Il contributo si articola in quattro paragrafi: - il rischio di ambiguità nello sport giovanile; - sport per bambini o bambini per lo sport? - il dispositivo di selezione; - selezione e dispositivo pedagogico. Sintetizziamo i paragrafi sottostanti riproponendo una sintesi delle conclusioni: Il valore educativo dello sport giovanile non deriva dalla conseguenza diretta della pratica sportiva in sè, piuttosto è legato alla qualità dell'orientamento psicopedagogico che caratterizza il percorso offerto ai bambini. In tal senso grande responsabilità è imputabile all'allenatore giovanile che, come figura educativa extrafamiliare, definisce i criteri di successo/insuccesso e di ansia/serenità che caratterizzano l'esperienza sportiva dei bambini. La chiave di volta nella pratica sportiva del bambino, sta nella trasmissione di fiducia in sè, nelle proprie capacità, nel vincolo verso i suoi bisogni reali e non nelle aspettative del mondo adulto (genitori, allenatori, dirigenti). Se la necessità del risultato, veicolata dalla nostra società, sovrasta il bisogno di divertimento, di partecipazione, di confronto sereno con gli altri, lo sport diventa un lavoro e come tale diviene stressante. Considerare il vincere come elemento positivo e il perdere come negativo, sono atteggiamenti di un ambiente incompetente e selettivo. Vincere e perdere sono entrambi aspetti formativi di una stessa esperienza, cioè quella della partecipazione al confronto con gli altri. La qualità del coaching può rispondere a tali esigenze puntando sulle abilità da apprendere (task orientation) più che non sul risultato da raggiungere (ego orientation) , almeno nelle età precoci. Rimandare l'atteggiamento selettivo a età successive è importante per qualificare il senso di successo che deve caratterizzare la pratica sportiva, successo che si commisura al piacere del "fare", aslla soddisfazione del "riuscire" e non prevalentemente alla necessità di "vincere a tutti i costi". L'insuccesso, quando si basa sul confronto gerarchico dei risultati, è un fantasma della mente adulta che si insinua e si trasferisce nel mondo infantile contaminandolo, togliendogli quella semplicità e quell'entusiasmo che naturalmente lo caratterizzano. Appare necessario riconoscere, dal punto di vista pedagogico, la centralità di ogni bambino che si affaccia all'ambiente dello sport. Pur nella diversità interindividuale, percepita dai bambini man mano che crescono, è indispensabile valorizzare il singolo, ivi compreso il talento, senza sminuire o svilire nessuno. Solo così è possibile pensare a una educazione sportiva che tenda alla formazione del soggetto, che lo aiuti a comprendere, nel tempo, i valori da giocarsi consapevolmente nella vita.

A.Ceciliani (2008). La selezione come dispositivo pedagogico. MILANO : Angelo Guerini e Associati.

La selezione come dispositivo pedagogico

CECILIANI, ANDREA
2008

Abstract

Il contributo si articola in quattro paragrafi: - il rischio di ambiguità nello sport giovanile; - sport per bambini o bambini per lo sport? - il dispositivo di selezione; - selezione e dispositivo pedagogico. Sintetizziamo i paragrafi sottostanti riproponendo una sintesi delle conclusioni: Il valore educativo dello sport giovanile non deriva dalla conseguenza diretta della pratica sportiva in sè, piuttosto è legato alla qualità dell'orientamento psicopedagogico che caratterizza il percorso offerto ai bambini. In tal senso grande responsabilità è imputabile all'allenatore giovanile che, come figura educativa extrafamiliare, definisce i criteri di successo/insuccesso e di ansia/serenità che caratterizzano l'esperienza sportiva dei bambini. La chiave di volta nella pratica sportiva del bambino, sta nella trasmissione di fiducia in sè, nelle proprie capacità, nel vincolo verso i suoi bisogni reali e non nelle aspettative del mondo adulto (genitori, allenatori, dirigenti). Se la necessità del risultato, veicolata dalla nostra società, sovrasta il bisogno di divertimento, di partecipazione, di confronto sereno con gli altri, lo sport diventa un lavoro e come tale diviene stressante. Considerare il vincere come elemento positivo e il perdere come negativo, sono atteggiamenti di un ambiente incompetente e selettivo. Vincere e perdere sono entrambi aspetti formativi di una stessa esperienza, cioè quella della partecipazione al confronto con gli altri. La qualità del coaching può rispondere a tali esigenze puntando sulle abilità da apprendere (task orientation) più che non sul risultato da raggiungere (ego orientation) , almeno nelle età precoci. Rimandare l'atteggiamento selettivo a età successive è importante per qualificare il senso di successo che deve caratterizzare la pratica sportiva, successo che si commisura al piacere del "fare", aslla soddisfazione del "riuscire" e non prevalentemente alla necessità di "vincere a tutti i costi". L'insuccesso, quando si basa sul confronto gerarchico dei risultati, è un fantasma della mente adulta che si insinua e si trasferisce nel mondo infantile contaminandolo, togliendogli quella semplicità e quell'entusiasmo che naturalmente lo caratterizzano. Appare necessario riconoscere, dal punto di vista pedagogico, la centralità di ogni bambino che si affaccia all'ambiente dello sport. Pur nella diversità interindividuale, percepita dai bambini man mano che crescono, è indispensabile valorizzare il singolo, ivi compreso il talento, senza sminuire o svilire nessuno. Solo così è possibile pensare a una educazione sportiva che tenda alla formazione del soggetto, che lo aiuti a comprendere, nel tempo, i valori da giocarsi consapevolmente nella vita.
2008
Sport e formazione
79
102
A.Ceciliani (2008). La selezione come dispositivo pedagogico. MILANO : Angelo Guerini e Associati.
A.Ceciliani
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