Nel 1979 Merskey descriveva il dolore come una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata con attuale o potenziale danno tissutale, oppure descritta in termini di tale danno; tale definizione è valida ancora oggi (ESRA, 2005). Il fenomeno psicofisiologico del dolore si sviluppa attraverso quattro fasi (Wilkinson, 2001): • la trasduzione dello stimolo nocicettivo a livello dei recettori periferici; • la trasmissione al midollo spinale tramite fibre afferenti; • la modulazione, che amplifica o attenua il dolore a livello del sistema nervoso centrale (SNC); • la percezione, che riflette l’informazione nocicettiva sulla preesistente trama psicologica. La più influente teoria sul dolore è quella del gate control di Melzack e Wall del 1965, la quale sostiene come un’intensa attività delle fibre a bassa velocità possa causare l’insorgenza di dolore, evento che può essere modulato ed eventualmente soppresso, stimolando le fibre ad alta velocità (Loeser, 2000). La teoria del gate control sottolineava l’importanza del ruolo rivestito dai livelli spinali e cerebrali nei meccanismi di controllo del dolore; attualmente, però, Melzack interpreta il dolore come un’esperienza multidimensionale, nell’ottica di un approccio biopsicosociale: le componenti che incidono sull’esperienza nocicettiva e sul vissuto dell’individuo sono varie e relative al rapporto con il proprio corpo, ai tratti caratteriali e al contesto culturale di provenienza. Lo stesso Melzack ha recentemente integrato le ultime scoperte neurofisiologiche nell’ipotesi della neuromatrice del dolore, individuata in una rete di connessioni neuronali, peculiare per ogni individuo e largamente distribuita nel Sistema Nervoso Centrale, capace di produrre caratteristici schemi di impulsi nervosi coinvolti nelle fasi di modulazione e di percezione del dolore. La neuromatrice sarebbe sensibile agli input forniti dai versanti cognitivo, sensorio-discriminativo e affettivo-motivazionale; gli schemi prodotti dalla neuromatrice andrebbero invece a modulare la percezione del dolore, la programmazione delle azioni e i programmi di modulazione dello stress, concorrendo alla generazione sia delle multiple dimensioni dell’esperienza del dolore, sia delle risposte comportamentali e dell’omeostasi (Melzack, 2001). Esistono molte manifestazioni del dolore: per individuarle dettagliatamente è stata pubblicata nel 1979 una tassonomia in base alla sensibilità e all’intensità dello stimolo. La Tab. 1.1 descrive le diverse tipologie di dolore (Merskey, 1994) e tiene conto di due concetti fondamentali come la soglia del dolore (la quantità minima di dolore che il soggetto può riconoscere) e la soglia di tolleranza (la massima quantità di dolore che il soggetto può sopportare) (ESRA, 2005). La prima distinzione per classificare le sintomatologie dolorose è quella fra dolore acuto e cronico: il primo è di recente insorgenza e ha un chiaro nesso causale/temporale con la lesione; il secondo invece persiste oltre i fisiologici tempi di guarigione dei tessuti che hanno ricevuto il danno e spesso non si riesce a identificarne la causa (ANZCA, 2005). Il fenomeno della sensibilizzazione riveste particolare importanza nella fisiopatologia e nell'interpretazione clinica del dolore. In tal senso, per discriminare i diversi quadri dolorosi, è importante ricordare che l’iperalgesia primaria, spiegata dalla sensibilizzazione periferica, si verifica intorno all’area lesionata; invece l’iperalgesia secondaria, sostenuta dalla sensibilizzazione centrale, si verifica in un’area più vasta, dura più a lungo e in genere coinvolge meccanismi remoti dal sito dove si verifica la lesione (ESRA, 2005; Wilkinson, 2001). Ragionando invece sul tipo di lesione, il dolore nocicettivo è causato da una lesione tissutale che porta alla modifica dei neuroni sensoriali periferici, tramite sensibilizzazione delle terminazioni afferenti e attivazione di nocicettori silenti; il dolore neuropatico, invece, è determinato da una lesione a carico del tessuto nervoso, le cui categorie sono elencate nella Tab. 1.2 (ANZCA, 2005; ESRA, 2005; VHA/DoD, 2002).

Controllo e riduzione del dolore

VANTI, CARLA
2010

Abstract

Nel 1979 Merskey descriveva il dolore come una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata con attuale o potenziale danno tissutale, oppure descritta in termini di tale danno; tale definizione è valida ancora oggi (ESRA, 2005). Il fenomeno psicofisiologico del dolore si sviluppa attraverso quattro fasi (Wilkinson, 2001): • la trasduzione dello stimolo nocicettivo a livello dei recettori periferici; • la trasmissione al midollo spinale tramite fibre afferenti; • la modulazione, che amplifica o attenua il dolore a livello del sistema nervoso centrale (SNC); • la percezione, che riflette l’informazione nocicettiva sulla preesistente trama psicologica. La più influente teoria sul dolore è quella del gate control di Melzack e Wall del 1965, la quale sostiene come un’intensa attività delle fibre a bassa velocità possa causare l’insorgenza di dolore, evento che può essere modulato ed eventualmente soppresso, stimolando le fibre ad alta velocità (Loeser, 2000). La teoria del gate control sottolineava l’importanza del ruolo rivestito dai livelli spinali e cerebrali nei meccanismi di controllo del dolore; attualmente, però, Melzack interpreta il dolore come un’esperienza multidimensionale, nell’ottica di un approccio biopsicosociale: le componenti che incidono sull’esperienza nocicettiva e sul vissuto dell’individuo sono varie e relative al rapporto con il proprio corpo, ai tratti caratteriali e al contesto culturale di provenienza. Lo stesso Melzack ha recentemente integrato le ultime scoperte neurofisiologiche nell’ipotesi della neuromatrice del dolore, individuata in una rete di connessioni neuronali, peculiare per ogni individuo e largamente distribuita nel Sistema Nervoso Centrale, capace di produrre caratteristici schemi di impulsi nervosi coinvolti nelle fasi di modulazione e di percezione del dolore. La neuromatrice sarebbe sensibile agli input forniti dai versanti cognitivo, sensorio-discriminativo e affettivo-motivazionale; gli schemi prodotti dalla neuromatrice andrebbero invece a modulare la percezione del dolore, la programmazione delle azioni e i programmi di modulazione dello stress, concorrendo alla generazione sia delle multiple dimensioni dell’esperienza del dolore, sia delle risposte comportamentali e dell’omeostasi (Melzack, 2001). Esistono molte manifestazioni del dolore: per individuarle dettagliatamente è stata pubblicata nel 1979 una tassonomia in base alla sensibilità e all’intensità dello stimolo. La Tab. 1.1 descrive le diverse tipologie di dolore (Merskey, 1994) e tiene conto di due concetti fondamentali come la soglia del dolore (la quantità minima di dolore che il soggetto può riconoscere) e la soglia di tolleranza (la massima quantità di dolore che il soggetto può sopportare) (ESRA, 2005). La prima distinzione per classificare le sintomatologie dolorose è quella fra dolore acuto e cronico: il primo è di recente insorgenza e ha un chiaro nesso causale/temporale con la lesione; il secondo invece persiste oltre i fisiologici tempi di guarigione dei tessuti che hanno ricevuto il danno e spesso non si riesce a identificarne la causa (ANZCA, 2005). Il fenomeno della sensibilizzazione riveste particolare importanza nella fisiopatologia e nell'interpretazione clinica del dolore. In tal senso, per discriminare i diversi quadri dolorosi, è importante ricordare che l’iperalgesia primaria, spiegata dalla sensibilizzazione periferica, si verifica intorno all’area lesionata; invece l’iperalgesia secondaria, sostenuta dalla sensibilizzazione centrale, si verifica in un’area più vasta, dura più a lungo e in genere coinvolge meccanismi remoti dal sito dove si verifica la lesione (ESRA, 2005; Wilkinson, 2001). Ragionando invece sul tipo di lesione, il dolore nocicettivo è causato da una lesione tissutale che porta alla modifica dei neuroni sensoriali periferici, tramite sensibilizzazione delle terminazioni afferenti e attivazione di nocicettori silenti; il dolore neuropatico, invece, è determinato da una lesione a carico del tessuto nervoso, le cui categorie sono elencate nella Tab. 1.2 (ANZCA, 2005; ESRA, 2005; VHA/DoD, 2002).
2010
Riabilitazione postchirurgica nel paziente ortopedico
10
17
VANTI, CARLA
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