Scopo del lavoro Lo scopo di questo lavoro è quello di trovare un razionale riabilitativo nelle patologie del rachide dorsale dell’adulto, impostato per obiettivi e coerente con le conoscenze attuali. Obiettivi terapeutici Gli obiettivi terapeutici e la programmazione dell’intervento riabilitativo dipendono dal ragionamento clinico. Questo è indicato come “l’applicazione della conoscenza significativa e delle abilità cliniche al trattamento del paziente a livello individuale” (M.Jones, 1996). E’ quindi l’interazione tra le attuali conoscenze biomediche e cliniche con l’esperienza e l’abilità clinica e terapeutica che, partendo da un corretto ed approfondito esame del paziente, conduce ad una valida impostazione del trattamento. Il ragionamento clinico deve essere un processo aperto, che si avvale di momenti consequenziali ma interagenti tra loro: - la valutazione e la diagnosi medica e funzionale; - l’individuazione del /degli obiettivi terapeutici; - l’impostazione e la programmazione del piano di lavoro; - l’attuazione delle procedure più idonee; - la verifica dei risultati E’ importante sottolineare come la verifica debba essere considerata una condizione dinamica integrata nel ragionamento clinico, poiché ogni strategia terapeutica richiede un costante controllo sui risultati prefissati, affinché sia possibile, in caso di outcome negativo, riconsiderare tutti i passaggi che hanno portato ad eseguire quello specifico approccio (procedure attuate, obiettivo individuato, diagnosi medica e funzionale, esame del paziente). Gli obiettivi terapeutici nelle dorsalgie dell’adulto sono relativamente simili agli altri obiettivi inerenti la colonna, e si rifanno alle tre fasi che caratterizzano la riabilitazione: - controllo dell’infiammazione, riduzione dell’edema e riduzione del dolore; - miglioramento della mobilità, del controllo motorio, della forza e della resistenza; - educazione alla gestione del problema, per favorire il ritorno alle normali attività quotidiane ed alla vita di relazione. Non necessariamente questi obiettivi devono essere perseguiti separatamente e consequenzialmente. Se inseriti all’interno di un piano di lavoro che intenda essere causale e specifico, possono influire tutti, più o meno direttamente, sulla sintomatologia del paziente. Controllo dell’infiammazione, riduzione dell’edema e riduzione del dolore: In genere è la sintomatologia dolorosa che conduce il paziente alla nostra attenzione, spesso dopo aver constatato che una terapia farmacologica si è rivelata insoddisfacente. La possibilità che una causa meccanica (disfunzionale) contribuisca in maniera più o meno rilevante sulla sintomatologia deve quindi essere presa in considerazione. In questo caso i sintomi sono in relazione allo stato dei tessuti, alle condizioni articolari e periarticolari, e alle sollecitazioni che queste strutture, già stressate, subiscono. Dolore, disfunzione e carichi sono spesso correlati e l’obiettivo terapeutico diviene, in questo caso, quello di favorire la guarigione del processo infiammatorio e di inibire il dolore, ripristinando progressivamente i corretti meccanismi statico-dinamici e migliorando la funzione. Il movimento stesso, se controllato e graduale, può quindi essere terapeutico. Strategie riabilitative Inizialmente può essere utile avvalersi di strumenti in grado di diminuire l’infiammazione e l’eventuale edema (terapia infiltrativa, terapia fisica, massaggio, terapia manuale) e di ridurre i carichi che gravano sulla colonna (ortesi e taping). In letteratura non ci risultano studi specifici sull’effetto delle terapie fisiche nelle dorsalgie. Comunque, in analogia al rachide lombare e cervicale, l’utilizzo delle terapie fisiche non sembra raccomandato, seppur in Italia se ne faccia largo uso. Lo stesso discorso vale per il massaggio, benché la sua azione decontratturante e drenante, nonché l’effetto sulla modulazione del dolore a livello periferico e midollare, può suggerirne l’uso. Da non dimenticare inoltre la valenza del massaggio a livello psicologico. Il ruolo della terapia manuale non è ancora chiaro (1). In letteratura si riscontra solo una piccola evidenza di efficacia dei trattamenti di terapia manuale per la dorsalgia non specifica. Benché proposta essenzialmente per la risoluzione di disfunzioni articolari e/o la riduzione di protrusioni nucleari o di intrappolamenti meniscoidi, non esiste un razionale univoco sui meccanismi d’azione della manipolazione, che potrebbe riguardare anche la sola stimolazione meccanica di nocicettori articolari e periarticolari (2; 3). Anche le indicazioni alla manipolazione non sono ancora state del tutto chiarite (4). Schiller (5) ha indagato il mantenimento del beneficio sintomatico di una manipolazione toracica ad un follow-up di un mese, concludendo che è più efficace del placebo. Tecniche specifiche di terapia manuale, quali i Pompages, le tecniche di mobilizzazione di grado I e II di Maitland o le trazioni e le tecniche traslatorie di Kaltenborn, più dolci e progressive, interagiscono direttamente con la sintomatologia lamentata dal paziente. Attraverso il movimento o la messa in tensione indolore, ricercano infatti la diminuzione delle tensioni miofasciali, la vascolarizzazione dell’apparato capsulo-legamentoso, il miglioramento dei rapporti interni articolari e della qualità dei fluidi intrarticolari. Poiché le strutture infiammate mal sopportano i carichi, una pratica diffusa, anch’essa senza sufficiente riscontro di evidenza in letteratura, riguarda l’utilizzo di corsetti. Possono essere impiegati in una prima fase, ma non è indicato il loro utilizzo a lungo termine, per non interferire con la possibilità di recupero della muscolatura intrinseca del rachide. In alternativa, per diminuire il sovraccarico di strutture infiammate lasciando però maggior possibilità nei movimenti asintomatici, possono essere impiegati bendaggi funzionali. Uno dei possibili meccanismi ipotizzati riguarda l’effetto neurofisiologico sui meccanocettori cutanei, che modulerebbe i processi nocicettivi. Il bendaggio non ha indotto variazioni sulla soglia del dolore pressorio, a livello dorsale, sul soggetto sano (6), ma Horton (7), in un case report, l’ha utilizzato per mantenere la correzione ottenuta con una tecnica di mobilizzazione nel rachide dorsale. Miglioramento della mobilità, del controllo motorio, della forza e della resistenza Il razionale terapeutico dell’utilizzo di tecniche utili al ripristino della corretta mobilità si basa sull’ipotesi che la riduzione della disfunzione meccanica possa influenzare il dolore. La restrizione del movimento, unidirezionale o pluridirezionale, può creare stress meccanici sulle strutture accorciate, modificare il centro istantaneo di movimento articolare, diminuire la circolazione dei liquidi intrarticolari e quindi contribuire al mantenimento del dolore e delle disabilità nella vita quotidiana. La mancanza di controllo motorio può comportare instabilità clinica segmentaria. In un modello biomeccanico, il dolore è causato da ripetute irritazioni meccaniche su strutture sensibili e algiche. Sembra che il miglioramento del controllo e della stabilità possa ridurre questa irritazione e dare sollievo dal dolore. Nessun piano di lavoro nelle patologie del rachide dovrebbe concludersi senza aver ripristinato la miglior condizione muscolare del tronco, anche in relazione a forza e resistenza, condizioni fondamentali per la miglior efficienza fisica. In questa fase il fisioterapista dovrebbe occuparsi anche della correzione posturale del soggetto, sia per diminuire i carchi sui dischi dorsali (8), sia per evitare disturbi nella regione cervicale (9; 10; 11), nella spalla (12), negli arti superiori (9; 13). Strategie riabilitative Horton (7) ha evidenziato, in un case report, che il ROM ridotto a seguito di un blocco acuto a livello T8-T9 è stato ripristinato con tecniche di Terapia Manuale (SNAGs – mobilizzazione con movimento secondo Mulligan). Altri lavori confermano che la manipolazione con thrust nel rachide dorsale pare efficace nel ripristino della normale meccanica articolare e nel recupero del ROM dorsale, almeno immediatamente dopo la seduta di trattamento (14; 15; 16). Tuttavia, lo studio di Nansel (17) ha dimostrato come il movimento recuperato da una singola manipolazione può essere perduto nell’arco di 48 ore; anche Jull (18) sottolinea che cambiamenti fisici sviluppatisi durante forme di disfunzione prolungata difficilmente si possono risolvere nel giro di una o due settimane. Pertanto, riteniamo sia utile abbinare sempre all’atto manipolativo l’esercizio terapeutico. Austin ad esempio, in un case report (19), ha evidenziato come sia possibile ripristinare la funzione e la meccanica toracica senza dolore, mediante sessioni bisettimanali di esercizi, mobilizzazioni, manipolazioni e controllo della postura, per una durata di tre settimane. Per ripristinare il movimento segmentario possono essere utilizzate tecniche di mobilizzazione di grado III e IV di Maitland (o di grado III di Kaltenborn). Attualmente, c’è molta enfasi sulle tecniche di controllo motorio, per ripristinare la corretta stabilizzazione del rachide (20; 21; 22). Specifici esercizi vengono proposti per il ripristino o il miglioramento dell’abilità del sistema di controllo neuromuscolare nel gestire e proteggere la colonna dagli insulti. Alla base delle strategie terapeutiche per il controllo motorio vi sono la profonda interrelazione tra i muscoli del tronco, il SNC (che determina il reclutamento e implementa strategie in relazione alla domanda) e gli input sensoriali (che trasmettono informazioni circa stabilità, controllo e perturbazioni). Studi significativi sul rachide cervicale (23; 24), lombare (25; 22; 26; 27) e sul cingolo pelvico (28) e l’evidenza della relazione tra l’alterazione delle strategie di controllo motorio e la funzione respiratoria (28; 29; 30) indicherebbero l’utilizzo di esercizi per il controllo motorio anche nel tratto dorsale. Tuttavia, a causa della gabbia toracica che contribuisce ad irrigidire la colonna, queste strategie potrebbero risultare meno importanti. Lee (31), in una instabilità rotazionale a seguito di un trauma alla gabbia toracica, consiglia l’utilizzo di un trattamento impostato sui principi della stabilizzazione vertebrale e del controllo motorio, concludendo che, sebbene il segmento possa rimanere instabile nei tests passivi, il paziente può essere rieducato al controllo della biomeccanica del torace e ritornare ad alti livelli funzionali. Il training di esercizi personalizzato per migliorare la forza e la resistenza del tronco, progressivamente allenante alla massima capacità funzionale del rachide, deve essere concordato con il paziente, tenendo conto delle sue disponibilità e preferenze. Questo aspetto è importantissimo per aiutare il paziente a prendersi responsabilmente la gestione della sua schiena. Esercizi posturali specifici, sia segmentari, sia globali, volti essenzialmente al controllo della cifosi dorsale possono essere impiegati. Interessante lo studio randomizzato controllato di Fernandez de Las Penas (32) sull’impiego della Rieducazione Posturale Globale nel management del paziente con spondilite anchilosante. Educazione alla gestione del problema, per favorire il ritorno alle normali attività quotidiane ed alla vita di relazione. Il trattamento non può dirsi concluso se non si favorisce il ritorno al lavoro e l’inserimento alla vita di relazione, la migliore possibile, anche educando il paziente a gestire eventuali residui di disabilità e ricadute. Spesso il paziente ha paura di ricadute e tende a strutturare comportamenti di difesa, inadeguati al suo stato attuale. L’informazione circa la sua condizione clinica, il continuo supporto che tende ad enfatizzare le abilità riconquistate sono fondamentali per evitare un “comportamento da malato”. Strategie riabilitative In analogia agli altri distretti del rachide, nei quali il trattamento cognitivo comportamentale ha manifestato la sua efficacia (33; 34; 35; 36), è auspicabile che anche nelle patologie del tratto dorsale si proceda con questo approccio. Mete condivise possono guidare all’utilizzo di esercizi peculiari per la ripresa di specifiche attività (tornare a fare la spesa, salire le scale, portare piccoli pesi, ecc.). Il fisioterapista deve conoscere lo stress che la colonna del paziente può subire nella vita lavorativa e ricreativa, per poterlo aiutare con consigli, l’utilizzo di ausili e presidi ergonomici, che possano modificare eventuali fattori favorenti o scatenanti la sintomatologia. Il paziente deve essere educato a riconoscere quando tali fattori possono aumentare i sintomi, per poterli evitare o cercare soluzioni, anche temporanee, per limitarli. Il controllo della sintomatologia dolorosa e la diminuzione della disabilità devono servire per far riacquistare fiducia e sicurezza nel paziente, che deve essere stimolato a ricercare, quando è possibile, le strategie di mantenimento fuori dall’ambiente sanitario. Conclusioni Gli obiettivi terapeutici e la programmazione ed attuazione dell’intervento riabilitativo dipendono dal ragionamento clinico. Il piano di lavoro nelle dorsalgie dell’adulto è relativamente simile a quello degli altri distretti della colonna, impostato sulle tre fasi che caratterizzano la riabilitazione: - controllo dell’infiammazione, riduzione dell’edema e riduzione del dolore; - miglioramento della mobilità, del controllo motorio, della forza e della resistenza; - educazione alla gestione del problema, per favorire il ritorno alle normali attività quotidiane ed alla vita di relazione. L’applicazione delle procedure riabilitative più idonee per l’obiettivo individuato dipende dalle migliori evidenze disponibili, dalle conoscenze del fisioterapista e dalla sua esperienza, mentre la gestione della relazione terapeutica necessita di ecletticità, per adattare il piano di lavoro allo specifico problema che ogni persona presenta, sul piano biologico psicologico e sociale. Bibliografia 1.Rucco V.: Il dolore vertebrale. Cervicalgie, Dorsalgie, Lombalgie e Sindromi correlate. Verduci, 2.Twomey L, Taylor J.: Spine Update, Exercise and Spinal Manipulation in the Treatment of Low - Back Pain.Spine 1995; 20 (5): 615-19. 3.Evans DW.: Mechanisms and effects of spinal high-velocity, low-amplitude thrust manipulation: previous theories. J Manipulative Physiol Ther. 2002 May;25(4):251-62. 4.Atchison JW: Manipulation efficacy: Upper body. Journal-of-Back-and-Musculoskeletal- Rehabilitation 2000; 15(1): 3-15 5.Schiller L: Effectiveness of spinal manipulative therapy in the treatment of mechanical thoracic spine pain: A pilot randomized clinical trial. Journal of Manipulative and Physiological Therapeutics 2001; 24: 394-401 6.O’Leary S, Carroll M, et al.: The effect of soft tissue deloading tape on thoracic spine pressure pain thresholds in asymptomatic subjects. Man Ther. 2002; 7(3):150-3. 7.Horton SJ.: Acute locked thoracic spine: treatment with a modified SNAG. Man Ther. 2002 May;7(2): 103-7. 8. Harrison DE, Colloca CJ et al. : Anterior thoracic posture increases thoracolumbar disc loading. Eur Spine J 2005;14(3):234-42. 9.Dreyfuss P, Tibiletti C, Dreyer SJ: Thoracic zygapophyseal joint pain patterns: A study in normal volunteers. Spine 1994; 19: 807-11 10.Cleland-JA, Childs-MJD, McRae: Immediate effects of thoracic manipulation in patients with neck pain: A randomized clinical trial. ManualTherapy 2005; 10(2): 127-135 11.Pho C: Management of whiplash-associated disorder addressing thoracic and cervical spine impairments: A case report. Journal of Orthopaedic and Sports Physical Therapy 2004; 34(9): 511-519. 12. Wilke A: Thoracic disc herniation: A diagnostic challenge. Manual Therapy 2000; 5(3): 181-184. 13.Menck-JY, Requejo-SM, Kulig-: Thoracic spine dysfunction in upper extremity Complex Regional Pain Syndrome Type l. 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Fernandez de las Penas C, Alonco-Blanco C. et al. : Two execise interventions for the management of patients with ankylosing spondylitis : a randomized controlled trial. Am J Phys Med Rehabil. 2005; 84(6): 407-19. 33. McCracken LM, Turk DC.: Behavioral and cognitive-behavioral treatment for chronic pain. Outcome, predictors of outcome and treatment process. Spine 2002;27(22):2564-2573. 34. Moseley GL.: Evidence for a direct relationship between cognitive and physical change during an education intervention in people with chronic low back pain. Eur J Pain. 2004; 8(1): 39-45. 35. Storheim K, Brox JL et al.: Intensive group training versus cognitive intervention in subacute low back pain: short-term results of a single-blind RCT. J Rehabil Med 2003;35:132-140. 36. Van Tulder MW, Ostelo R.:Behavioral treatment for chronic low back pain: a systematic review within the framework of the Cochrane Back Review Group. Spine. 2000, 25(20):2688-99.
VANTI, C. (2005). Obiettivi riabilitativi per piani di lavoro.
Obiettivi riabilitativi per piani di lavoro
VANTI, CARLA
2005
Abstract
Scopo del lavoro Lo scopo di questo lavoro è quello di trovare un razionale riabilitativo nelle patologie del rachide dorsale dell’adulto, impostato per obiettivi e coerente con le conoscenze attuali. Obiettivi terapeutici Gli obiettivi terapeutici e la programmazione dell’intervento riabilitativo dipendono dal ragionamento clinico. Questo è indicato come “l’applicazione della conoscenza significativa e delle abilità cliniche al trattamento del paziente a livello individuale” (M.Jones, 1996). E’ quindi l’interazione tra le attuali conoscenze biomediche e cliniche con l’esperienza e l’abilità clinica e terapeutica che, partendo da un corretto ed approfondito esame del paziente, conduce ad una valida impostazione del trattamento. Il ragionamento clinico deve essere un processo aperto, che si avvale di momenti consequenziali ma interagenti tra loro: - la valutazione e la diagnosi medica e funzionale; - l’individuazione del /degli obiettivi terapeutici; - l’impostazione e la programmazione del piano di lavoro; - l’attuazione delle procedure più idonee; - la verifica dei risultati E’ importante sottolineare come la verifica debba essere considerata una condizione dinamica integrata nel ragionamento clinico, poiché ogni strategia terapeutica richiede un costante controllo sui risultati prefissati, affinché sia possibile, in caso di outcome negativo, riconsiderare tutti i passaggi che hanno portato ad eseguire quello specifico approccio (procedure attuate, obiettivo individuato, diagnosi medica e funzionale, esame del paziente). Gli obiettivi terapeutici nelle dorsalgie dell’adulto sono relativamente simili agli altri obiettivi inerenti la colonna, e si rifanno alle tre fasi che caratterizzano la riabilitazione: - controllo dell’infiammazione, riduzione dell’edema e riduzione del dolore; - miglioramento della mobilità, del controllo motorio, della forza e della resistenza; - educazione alla gestione del problema, per favorire il ritorno alle normali attività quotidiane ed alla vita di relazione. Non necessariamente questi obiettivi devono essere perseguiti separatamente e consequenzialmente. Se inseriti all’interno di un piano di lavoro che intenda essere causale e specifico, possono influire tutti, più o meno direttamente, sulla sintomatologia del paziente. Controllo dell’infiammazione, riduzione dell’edema e riduzione del dolore: In genere è la sintomatologia dolorosa che conduce il paziente alla nostra attenzione, spesso dopo aver constatato che una terapia farmacologica si è rivelata insoddisfacente. La possibilità che una causa meccanica (disfunzionale) contribuisca in maniera più o meno rilevante sulla sintomatologia deve quindi essere presa in considerazione. In questo caso i sintomi sono in relazione allo stato dei tessuti, alle condizioni articolari e periarticolari, e alle sollecitazioni che queste strutture, già stressate, subiscono. Dolore, disfunzione e carichi sono spesso correlati e l’obiettivo terapeutico diviene, in questo caso, quello di favorire la guarigione del processo infiammatorio e di inibire il dolore, ripristinando progressivamente i corretti meccanismi statico-dinamici e migliorando la funzione. Il movimento stesso, se controllato e graduale, può quindi essere terapeutico. Strategie riabilitative Inizialmente può essere utile avvalersi di strumenti in grado di diminuire l’infiammazione e l’eventuale edema (terapia infiltrativa, terapia fisica, massaggio, terapia manuale) e di ridurre i carichi che gravano sulla colonna (ortesi e taping). In letteratura non ci risultano studi specifici sull’effetto delle terapie fisiche nelle dorsalgie. Comunque, in analogia al rachide lombare e cervicale, l’utilizzo delle terapie fisiche non sembra raccomandato, seppur in Italia se ne faccia largo uso. Lo stesso discorso vale per il massaggio, benché la sua azione decontratturante e drenante, nonché l’effetto sulla modulazione del dolore a livello periferico e midollare, può suggerirne l’uso. Da non dimenticare inoltre la valenza del massaggio a livello psicologico. Il ruolo della terapia manuale non è ancora chiaro (1). In letteratura si riscontra solo una piccola evidenza di efficacia dei trattamenti di terapia manuale per la dorsalgia non specifica. Benché proposta essenzialmente per la risoluzione di disfunzioni articolari e/o la riduzione di protrusioni nucleari o di intrappolamenti meniscoidi, non esiste un razionale univoco sui meccanismi d’azione della manipolazione, che potrebbe riguardare anche la sola stimolazione meccanica di nocicettori articolari e periarticolari (2; 3). Anche le indicazioni alla manipolazione non sono ancora state del tutto chiarite (4). Schiller (5) ha indagato il mantenimento del beneficio sintomatico di una manipolazione toracica ad un follow-up di un mese, concludendo che è più efficace del placebo. Tecniche specifiche di terapia manuale, quali i Pompages, le tecniche di mobilizzazione di grado I e II di Maitland o le trazioni e le tecniche traslatorie di Kaltenborn, più dolci e progressive, interagiscono direttamente con la sintomatologia lamentata dal paziente. Attraverso il movimento o la messa in tensione indolore, ricercano infatti la diminuzione delle tensioni miofasciali, la vascolarizzazione dell’apparato capsulo-legamentoso, il miglioramento dei rapporti interni articolari e della qualità dei fluidi intrarticolari. Poiché le strutture infiammate mal sopportano i carichi, una pratica diffusa, anch’essa senza sufficiente riscontro di evidenza in letteratura, riguarda l’utilizzo di corsetti. Possono essere impiegati in una prima fase, ma non è indicato il loro utilizzo a lungo termine, per non interferire con la possibilità di recupero della muscolatura intrinseca del rachide. In alternativa, per diminuire il sovraccarico di strutture infiammate lasciando però maggior possibilità nei movimenti asintomatici, possono essere impiegati bendaggi funzionali. Uno dei possibili meccanismi ipotizzati riguarda l’effetto neurofisiologico sui meccanocettori cutanei, che modulerebbe i processi nocicettivi. Il bendaggio non ha indotto variazioni sulla soglia del dolore pressorio, a livello dorsale, sul soggetto sano (6), ma Horton (7), in un case report, l’ha utilizzato per mantenere la correzione ottenuta con una tecnica di mobilizzazione nel rachide dorsale. Miglioramento della mobilità, del controllo motorio, della forza e della resistenza Il razionale terapeutico dell’utilizzo di tecniche utili al ripristino della corretta mobilità si basa sull’ipotesi che la riduzione della disfunzione meccanica possa influenzare il dolore. La restrizione del movimento, unidirezionale o pluridirezionale, può creare stress meccanici sulle strutture accorciate, modificare il centro istantaneo di movimento articolare, diminuire la circolazione dei liquidi intrarticolari e quindi contribuire al mantenimento del dolore e delle disabilità nella vita quotidiana. La mancanza di controllo motorio può comportare instabilità clinica segmentaria. In un modello biomeccanico, il dolore è causato da ripetute irritazioni meccaniche su strutture sensibili e algiche. Sembra che il miglioramento del controllo e della stabilità possa ridurre questa irritazione e dare sollievo dal dolore. Nessun piano di lavoro nelle patologie del rachide dovrebbe concludersi senza aver ripristinato la miglior condizione muscolare del tronco, anche in relazione a forza e resistenza, condizioni fondamentali per la miglior efficienza fisica. In questa fase il fisioterapista dovrebbe occuparsi anche della correzione posturale del soggetto, sia per diminuire i carchi sui dischi dorsali (8), sia per evitare disturbi nella regione cervicale (9; 10; 11), nella spalla (12), negli arti superiori (9; 13). Strategie riabilitative Horton (7) ha evidenziato, in un case report, che il ROM ridotto a seguito di un blocco acuto a livello T8-T9 è stato ripristinato con tecniche di Terapia Manuale (SNAGs – mobilizzazione con movimento secondo Mulligan). Altri lavori confermano che la manipolazione con thrust nel rachide dorsale pare efficace nel ripristino della normale meccanica articolare e nel recupero del ROM dorsale, almeno immediatamente dopo la seduta di trattamento (14; 15; 16). Tuttavia, lo studio di Nansel (17) ha dimostrato come il movimento recuperato da una singola manipolazione può essere perduto nell’arco di 48 ore; anche Jull (18) sottolinea che cambiamenti fisici sviluppatisi durante forme di disfunzione prolungata difficilmente si possono risolvere nel giro di una o due settimane. Pertanto, riteniamo sia utile abbinare sempre all’atto manipolativo l’esercizio terapeutico. Austin ad esempio, in un case report (19), ha evidenziato come sia possibile ripristinare la funzione e la meccanica toracica senza dolore, mediante sessioni bisettimanali di esercizi, mobilizzazioni, manipolazioni e controllo della postura, per una durata di tre settimane. Per ripristinare il movimento segmentario possono essere utilizzate tecniche di mobilizzazione di grado III e IV di Maitland (o di grado III di Kaltenborn). Attualmente, c’è molta enfasi sulle tecniche di controllo motorio, per ripristinare la corretta stabilizzazione del rachide (20; 21; 22). Specifici esercizi vengono proposti per il ripristino o il miglioramento dell’abilità del sistema di controllo neuromuscolare nel gestire e proteggere la colonna dagli insulti. Alla base delle strategie terapeutiche per il controllo motorio vi sono la profonda interrelazione tra i muscoli del tronco, il SNC (che determina il reclutamento e implementa strategie in relazione alla domanda) e gli input sensoriali (che trasmettono informazioni circa stabilità, controllo e perturbazioni). Studi significativi sul rachide cervicale (23; 24), lombare (25; 22; 26; 27) e sul cingolo pelvico (28) e l’evidenza della relazione tra l’alterazione delle strategie di controllo motorio e la funzione respiratoria (28; 29; 30) indicherebbero l’utilizzo di esercizi per il controllo motorio anche nel tratto dorsale. Tuttavia, a causa della gabbia toracica che contribuisce ad irrigidire la colonna, queste strategie potrebbero risultare meno importanti. Lee (31), in una instabilità rotazionale a seguito di un trauma alla gabbia toracica, consiglia l’utilizzo di un trattamento impostato sui principi della stabilizzazione vertebrale e del controllo motorio, concludendo che, sebbene il segmento possa rimanere instabile nei tests passivi, il paziente può essere rieducato al controllo della biomeccanica del torace e ritornare ad alti livelli funzionali. Il training di esercizi personalizzato per migliorare la forza e la resistenza del tronco, progressivamente allenante alla massima capacità funzionale del rachide, deve essere concordato con il paziente, tenendo conto delle sue disponibilità e preferenze. Questo aspetto è importantissimo per aiutare il paziente a prendersi responsabilmente la gestione della sua schiena. Esercizi posturali specifici, sia segmentari, sia globali, volti essenzialmente al controllo della cifosi dorsale possono essere impiegati. Interessante lo studio randomizzato controllato di Fernandez de Las Penas (32) sull’impiego della Rieducazione Posturale Globale nel management del paziente con spondilite anchilosante. Educazione alla gestione del problema, per favorire il ritorno alle normali attività quotidiane ed alla vita di relazione. Il trattamento non può dirsi concluso se non si favorisce il ritorno al lavoro e l’inserimento alla vita di relazione, la migliore possibile, anche educando il paziente a gestire eventuali residui di disabilità e ricadute. Spesso il paziente ha paura di ricadute e tende a strutturare comportamenti di difesa, inadeguati al suo stato attuale. L’informazione circa la sua condizione clinica, il continuo supporto che tende ad enfatizzare le abilità riconquistate sono fondamentali per evitare un “comportamento da malato”. Strategie riabilitative In analogia agli altri distretti del rachide, nei quali il trattamento cognitivo comportamentale ha manifestato la sua efficacia (33; 34; 35; 36), è auspicabile che anche nelle patologie del tratto dorsale si proceda con questo approccio. Mete condivise possono guidare all’utilizzo di esercizi peculiari per la ripresa di specifiche attività (tornare a fare la spesa, salire le scale, portare piccoli pesi, ecc.). Il fisioterapista deve conoscere lo stress che la colonna del paziente può subire nella vita lavorativa e ricreativa, per poterlo aiutare con consigli, l’utilizzo di ausili e presidi ergonomici, che possano modificare eventuali fattori favorenti o scatenanti la sintomatologia. Il paziente deve essere educato a riconoscere quando tali fattori possono aumentare i sintomi, per poterli evitare o cercare soluzioni, anche temporanee, per limitarli. Il controllo della sintomatologia dolorosa e la diminuzione della disabilità devono servire per far riacquistare fiducia e sicurezza nel paziente, che deve essere stimolato a ricercare, quando è possibile, le strategie di mantenimento fuori dall’ambiente sanitario. Conclusioni Gli obiettivi terapeutici e la programmazione ed attuazione dell’intervento riabilitativo dipendono dal ragionamento clinico. Il piano di lavoro nelle dorsalgie dell’adulto è relativamente simile a quello degli altri distretti della colonna, impostato sulle tre fasi che caratterizzano la riabilitazione: - controllo dell’infiammazione, riduzione dell’edema e riduzione del dolore; - miglioramento della mobilità, del controllo motorio, della forza e della resistenza; - educazione alla gestione del problema, per favorire il ritorno alle normali attività quotidiane ed alla vita di relazione. L’applicazione delle procedure riabilitative più idonee per l’obiettivo individuato dipende dalle migliori evidenze disponibili, dalle conoscenze del fisioterapista e dalla sua esperienza, mentre la gestione della relazione terapeutica necessita di ecletticità, per adattare il piano di lavoro allo specifico problema che ogni persona presenta, sul piano biologico psicologico e sociale. Bibliografia 1.Rucco V.: Il dolore vertebrale. Cervicalgie, Dorsalgie, Lombalgie e Sindromi correlate. 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