Giorgio Trebisonda era un emigrante Greco che già nel suo paese aveva imparato molto bene la grammatica e la retorica. Arrivò a Venezia molto giovane per lavorare nella biblioteca di Francesco Barbaro e passò gran parte della sua vita in Italia insegnando. Nell’ultimo libro del suo manuale, Rhetoricorum Libri V, egli, dedicando un’attenzione particolare all’elocutio, elabora un insieme molto interessante di precetti, intrecciando la teoria degli stili con la dottrina ermogenea delle ijdevai fino ad allora sconosciuta agli autori di manuali latini. Giorgio Trebisonda aveva già trattato brevemente questa questione, una prima volta, in una lettera indirizzata al suo maestro Vittorino da Feltre e concernente esplicitamente i genera dicendi, una seconda volta, in una lunga lettera mandata a Girolamo Bragadin per dargli consigli su come ottenere la suavitas dicendi. Lamentando di non potere fare riferimento a fonti latine e di conseguenza di trovarsi nella duplice difficoltà di dovere tradurre in latino la terminologia specifica della dottrina Ermogenea e di dovere trovare esempi latini per illustrarla, Giorgio Trebisonda cerca di superare questa difficoltà sostituendo a Demostene, l’autore paradigmatico in Ermogene, Cicerone, dalle cui opere attinge la maggior parte del materiale che inserisce nella dottrina Ermogenea con un risultato veramente eccezionale. Egli si dimostra in grado di maneggiare entrambe le fonti con notevole competenza, passando dall’una all’altra con la più grande libertà. Il ponte tra esse è, a mio parere, il rapporto che egli istituisce considerando le formae o genera dicendi, come egli chiama le ijdevai, singole entità che costituiscono i tre stili tradizionali (figura sublimis, mediocris, attenuata). John Monfasani nel suo ampio studio su Giorgio Trebisonda ha sostenuto che facendo così egli ha frainteso Ermogene, ma io voglio mostrare che un tale fraintendimento era già presente in alcuni dei suoi tardi commentatori greci. Vorrei anche mettere in evidenza un particolare importante, cioè che Giorgio Trebisonda riuscì ad accoppiare le due dottrine sfruttando la ben nota nozione di prevpon. Dopo una rapida panoramica della dottrina Ermogenea prenderò dunque in esame alcuni passi del testo di Giorgio Trebisonda per dimostrarne l’abilità nell’intrecciare dottrine diverse, ma voglio anche mostrare che talvolta egli si perde e che di conseguenza i risultati del suo patchwork sonno assolutamente particolari.
L. Calboli MOntefusco (2008). Les catégories stylistiques du discours dans les Rhetoricorum libri V de George de Trébizonde”, in: Lucia Calboli Montefusco (Ed.), Papers on Rhetoric IX, Herder, Roma 2008, pp. 165-182.. ROMA : Herder.
Les catégories stylistiques du discours dans les Rhetoricorum libri V de George de Trébizonde”, in: Lucia Calboli Montefusco (Ed.), Papers on Rhetoric IX, Herder, Roma 2008, pp. 165-182.
MONTEFUSCO, LUCIA
2008
Abstract
Giorgio Trebisonda era un emigrante Greco che già nel suo paese aveva imparato molto bene la grammatica e la retorica. Arrivò a Venezia molto giovane per lavorare nella biblioteca di Francesco Barbaro e passò gran parte della sua vita in Italia insegnando. Nell’ultimo libro del suo manuale, Rhetoricorum Libri V, egli, dedicando un’attenzione particolare all’elocutio, elabora un insieme molto interessante di precetti, intrecciando la teoria degli stili con la dottrina ermogenea delle ijdevai fino ad allora sconosciuta agli autori di manuali latini. Giorgio Trebisonda aveva già trattato brevemente questa questione, una prima volta, in una lettera indirizzata al suo maestro Vittorino da Feltre e concernente esplicitamente i genera dicendi, una seconda volta, in una lunga lettera mandata a Girolamo Bragadin per dargli consigli su come ottenere la suavitas dicendi. Lamentando di non potere fare riferimento a fonti latine e di conseguenza di trovarsi nella duplice difficoltà di dovere tradurre in latino la terminologia specifica della dottrina Ermogenea e di dovere trovare esempi latini per illustrarla, Giorgio Trebisonda cerca di superare questa difficoltà sostituendo a Demostene, l’autore paradigmatico in Ermogene, Cicerone, dalle cui opere attinge la maggior parte del materiale che inserisce nella dottrina Ermogenea con un risultato veramente eccezionale. Egli si dimostra in grado di maneggiare entrambe le fonti con notevole competenza, passando dall’una all’altra con la più grande libertà. Il ponte tra esse è, a mio parere, il rapporto che egli istituisce considerando le formae o genera dicendi, come egli chiama le ijdevai, singole entità che costituiscono i tre stili tradizionali (figura sublimis, mediocris, attenuata). John Monfasani nel suo ampio studio su Giorgio Trebisonda ha sostenuto che facendo così egli ha frainteso Ermogene, ma io voglio mostrare che un tale fraintendimento era già presente in alcuni dei suoi tardi commentatori greci. Vorrei anche mettere in evidenza un particolare importante, cioè che Giorgio Trebisonda riuscì ad accoppiare le due dottrine sfruttando la ben nota nozione di prevpon. Dopo una rapida panoramica della dottrina Ermogenea prenderò dunque in esame alcuni passi del testo di Giorgio Trebisonda per dimostrarne l’abilità nell’intrecciare dottrine diverse, ma voglio anche mostrare che talvolta egli si perde e che di conseguenza i risultati del suo patchwork sonno assolutamente particolari.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.