Arcaico e necessario polo di riferimento - assieme al proprio contrario, il coro – per le danze di ogni tempo e luogo, con il XIX secolo l'assolo prende forme e significati limpidamente chiari all'interno di quella precisa modalità di fare spettacolo che identifichiamo come “balletto”. Nei primi decenni del XIX secolo la struttura del balletto viene definita secondo le modalità che ancora oggi possiamo frequentare e, assieme all'evidenziarsi di una sempre più raffinata professionalizzazione dei danzatori, si erige la gerarchia che codifica le relazioni tra gli artisti del corpo attivi presso i maggiori teatri europei e che si rende visibile in scena, ritagliando un tempo di presenza e una collocazione spaziale privilegiati per i danzatori solisti, ovvero per gli interpreti le cui capacità e le cui competenze vengono riconosciute come speciali, diverse rispetto a quelle del resto dell'organico e in particolare alla massa del corpo di ballo. La coreografia viene d'altra parte costruita proprio per mettere in risalto il solista e lo spazio organizzato per favorire il convergere su di lui da parte degli sguardi degli spettatori. In Francia, all'Académie Royale, i ruoli solistici sono evidentemente ben presenti nella prima metà del Settecento, come attestano i libretti che riportano la distribuzione dei personaggi o i documenti che tengono traccia della diversa entità dei compensi, e se la definizione di “premier sujet” appare verso la seconda metà del secolo, sarà poi il Règlement del 1776 a rendere esplicito che esistono “trois classes, sous la dénomination de premiers sujets, premiers remplacements et premiers doubles”. Si parlerà poi, più in generale, di “danseur seul” o di “danseuse seule” e l'espressione “pas seul” entrerà nell'uso, anche fuori dai regolamenti professionali, nei primi anni dell'Ottocento. Nello stesso periodo, in Italia, le parole per dire la danza vengono spesso tratte dalla lingua francese e si assorbe quindi l'espressione “pas seul” senza tradurla, ma si impiega pure il termine “assolo” o l'analogo, per significato, “variazione”, che infatti ritroviamo nelle cronache del tempo. I commenti della stampa, attenta a suscitare e a coltivare l'interesse degli spettatori per ciò che accade in teatro, dedicano particolare attenzione agli interpreti principali, di cui si tenta di rendere percepibile l'eccezionalità dipingendoli come creature provenienti da altri mondi, apparizioni impalpabili, astri splendenti. La ballerina solista viene dipinta come unica, inimitabile, memorabile, non solo attraverso le parole, ma pure con le immagini che nel XIX secolo cercano di coglierne la volatile presenza, moltiplicandola in ritratti che volentieri eliminano dalla scena gli altri danzatori. Anche l'iconografia del tempo, offrendoci immagini nelle quali le interpreti di maggiore fama si stagliano per lo più sole, in un rapporto privilegiato con l'osservatore, pare infatti contribuire a declinare le sfumature di un monologo danzante di cui oggi ci arriva un'eco che possiamo cercare di cogliere nei suoi aspetti mutevoli, tra abbagliante esibizione virtuosistica e intima pausa di riflessione, concretizzazione visibile della solitudine e incarnazione del molteplice, fragilità messa a nudo e potenza dichiarata, egoistico narcisismo e disinteressata generosità: sempre, comunque, in un silenzioso e visibile dialogo con lo spettatore.

«Un grand’astro brillava». Il pas seul nel balletto del XIX secolo

Elena Cervellati
2017

Abstract

Arcaico e necessario polo di riferimento - assieme al proprio contrario, il coro – per le danze di ogni tempo e luogo, con il XIX secolo l'assolo prende forme e significati limpidamente chiari all'interno di quella precisa modalità di fare spettacolo che identifichiamo come “balletto”. Nei primi decenni del XIX secolo la struttura del balletto viene definita secondo le modalità che ancora oggi possiamo frequentare e, assieme all'evidenziarsi di una sempre più raffinata professionalizzazione dei danzatori, si erige la gerarchia che codifica le relazioni tra gli artisti del corpo attivi presso i maggiori teatri europei e che si rende visibile in scena, ritagliando un tempo di presenza e una collocazione spaziale privilegiati per i danzatori solisti, ovvero per gli interpreti le cui capacità e le cui competenze vengono riconosciute come speciali, diverse rispetto a quelle del resto dell'organico e in particolare alla massa del corpo di ballo. La coreografia viene d'altra parte costruita proprio per mettere in risalto il solista e lo spazio organizzato per favorire il convergere su di lui da parte degli sguardi degli spettatori. In Francia, all'Académie Royale, i ruoli solistici sono evidentemente ben presenti nella prima metà del Settecento, come attestano i libretti che riportano la distribuzione dei personaggi o i documenti che tengono traccia della diversa entità dei compensi, e se la definizione di “premier sujet” appare verso la seconda metà del secolo, sarà poi il Règlement del 1776 a rendere esplicito che esistono “trois classes, sous la dénomination de premiers sujets, premiers remplacements et premiers doubles”. Si parlerà poi, più in generale, di “danseur seul” o di “danseuse seule” e l'espressione “pas seul” entrerà nell'uso, anche fuori dai regolamenti professionali, nei primi anni dell'Ottocento. Nello stesso periodo, in Italia, le parole per dire la danza vengono spesso tratte dalla lingua francese e si assorbe quindi l'espressione “pas seul” senza tradurla, ma si impiega pure il termine “assolo” o l'analogo, per significato, “variazione”, che infatti ritroviamo nelle cronache del tempo. I commenti della stampa, attenta a suscitare e a coltivare l'interesse degli spettatori per ciò che accade in teatro, dedicano particolare attenzione agli interpreti principali, di cui si tenta di rendere percepibile l'eccezionalità dipingendoli come creature provenienti da altri mondi, apparizioni impalpabili, astri splendenti. La ballerina solista viene dipinta come unica, inimitabile, memorabile, non solo attraverso le parole, ma pure con le immagini che nel XIX secolo cercano di coglierne la volatile presenza, moltiplicandola in ritratti che volentieri eliminano dalla scena gli altri danzatori. Anche l'iconografia del tempo, offrendoci immagini nelle quali le interpreti di maggiore fama si stagliano per lo più sole, in un rapporto privilegiato con l'osservatore, pare infatti contribuire a declinare le sfumature di un monologo danzante di cui oggi ci arriva un'eco che possiamo cercare di cogliere nei suoi aspetti mutevoli, tra abbagliante esibizione virtuosistica e intima pausa di riflessione, concretizzazione visibile della solitudine e incarnazione del molteplice, fragilità messa a nudo e potenza dichiarata, egoistico narcisismo e disinteressata generosità: sempre, comunque, in un silenzioso e visibile dialogo con lo spettatore.
2017
L'arte del monologo e l'azione sospesa
193
213
Elena Cervellati
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