Con contratto di compravendita stipulato il 3 dicembre del 1983, la Repubblica popolare cinese (RPC) acquistava dalla s.r.l. Immobiliare Villa ai Pini un complesso immobiliare sito in Roma versando un corrispettivo di 3 miliardi di lire italiane. L’art. 2 del contratto stabiliva che il consenso prestato dalla RPC era subordinato sospensivamente all’ottenimento dell’autorizzazione all’acquisto da parte delle autorità italiane, poiché l’art. 17 cod. civ. allora vigente prescriveva tale requisito per perfezionare la compravendita di immobili da parte di persone giuridiche. Inoltre, con una scrittura privata, RPC ed Immobiliare Villa ai Pini convenivano che, laddove non fosse intervenuta l’autorizzazione da parte del Presidente della Repubblica italiana, le parti si obbligavano a stipulare un altro contratto di compravendita a favore della persona privata che sarebbe stata indicata dall’Ambasciata della RPC, senza alcuna maggiorazione del prezzo. Nel febbraio 1999, su ricorso della s.r.l. italiana, il Tribunale di Roma sanciva l’inefficacia del contratto di vendita del dicembre 1983, e dichiarava nulla la scrittura privata poiché posta in essere con l’evidente finalità di aggirare il requisito dell’autorizzazione richiesta dall’art. 17 cod. civ, e, dunque, compiuta in frode alla legge. Il giudice romano di primo grado ordinava, così, alla RPC di restituire l’immobile –che, nel frattempo, l’Ambasciata cinese aveva adibito ad ufficio commerciale della rappresentanza- e, all’Immobiliare Villa ai Pini, la restituzione del prezzo di vendita. La sentenza n. 1995/1999, però, era inficiata da errore di diritto: infatti, nelle more del giudizio, l’art. 17 cod. civ. era stato abrogato dall’art. 13 della legge n. 127 del 15 maggio 1997 (Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e controllo), e, dunque, non avrebbe dovuto essere preso in considerazione dal Tribunale di Roma per invalidare la vendita dell’immobile alla RPC. Quest’ultima, tuttavia, non presentò appello, e la sentenza di primo grado passò, così, in giudicato. L’Immobiliare Villa ai Pini proseguì, pertanto, la sua battaglia giudiziaria, e, facendo leva proprio su quanto riconosciuto dalla sentenza n. 1995/1999, chiedeva alla RPC, oltre alla restituzione del complesso immobiliare, anche il risarcimento dei danni per la mancata percezione delle rendite che si sarebbero prodotte se la s.r.l. avesse potuto gestire l’immobile conteso, nonché per tutte le imposte pagate in quanto, formalmente, la s.r.l. italiana continuava ad essere proprietaria della sede dell’ufficio commerciale dell’Ambasciata cinese a Roma. Questa volta, però, con riferimento all’azione giudiziaria di risarcimento del danno per l’occupazione senza titolo dell’immobile romano, la RPC presentò ricorso in Cassazione, chiedendo di dichiarare l’immunità dello Stato cinese dalla giurisdizione italiana. Per stabilire la sussistenza o meno della giurisdizione nei confronti del Paese terzo, la Corte di ultima istanza si trovò, così, a dover qualificare la natura della scelta della RPC di continuare ad occupare un immobile adibito ad ufficio commerciale dell’Ambasciata, in luogo di rilasciarlo al proprietario. Se il comportamento dello Stato cinese avesse potuto essere considerato come un atto iure privatorum, infatti, in base alla teoria dell’immunità ristretta, la Cassazione avrebbe dovuto riconoscere la giurisdizione del giudice italiano poichè la condotta imputabile alla RPC configurava, comunque, un’attività di tipo privatistico. La Corte, tuttavia, concluse nel senso della necessità di qualificare la condotta cinese come un atto iure imperii: la decisione di mantenere l’ufficio commerciale dell’Ambasciata nell’immobile contestato è, per i supremi giudici, riconducibile ad un’attività pubblicistica, in quanto esprime un rapporto di strumentalità necessaria con i poteri sovrani di esercizio del diritto di missione da parte di uno Stato estero.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza del 17 luglio 2008 n. 19600, Repubblica Popolare di Cina c. Immobiliare Villa ai Pini s.r.l. e Ministero degli Affari esteri

Elisa Baroncini
2018

Abstract

Con contratto di compravendita stipulato il 3 dicembre del 1983, la Repubblica popolare cinese (RPC) acquistava dalla s.r.l. Immobiliare Villa ai Pini un complesso immobiliare sito in Roma versando un corrispettivo di 3 miliardi di lire italiane. L’art. 2 del contratto stabiliva che il consenso prestato dalla RPC era subordinato sospensivamente all’ottenimento dell’autorizzazione all’acquisto da parte delle autorità italiane, poiché l’art. 17 cod. civ. allora vigente prescriveva tale requisito per perfezionare la compravendita di immobili da parte di persone giuridiche. Inoltre, con una scrittura privata, RPC ed Immobiliare Villa ai Pini convenivano che, laddove non fosse intervenuta l’autorizzazione da parte del Presidente della Repubblica italiana, le parti si obbligavano a stipulare un altro contratto di compravendita a favore della persona privata che sarebbe stata indicata dall’Ambasciata della RPC, senza alcuna maggiorazione del prezzo. Nel febbraio 1999, su ricorso della s.r.l. italiana, il Tribunale di Roma sanciva l’inefficacia del contratto di vendita del dicembre 1983, e dichiarava nulla la scrittura privata poiché posta in essere con l’evidente finalità di aggirare il requisito dell’autorizzazione richiesta dall’art. 17 cod. civ, e, dunque, compiuta in frode alla legge. Il giudice romano di primo grado ordinava, così, alla RPC di restituire l’immobile –che, nel frattempo, l’Ambasciata cinese aveva adibito ad ufficio commerciale della rappresentanza- e, all’Immobiliare Villa ai Pini, la restituzione del prezzo di vendita. La sentenza n. 1995/1999, però, era inficiata da errore di diritto: infatti, nelle more del giudizio, l’art. 17 cod. civ. era stato abrogato dall’art. 13 della legge n. 127 del 15 maggio 1997 (Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e controllo), e, dunque, non avrebbe dovuto essere preso in considerazione dal Tribunale di Roma per invalidare la vendita dell’immobile alla RPC. Quest’ultima, tuttavia, non presentò appello, e la sentenza di primo grado passò, così, in giudicato. L’Immobiliare Villa ai Pini proseguì, pertanto, la sua battaglia giudiziaria, e, facendo leva proprio su quanto riconosciuto dalla sentenza n. 1995/1999, chiedeva alla RPC, oltre alla restituzione del complesso immobiliare, anche il risarcimento dei danni per la mancata percezione delle rendite che si sarebbero prodotte se la s.r.l. avesse potuto gestire l’immobile conteso, nonché per tutte le imposte pagate in quanto, formalmente, la s.r.l. italiana continuava ad essere proprietaria della sede dell’ufficio commerciale dell’Ambasciata cinese a Roma. Questa volta, però, con riferimento all’azione giudiziaria di risarcimento del danno per l’occupazione senza titolo dell’immobile romano, la RPC presentò ricorso in Cassazione, chiedendo di dichiarare l’immunità dello Stato cinese dalla giurisdizione italiana. Per stabilire la sussistenza o meno della giurisdizione nei confronti del Paese terzo, la Corte di ultima istanza si trovò, così, a dover qualificare la natura della scelta della RPC di continuare ad occupare un immobile adibito ad ufficio commerciale dell’Ambasciata, in luogo di rilasciarlo al proprietario. Se il comportamento dello Stato cinese avesse potuto essere considerato come un atto iure privatorum, infatti, in base alla teoria dell’immunità ristretta, la Cassazione avrebbe dovuto riconoscere la giurisdizione del giudice italiano poichè la condotta imputabile alla RPC configurava, comunque, un’attività di tipo privatistico. La Corte, tuttavia, concluse nel senso della necessità di qualificare la condotta cinese come un atto iure imperii: la decisione di mantenere l’ufficio commerciale dell’Ambasciata nell’immobile contestato è, per i supremi giudici, riconducibile ad un’attività pubblicistica, in quanto esprime un rapporto di strumentalità necessaria con i poteri sovrani di esercizio del diritto di missione da parte di uno Stato estero.
2018
Il diritto internazionale come strumento di risoluzione delle controversie - casi scelti
149
153
Elisa Baroncini
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/633140
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