successo è stato quello di destabilizzare un equilibrio politico faticosamente raggiunto nel corso della Seconda Repubblica, basato sulla competizione bipolare tra una coalizione di centrodestra e una di centrosinistra. Come è stato documentato nel capitolo precedente, la fine del bipolarismo si è manifestata in tutta la sua evidenza con le elezioni generali del 2013, quando lo «tsunami» cinquestelle ha reso palese una spaccatura dell’elettorato in tre blocchi: una parte rimasta fedele al Partito democratico (Pd) e al centrosinistra, un’altra vicina a Silvio Berlusconi e ai suoi alleati e, infine, i nuovi «cittadini» che hanno appoggiato con entusiasmo il Movimento [Bordignon, Ceccarini e Diamanti 2013]. Ma dal 2013 a oggi molte cose sono cambiate. Il Pd a vocazione maggioritaria di Matteo Renzi si è allontanato dai suoi tradizionali alleati a sinistra per cercare di conquistare gli elettori moderati ormai delusi da Berlusconi. Quest’ultimo, dopo anni di egemonia incontrastata sul centrodestra, ha visto la sua leadership indebolita e sfidata, prima da Angelino Alfano e poi da Matteo Salvini. Il primo ha successivamente creato un suo soggetto politico – il Nuovo centrodestra (ora Alternativa popolare) – che nel momento in cui scriviamo è partner del Pd al governo. Il secondo ha trasformato la Lega nord (Ln) in una formazione sovranista – sul modello del Front National in Francia – accentuando il carattere euroscettico e anti-immigrazione del partito. Eppure, nonostante tutti questi cambiamenti, giravolte e scissioni, la situazione che si registra nelle opinioni di voto nel dicembre 2016, a pochi mesi dalle elezioni politiche, risulta non molto diversa da quella osservata quasi cinque anni prima: secondo la gran parte dei sondaggi, se si tornasse a votare a breve, circa tre elettori su dieci sceglierebbero con alta probabilità il M5s. Cosa può spingere tanti elettori a votare per un partito che solo fino a pochi anni fa non esisteva, in un Paese, peraltro, dove ogni casella della tradizionale dimensione sinistra-destra sembra essere già occupata? Allargando lo sguardo al panorama internazionale, una possibile spiegazione delle fortune elettorali dei cinquestelle potrebbe essere messa in relazione con il notevole successo fatto registrare negli ultimi anni, in molti Paesi europei e non solo, da forze politiche variamente identificate sotto l’etichetta del «populismo». Un’etichetta in larga parte ambigua, che tuttavia coglie, nella sua accezione di «ideologia sottile» [Mudde 2004, 543], un sentimento antagonistico che contrappone la gente comune, descritta come saggia e virtuosa, alle classi dirigenti, viste come corrotte e disoneste. È questa retorica antiestablishment a costituire la matrice comune a tutte le forze populiste emerse negli ultimi anni, le quali possono però adattarla enfatizzando aspetti diversi del dualismo tra popolo ed élite. Alcuni partiti indirizzano il loro risentimento prevalentemente contro le élite finanziarie ed economiche, accusate di perpetuare l’egemonia del neoliberismo; altri, invece, sottolineano soprattutto i rischi connessi con il cattivo funzionamento della democrazia rappresentativa. Altre formazioni populiste, poi, fanno proprio un messaggio più xenofobo e nazionalista, denunciando la minaccia costituita dai flussi migratori senza controllo e scagliandosi contro la globalizzazione e le élite cosmopolite che l’hanno voluta e sostenuta. Non uno, dunque, ma molti diversi populismi. Variamente connotati ideologicamente, a seconda dei differenti atteggiamenti che i vari gruppi politici esprimono e che poi adattano sul piano concreto a piattaforme politiche più tradizionali. Si configurano così almeno tre tipi di populismo: uno di matrice neoliberale, un secondo vicino all’estrema destra e un terzo maggiormente connotato da temi sociali [Mudde 2007]. Quest’ultimo, in particolare, esprime una versione «a sinistra» del populismo, la quale combina la classica retorica anticasta a una piattaforma ideologica vicina a quella dei partiti socialdemocratici [March 2011]. In questa mappa concettuale, il partito guidato da Beppe Grillo sfugge sin dalle origini a facili classificazioni. Si tratta di uno «strano animale» [Corbetta 2013, 197] in cui si sono riconosciuti alcuni tratti dell’esperienza dei partiti verdi e della «sinistra libertaria», ma anche elementi specifici che riconducono il partito proprio all’alveo del populismo – in particolar modo a quello di sinistra [Biorcio 2015a; Segatti e Capuzzi 2017]. Come tale, quindi, il crescente successo del M5s potrebbe essere decifrato grazie all’aiuto di quelle prospettive teoriche che cercano di fare luce sulle ragioni della disaffezione degli elettori verso i partiti tradizionali e sulla crescente popolarità dei partiti populisti – fenomeni testimoniati dal voto per la Brexit, dall’affermazione di Donald Trump nelle elezioni presidenziali americane o dal successo di formazioni come Podemos in Spagna, Syriza in Grecia e Partij Voor de Vrijheid nei Paesi Bassi, solo per citarne alcuni. Tra queste prospettive la più nota è quella della «disuguaglianza economica», secondo la quale il comportamento degli elettori sarebbe influenzato dai profondi cambiamenti economici e sociali che hanno trasformato la forza lavoro e la società nelle democrazie postindustriali, cambiamenti sui quali a partire dal 2008 si sono innestati gli effetti della Grande recessione globale [Kriesi e Pappas 2015; Inglehart e Norris 2016]1. In questo capitolo, cercheremo di capire se le categorie sociali maggiormente colpite dai grandi mutamenti economici e dalla crisi siano effettivamente più propense a votare il M5s rispetto agli altri partiti, e se quindi il successo del Movimento possa essere interpretato come una risposta alle crescenti disuguaglianze economiche e alla progressiva espansione di una fascia di «esclusi» nella popolazione italiana. Nell’analisi faremo ricorso ai dati sulle intenzioni di voto degli italiani che sono stati raccolti, attraverso interviste con cadenza settimanale, dalla società Ipsos. Tali dati ci consentono di tracciare non solo gli orientamenti di voto, ma anche le principali caratteristiche sociodemografiche e politiche di un campione rappresentativo dell’elettorato italiano per genere, classe di età, titolo di studio, condizione professionale, area geografica e ampiezza del comune di residenza2. La mole informativa di cui disponiamo è il prodotto di ondate successive di circa 900 interviste per settimana, somministrate su telefono fisso, su cellulare e online. In totale disponiamo quindi di 230.422 interviste, effettuate tra il gennaio del 2012 e il dicembre del 2016, per una media di oltre 46 mila interviste all’anno: numeri che fanno del campione impiegato in questa ricerca il più vasto mai utilizzato per studiare il partito di Grillo. Attraverso l’analisi di tali dati cercheremo di stabilire se il consenso per il M5s registrato nel 2016 è in qualche modo associabile ad alcune caratteristiche sociodemografiche che numerosi studi hanno collegato all’elettorato populista. Per capire se il M5s abbia una sua originalità demografica rispetto ai principali competitors, verificheremo poi quali tra gli elettorati degli altri partiti italiani presentino caratteristiche più simili all’elettorato cinquestelle e quali si connotano invece come alternativi a esso. Dato che nel suo percorso di crescita il M5s ha saputo trasformarsi, conquistando nelle elezioni politiche del 2013 il consenso di più del 25% dei votanti e mostrando di sapere attrarre un elettorato dalle caratteristiche piuttosto variegate [Maraffi, Pedrazzani e Pinto 2013], estenderemo la nostra analisi sui quattro anni fra il 2012 e il 2016 per valutare se e come siano cambiate nel tempo le caratteristiche degli elettori cinquestelle. Avremo così modo di stabilire se il crescente consenso del M5s registrato tra il 2012 e il 2016 possa leggersi anche come il prodotto della graduale evoluzione del partito verso un modello «pigliatutti». Attraverso la lente interpretativa fornita da quegli studi che collegano la fortuna elettorale dei partiti populisti alla lunga crisi economica e finanziaria, nel prossimo paragrafo indagheremo la capacità di attrazione del M5s tra le varie categorie sociali, confrontandola con quella degli altri principali partiti italiani (par. 2). Cercheremo di individuare poi, tra tutti i partiti italiani, le formazioni che presentano un elettorato vicino a quello del partito di Grillo (par. 3). In seguito, ci soffermeremo invece sulle caratteristiche che aveva inizialmente l’elettorato del Movimento, valutando se (e come) i tratti originari siano cambiati e quanto essi siano oggi più o meno vicini a quelli di un partito che sia specchio fedele delle caratteristiche di tutto l’elettorato (par. 4). Infine, lasceremo da parte le valutazioni legate alle caratteristiche sociodemografiche, per dedicarci alle preferenze politiche degli elettori cinquestelle (par. 5). Le considerazioni finali seguono nel paragrafo conclusivo (par. 6).
andrea pedrazzani, luca pinto (2017). Dove pesca la rete del Movimento: le basi sociali del suo voto. Bologna : Il Mulino.
Dove pesca la rete del Movimento: le basi sociali del suo voto
andrea pedrazzani;luca pinto
2017
Abstract
Nel corso di pochi anni il Movimento 5 stelle (M5s) è riuscito in modo sorprendente ad ampliare notevolmente i propri consensi. Uno degli effetti più rilevanti di questo successo è stato quello di destabilizzare un equilibrio politico faticosamente raggiunto nel corso della Seconda Repubblica, basato sulla competizione bipolare tra una coalizione di centrodestra e una di centrosinistra. Come è stato documentato nel capitolo precedente, la fine del bipolarismo si è manifestata in tutta la sua evidenza con le elezioni generali del 2013, quando lo «tsunami» cinquestelle ha reso palese una spaccatura dell’elettorato in tre blocchi: una parte rimasta fedele al Partito democratico (Pd) e al centrosinistra, un’altra vicina a Silvio Berlusconi e ai suoi alleati e, infine, i nuovi «cittadini» che hanno appoggiato con entusiasmo il Movimento [Bordignon, Ceccarini e Diamanti 2013]. Ma dal 2013 a oggi molte cose sono cambiate. Il Pd a vocazione maggioritaria di Matteo Renzi si è allontanato dai suoi tradizionali alleati a sinistra per cercare di conquistare gli elettori moderati ormai delusi da Berlusconi. Quest’ultimo, dopo anni di egemonia incontrastata sul centrodestra, ha visto la sua leadership indebolita e sfidata, prima da Angelino Alfano e poi da Matteo Salvini. Il primo ha successivamente creato un suo soggetto politico – il Nuovo centrodestra (ora Alternativa popolare) – che nel momento in cui scriviamo è partner del Pd al governo. Il secondo ha trasformato la Lega nord (Ln) in una formazione sovranista – sul modello del Front National in Francia – accentuando il carattere euroscettico e anti-immigrazione del partito. Eppure, nonostante tutti questi cambiamenti, giravolte e scissioni, la situazione che si registra nelle opinioni di voto nel dicembre 2016, a pochi mesi dalle elezioni politiche, risulta non molto diversa da quella osservata quasi cinque anni prima: secondo la gran parte dei sondaggi, se si tornasse a votare a breve, circa tre elettori su dieci sceglierebbero con alta probabilità il M5s. Cosa può spingere tanti elettori a votare per un partito che solo fino a pochi anni fa non esisteva, in un Paese, peraltro, dove ogni casella della tradizionale dimensione sinistra-destra sembra essere già occupata? Allargando lo sguardo al panorama internazionale, una possibile spiegazione delle fortune elettorali dei cinquestelle potrebbe essere messa in relazione con il notevole successo fatto registrare negli ultimi anni, in molti Paesi europei e non solo, da forze politiche variamente identificate sotto l’etichetta del «populismo». Un’etichetta in larga parte ambigua, che tuttavia coglie, nella sua accezione di «ideologia sottile» [Mudde 2004, 543], un sentimento antagonistico che contrappone la gente comune, descritta come saggia e virtuosa, alle classi dirigenti, viste come corrotte e disoneste. È questa retorica antiestablishment a costituire la matrice comune a tutte le forze populiste emerse negli ultimi anni, le quali possono però adattarla enfatizzando aspetti diversi del dualismo tra popolo ed élite. Alcuni partiti indirizzano il loro risentimento prevalentemente contro le élite finanziarie ed economiche, accusate di perpetuare l’egemonia del neoliberismo; altri, invece, sottolineano soprattutto i rischi connessi con il cattivo funzionamento della democrazia rappresentativa. Altre formazioni populiste, poi, fanno proprio un messaggio più xenofobo e nazionalista, denunciando la minaccia costituita dai flussi migratori senza controllo e scagliandosi contro la globalizzazione e le élite cosmopolite che l’hanno voluta e sostenuta. Non uno, dunque, ma molti diversi populismi. Variamente connotati ideologicamente, a seconda dei differenti atteggiamenti che i vari gruppi politici esprimono e che poi adattano sul piano concreto a piattaforme politiche più tradizionali. Si configurano così almeno tre tipi di populismo: uno di matrice neoliberale, un secondo vicino all’estrema destra e un terzo maggiormente connotato da temi sociali [Mudde 2007]. Quest’ultimo, in particolare, esprime una versione «a sinistra» del populismo, la quale combina la classica retorica anticasta a una piattaforma ideologica vicina a quella dei partiti socialdemocratici [March 2011]. In questa mappa concettuale, il partito guidato da Beppe Grillo sfugge sin dalle origini a facili classificazioni. Si tratta di uno «strano animale» [Corbetta 2013, 197] in cui si sono riconosciuti alcuni tratti dell’esperienza dei partiti verdi e della «sinistra libertaria», ma anche elementi specifici che riconducono il partito proprio all’alveo del populismo – in particolar modo a quello di sinistra [Biorcio 2015a; Segatti e Capuzzi 2017]. Come tale, quindi, il crescente successo del M5s potrebbe essere decifrato grazie all’aiuto di quelle prospettive teoriche che cercano di fare luce sulle ragioni della disaffezione degli elettori verso i partiti tradizionali e sulla crescente popolarità dei partiti populisti – fenomeni testimoniati dal voto per la Brexit, dall’affermazione di Donald Trump nelle elezioni presidenziali americane o dal successo di formazioni come Podemos in Spagna, Syriza in Grecia e Partij Voor de Vrijheid nei Paesi Bassi, solo per citarne alcuni. Tra queste prospettive la più nota è quella della «disuguaglianza economica», secondo la quale il comportamento degli elettori sarebbe influenzato dai profondi cambiamenti economici e sociali che hanno trasformato la forza lavoro e la società nelle democrazie postindustriali, cambiamenti sui quali a partire dal 2008 si sono innestati gli effetti della Grande recessione globale [Kriesi e Pappas 2015; Inglehart e Norris 2016]1. In questo capitolo, cercheremo di capire se le categorie sociali maggiormente colpite dai grandi mutamenti economici e dalla crisi siano effettivamente più propense a votare il M5s rispetto agli altri partiti, e se quindi il successo del Movimento possa essere interpretato come una risposta alle crescenti disuguaglianze economiche e alla progressiva espansione di una fascia di «esclusi» nella popolazione italiana. Nell’analisi faremo ricorso ai dati sulle intenzioni di voto degli italiani che sono stati raccolti, attraverso interviste con cadenza settimanale, dalla società Ipsos. Tali dati ci consentono di tracciare non solo gli orientamenti di voto, ma anche le principali caratteristiche sociodemografiche e politiche di un campione rappresentativo dell’elettorato italiano per genere, classe di età, titolo di studio, condizione professionale, area geografica e ampiezza del comune di residenza2. La mole informativa di cui disponiamo è il prodotto di ondate successive di circa 900 interviste per settimana, somministrate su telefono fisso, su cellulare e online. In totale disponiamo quindi di 230.422 interviste, effettuate tra il gennaio del 2012 e il dicembre del 2016, per una media di oltre 46 mila interviste all’anno: numeri che fanno del campione impiegato in questa ricerca il più vasto mai utilizzato per studiare il partito di Grillo. Attraverso l’analisi di tali dati cercheremo di stabilire se il consenso per il M5s registrato nel 2016 è in qualche modo associabile ad alcune caratteristiche sociodemografiche che numerosi studi hanno collegato all’elettorato populista. Per capire se il M5s abbia una sua originalità demografica rispetto ai principali competitors, verificheremo poi quali tra gli elettorati degli altri partiti italiani presentino caratteristiche più simili all’elettorato cinquestelle e quali si connotano invece come alternativi a esso. Dato che nel suo percorso di crescita il M5s ha saputo trasformarsi, conquistando nelle elezioni politiche del 2013 il consenso di più del 25% dei votanti e mostrando di sapere attrarre un elettorato dalle caratteristiche piuttosto variegate [Maraffi, Pedrazzani e Pinto 2013], estenderemo la nostra analisi sui quattro anni fra il 2012 e il 2016 per valutare se e come siano cambiate nel tempo le caratteristiche degli elettori cinquestelle. Avremo così modo di stabilire se il crescente consenso del M5s registrato tra il 2012 e il 2016 possa leggersi anche come il prodotto della graduale evoluzione del partito verso un modello «pigliatutti». Attraverso la lente interpretativa fornita da quegli studi che collegano la fortuna elettorale dei partiti populisti alla lunga crisi economica e finanziaria, nel prossimo paragrafo indagheremo la capacità di attrazione del M5s tra le varie categorie sociali, confrontandola con quella degli altri principali partiti italiani (par. 2). Cercheremo di individuare poi, tra tutti i partiti italiani, le formazioni che presentano un elettorato vicino a quello del partito di Grillo (par. 3). In seguito, ci soffermeremo invece sulle caratteristiche che aveva inizialmente l’elettorato del Movimento, valutando se (e come) i tratti originari siano cambiati e quanto essi siano oggi più o meno vicini a quelli di un partito che sia specchio fedele delle caratteristiche di tutto l’elettorato (par. 4). Infine, lasceremo da parte le valutazioni legate alle caratteristiche sociodemografiche, per dedicarci alle preferenze politiche degli elettori cinquestelle (par. 5). Le considerazioni finali seguono nel paragrafo conclusivo (par. 6).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.