Il legame con la classicità è un filo rosso che ha segnato in profondità la storia e la cultura del Riminese dall’antichità fino al medioevo e oltre. La cultura romana prima, quella bizantina poi sono state punti di riferimento per Rimini e il suo territorio, rimasto ancorato a modelli tramandati dalla corte ravennate, a lungo sopravvissuta grazie alla presenza della Chiesa arcivescovile. Lo sbocco ad una campagna fertile e la presenza del mare su cui costruire un porto sono stati requisiti importanti per lo sviluppo della città di Rimini, la cui favorevole posizione geografica, posta al confine tra l’Italia continentale e quella peninsulare e all’imbocco della pianura Padana, ne fece un sito molto ambito fin dall’antichità. Luogo di incontri e scambi di uomini, beni ed idee provenienti da tutto il Mediterraneo, Rimini fu suo malgrado a lungo anche un terreno di continue contese, che provocarono guerre, devastazioni e una costante instabilità: dalle invasioni alemanne del III secolo alla guerra greco-gotica del VI, dalla lotta per l’autonomia della Chiesa nell’XI secolo al contrasto tra le autonomie locali e la Sede Apostolica per il dominio su Rimini e la Romagna degli ultimi secoli del medioevo. Il grande interesse nei confronti del territorio derivava dalla strategicità del luogo, posto tra due aree, dall’alto medioevo circoscritte in Esarcato e Pentapoli, su cui vantavano diritti rispettivamente imperatore e arcivescovo di Ravenna da un lato, papa dall’altro. Il territorio riminese fu direttamente o indirettamente controllato dai tre poteri attraverso patti di concessione stipulati con alleati fedeli all’uno o all’altro schieramento. Luogo di compenetrazione tra le istanze riformatrici del papa e quelle dell’imperatore, il caso di Rimini si è rivelato paradigmatico per indagare periodi cruciali della storia medievale che nel libro vengono ripercorsi attraverso le testimonianze conservate presso gli archivi periferici di questo territorio. L’eredità del mondo classico sembra confluire nelle nuove istituzioni medievali, che a Rimini risultano strettamente connesse ad un antico sistema di valori in modo più radicato che altrove. Ciò lo si può riscontrare infatti sia nell’avvio delle autonomie locali sia nell’esperienza signorile che si sovrappose a queste ultime interrompendo uno sviluppo rimasto ancora inesplorato dalla storiografia. Nella prima metà del Duecento Rimini si trovò coinvolta in un crescente clima di tensioni e di tumulti, sempre contesa tra Impero e Papato. L’instabile situazione volse in altra direzione in seguito alla sconfitta di Federico II nel 1248 e alla sua morte nel 1250, con il conseguente declino della tradizione filo imperiale che, fino a quel momento, aveva retto le sorti della Romagna e di Rimini. La ricerca di nuovi equilibri da parte delle forze in campo rese protagonista il papa, deciso a rivendicare la piena sovranità su questi territori. L’esigenza di appoggi di natura militare per tenere sotto controllo il Riminese e, più in generale, la Romagna, determinerà l’ascesa al potere e sulla scena politica dei Malatesta, famiglia di origine feudale, già pienamente coinvolta nelle politiche cittadine e protagonista nelle lotte tra le fazioni romagnole. Seppur con alterne vicende, i Malatesta furono generalmente favoriti e appoggiati dalla Santa Sede, riuscendo a tenere Rimini ed altre terre in vicariato per due generazioni circa, almeno fino a quando la Chiesa non si mostrò decisa a rivendicare i propri diritti sui territori precedentemente concessi. Ciò accadde all’epoca di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1432-1468), che segnò il periodo di massimo splendore e al contempo l’inizio della fine del dominio malatestiano, conclusosi nei primi anni del XVI secolo. Seguendo la partizione in tre capitoli dei libri della collana, la seconda parte del volume è dedicata alle fonti scritte ed introdotta dalle tormentate vicende subite dalla documentazione medievale riminese, pervenuta in forma lacunosa e disorganica. Ciò dipese da una precoce dispersione iniziata nel XV secolo, quando rivolte cittadine causarono la distruzione premeditata di intere serie archivistiche presso le sedi deputate alla conservazione documentaria sia degli archivi correnti sia di quelli di deposito del comune. Nel libro si ribadisce la necessità di uno studio complessivo della superstite documentazione medievale riminese al fine di comprendere meglio vicende e contesti inesplorati perché non attestabili con continuità. Le fonti medievali riminesi sono state in gran parte recuperate tra Sei e Settecento grazie agli eruditi e ai bibliotecari della Biblioteca civica Gambalunga, i cui regesti e trascrizioni costituiscono oggi indispensabili integrazioni delle fonti scritte originali. Come ogni città di frontiera e portuale, Rimini è stata tradizionalmente aperta alle novità. Ciò risulta dalla commistione di stili e linguaggi originali testimoniati dalle espressioni artistiche e architettoniche oggetto di analisi della terza ed ultima parte del libro. Il paesaggio urbano e le opere d’arte del territorio attestano il forte legame con l’antichità e l’Oriente, costituendo prova di come, nel tempo, forme e valori di una cultura sono state interpretate in modi diversi. La caduta di Ravenna in mano ai longobardi nel 751, che segnò la fine della diretta amministrazione romano-orientale nella Romània italiana, non spezzò infatti la continuità di rapporti tra i centri della ex Pentapoli e dell’ex Esarcato con il vicino Oriente. Le città dell’area adriatica, come Rimini, garantirono un ponte tra Bisanzio e l’Occidente, continuando a rivestire un ruolo importante dal punto di vista marittimo e commerciale, simbolico ed ideologico in rapporto con l’Impero dei Romani. Se nel pieno medioevo il mondo classico fu un mito a cui anche gli imperatori si appellarono per rivendicare il potere universale, nel XV secolo le corti signorili, in particolare quella di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468), andarono alla ricerca primigenia di quel mondo. Depurata dalle contaminazioni medievali, i signori del Quattrocento adottarono l’eredità classica in chiave ideologica e come mezzo di affermazione del potere per rivendicare l’appartenenza ad un milieu culturale, di cui di quel potere era simbolo e garanzia. Emblemi del durevole legame con la classicità sono due celebri testimonianze riminesi: l’arco di Augusto di epoca romana e il Tempio malatestiano dell’ultimo medioevo. Il primo si richiama all’arte greca, mentre il secondo reinterpreta in chiave moderna la funzione aulica dell’architettura pubblica, citando chiaramente sulla sua facciata l’arco romano, suo diretto modello di ispirazione.

Il Medioevo nelle città italiane: Rimini / TOSI BRANDI, ELISA. - STAMPA. - 14:(2017), pp. 1-224.

Il Medioevo nelle città italiane: Rimini

TOSI BRANDI, ELISA
2017

Abstract

Il legame con la classicità è un filo rosso che ha segnato in profondità la storia e la cultura del Riminese dall’antichità fino al medioevo e oltre. La cultura romana prima, quella bizantina poi sono state punti di riferimento per Rimini e il suo territorio, rimasto ancorato a modelli tramandati dalla corte ravennate, a lungo sopravvissuta grazie alla presenza della Chiesa arcivescovile. Lo sbocco ad una campagna fertile e la presenza del mare su cui costruire un porto sono stati requisiti importanti per lo sviluppo della città di Rimini, la cui favorevole posizione geografica, posta al confine tra l’Italia continentale e quella peninsulare e all’imbocco della pianura Padana, ne fece un sito molto ambito fin dall’antichità. Luogo di incontri e scambi di uomini, beni ed idee provenienti da tutto il Mediterraneo, Rimini fu suo malgrado a lungo anche un terreno di continue contese, che provocarono guerre, devastazioni e una costante instabilità: dalle invasioni alemanne del III secolo alla guerra greco-gotica del VI, dalla lotta per l’autonomia della Chiesa nell’XI secolo al contrasto tra le autonomie locali e la Sede Apostolica per il dominio su Rimini e la Romagna degli ultimi secoli del medioevo. Il grande interesse nei confronti del territorio derivava dalla strategicità del luogo, posto tra due aree, dall’alto medioevo circoscritte in Esarcato e Pentapoli, su cui vantavano diritti rispettivamente imperatore e arcivescovo di Ravenna da un lato, papa dall’altro. Il territorio riminese fu direttamente o indirettamente controllato dai tre poteri attraverso patti di concessione stipulati con alleati fedeli all’uno o all’altro schieramento. Luogo di compenetrazione tra le istanze riformatrici del papa e quelle dell’imperatore, il caso di Rimini si è rivelato paradigmatico per indagare periodi cruciali della storia medievale che nel libro vengono ripercorsi attraverso le testimonianze conservate presso gli archivi periferici di questo territorio. L’eredità del mondo classico sembra confluire nelle nuove istituzioni medievali, che a Rimini risultano strettamente connesse ad un antico sistema di valori in modo più radicato che altrove. Ciò lo si può riscontrare infatti sia nell’avvio delle autonomie locali sia nell’esperienza signorile che si sovrappose a queste ultime interrompendo uno sviluppo rimasto ancora inesplorato dalla storiografia. Nella prima metà del Duecento Rimini si trovò coinvolta in un crescente clima di tensioni e di tumulti, sempre contesa tra Impero e Papato. L’instabile situazione volse in altra direzione in seguito alla sconfitta di Federico II nel 1248 e alla sua morte nel 1250, con il conseguente declino della tradizione filo imperiale che, fino a quel momento, aveva retto le sorti della Romagna e di Rimini. La ricerca di nuovi equilibri da parte delle forze in campo rese protagonista il papa, deciso a rivendicare la piena sovranità su questi territori. L’esigenza di appoggi di natura militare per tenere sotto controllo il Riminese e, più in generale, la Romagna, determinerà l’ascesa al potere e sulla scena politica dei Malatesta, famiglia di origine feudale, già pienamente coinvolta nelle politiche cittadine e protagonista nelle lotte tra le fazioni romagnole. Seppur con alterne vicende, i Malatesta furono generalmente favoriti e appoggiati dalla Santa Sede, riuscendo a tenere Rimini ed altre terre in vicariato per due generazioni circa, almeno fino a quando la Chiesa non si mostrò decisa a rivendicare i propri diritti sui territori precedentemente concessi. Ciò accadde all’epoca di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1432-1468), che segnò il periodo di massimo splendore e al contempo l’inizio della fine del dominio malatestiano, conclusosi nei primi anni del XVI secolo. Seguendo la partizione in tre capitoli dei libri della collana, la seconda parte del volume è dedicata alle fonti scritte ed introdotta dalle tormentate vicende subite dalla documentazione medievale riminese, pervenuta in forma lacunosa e disorganica. Ciò dipese da una precoce dispersione iniziata nel XV secolo, quando rivolte cittadine causarono la distruzione premeditata di intere serie archivistiche presso le sedi deputate alla conservazione documentaria sia degli archivi correnti sia di quelli di deposito del comune. Nel libro si ribadisce la necessità di uno studio complessivo della superstite documentazione medievale riminese al fine di comprendere meglio vicende e contesti inesplorati perché non attestabili con continuità. Le fonti medievali riminesi sono state in gran parte recuperate tra Sei e Settecento grazie agli eruditi e ai bibliotecari della Biblioteca civica Gambalunga, i cui regesti e trascrizioni costituiscono oggi indispensabili integrazioni delle fonti scritte originali. Come ogni città di frontiera e portuale, Rimini è stata tradizionalmente aperta alle novità. Ciò risulta dalla commistione di stili e linguaggi originali testimoniati dalle espressioni artistiche e architettoniche oggetto di analisi della terza ed ultima parte del libro. Il paesaggio urbano e le opere d’arte del territorio attestano il forte legame con l’antichità e l’Oriente, costituendo prova di come, nel tempo, forme e valori di una cultura sono state interpretate in modi diversi. La caduta di Ravenna in mano ai longobardi nel 751, che segnò la fine della diretta amministrazione romano-orientale nella Romània italiana, non spezzò infatti la continuità di rapporti tra i centri della ex Pentapoli e dell’ex Esarcato con il vicino Oriente. Le città dell’area adriatica, come Rimini, garantirono un ponte tra Bisanzio e l’Occidente, continuando a rivestire un ruolo importante dal punto di vista marittimo e commerciale, simbolico ed ideologico in rapporto con l’Impero dei Romani. Se nel pieno medioevo il mondo classico fu un mito a cui anche gli imperatori si appellarono per rivendicare il potere universale, nel XV secolo le corti signorili, in particolare quella di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468), andarono alla ricerca primigenia di quel mondo. Depurata dalle contaminazioni medievali, i signori del Quattrocento adottarono l’eredità classica in chiave ideologica e come mezzo di affermazione del potere per rivendicare l’appartenenza ad un milieu culturale, di cui di quel potere era simbolo e garanzia. Emblemi del durevole legame con la classicità sono due celebri testimonianze riminesi: l’arco di Augusto di epoca romana e il Tempio malatestiano dell’ultimo medioevo. Il primo si richiama all’arte greca, mentre il secondo reinterpreta in chiave moderna la funzione aulica dell’architettura pubblica, citando chiaramente sulla sua facciata l’arco romano, suo diretto modello di ispirazione.
2017
224
978-88-6809-150-7
Il Medioevo nelle città italiane: Rimini / TOSI BRANDI, ELISA. - STAMPA. - 14:(2017), pp. 1-224.
TOSI BRANDI, ELISA
File in questo prodotto:
Eventuali allegati, non sono esposti

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/626787
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact