Di là dai contenuti delle sue opere, spesso farraginose e contraddittorie, perfino trattenute da pregiudizi e da asserti retrivi e obsoleti, a rendere moderno Tassoni è comunque l’irrequietezza gnoseologica che converte in virtù e in merito la condanna con cui gli antichi investivano l’ardimento e l’ansia incontentabile di scoprire nuove cose, tacciata in passato di Hybris. Questa sorta di eccitabilità mai paga dell’esistente, e per questo soggetta a un sapere inclusivamente enciclopedico in cerca di reconditi segreti, e al tempo stesso mai definitivo, trova conferma in più punti nella raccolta dei suoi Pensieri, dove si percepisce una mobilità di pensiero e una tensione conoscitiva che sembrano annunciare tempi nuovi, certamente di là dai risultati concreti cui approda. Nelle Considerazioni su Petrarca, nelle critiche ad Aristotele, nella demolizione della poesia omerica, nelle riserve sulle scelte linguistiche del Vocabolario della Crusca, nella censure all’opera storiografica di Cesare Baronio, la cifra comune è il convinto rifiuto, condiviso negli stessi anni da Galileo e dagli araldi della nuova scienza, del principio di autorità, che a Tassoni faceva dire di non potere ammettere «alcuna cosa se non resta l’intelletto convinto» e di non fare parte della schiera numerosa di coloro che «si lasciano, come pezzi di legno, portare dal torrente» delle opinioni comuni. Ma accanto alla pars destruens iconoclasta verso il passato non va trascurata la pars construens, che consiste nell’attrazione per l’inesplorato, per l’inedito, per il sorprendente, per il progresso, che contrassegna l’ideologia cui egli si è mantenuto fedele per tutta la vita, visibile in ogni campo al quale si è applicato. Da questo punto di vista l’atteggiamento di Tassoni, che ha sempre stimato l’erudizione e la filosofia superiori alla letteratura, non è soltanto quello del poeta barocco che cerca con ogni mezzo di stupire e di sconcertare, cercando lo scandalo fine a se stesso, per una forma di esibizionismo, ma è, di là dai suoi particolari convincimenti scientifici, la stessa vocazione di Bacone che intitola la sua opera più famosa De augmentis scientiarum, o quella di Galileo rappresentata esemplarmente nel Saggiatore dall’apologo dell’indagatore della natura dei suoni. Tassoni non ha certo la statura di Galileo, e nemmeno di Bacone, ma a modo suo ne rispecchia l’ethos dell’osservatore inquieto, pronto a misurarsi generosamente con la concretezza del vivente, investigato senza lesinare spese e fatiche, in un’interrogazione del mondo sensibile che non trova mai pace.
Avvisaglie del moderno in Alessandro Tassoni
Battistini, andrea
2017
Abstract
Di là dai contenuti delle sue opere, spesso farraginose e contraddittorie, perfino trattenute da pregiudizi e da asserti retrivi e obsoleti, a rendere moderno Tassoni è comunque l’irrequietezza gnoseologica che converte in virtù e in merito la condanna con cui gli antichi investivano l’ardimento e l’ansia incontentabile di scoprire nuove cose, tacciata in passato di Hybris. Questa sorta di eccitabilità mai paga dell’esistente, e per questo soggetta a un sapere inclusivamente enciclopedico in cerca di reconditi segreti, e al tempo stesso mai definitivo, trova conferma in più punti nella raccolta dei suoi Pensieri, dove si percepisce una mobilità di pensiero e una tensione conoscitiva che sembrano annunciare tempi nuovi, certamente di là dai risultati concreti cui approda. Nelle Considerazioni su Petrarca, nelle critiche ad Aristotele, nella demolizione della poesia omerica, nelle riserve sulle scelte linguistiche del Vocabolario della Crusca, nella censure all’opera storiografica di Cesare Baronio, la cifra comune è il convinto rifiuto, condiviso negli stessi anni da Galileo e dagli araldi della nuova scienza, del principio di autorità, che a Tassoni faceva dire di non potere ammettere «alcuna cosa se non resta l’intelletto convinto» e di non fare parte della schiera numerosa di coloro che «si lasciano, come pezzi di legno, portare dal torrente» delle opinioni comuni. Ma accanto alla pars destruens iconoclasta verso il passato non va trascurata la pars construens, che consiste nell’attrazione per l’inesplorato, per l’inedito, per il sorprendente, per il progresso, che contrassegna l’ideologia cui egli si è mantenuto fedele per tutta la vita, visibile in ogni campo al quale si è applicato. Da questo punto di vista l’atteggiamento di Tassoni, che ha sempre stimato l’erudizione e la filosofia superiori alla letteratura, non è soltanto quello del poeta barocco che cerca con ogni mezzo di stupire e di sconcertare, cercando lo scandalo fine a se stesso, per una forma di esibizionismo, ma è, di là dai suoi particolari convincimenti scientifici, la stessa vocazione di Bacone che intitola la sua opera più famosa De augmentis scientiarum, o quella di Galileo rappresentata esemplarmente nel Saggiatore dall’apologo dell’indagatore della natura dei suoni. Tassoni non ha certo la statura di Galileo, e nemmeno di Bacone, ma a modo suo ne rispecchia l’ethos dell’osservatore inquieto, pronto a misurarsi generosamente con la concretezza del vivente, investigato senza lesinare spese e fatiche, in un’interrogazione del mondo sensibile che non trova mai pace.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.