La figura della città, non come fenomeno territoriale in senso stretto, ma come configurazione del sociale è stata utilizzata in diversi contesti e credo possa aiutarci a riflettere sul modo in cui è venuto trasformandosi il rapporto tra lavoro, conoscenza e società. La città, intesa come spazio di attivazione di principi di organizzazione sociale, è stata ad esempio chiamata in gioco nella “città del lavoro” di cui parla Trentin nella sua densa e ricchissima riflessione su come, del lavoro, siano andate cambiando rappresentazione e (dibattito sulla) rappresentanza. Oppure, in ambito sociologico, le “città” circoscrivono dei regimi di giustificazione politico-morale in base ai quali, secondo l’approccio della sociologia pragmatica francese, possiamo dar conto sia dei comportamenti degli attori sociali sia dei criteri di valutazione che incorporano sia infine dei conflitti che possono generarsi. In realtà, nessuna di queste due prospettive fa riferimento ad una specifica “città della conoscenza”. E d’altra parte, proprio l’insistenza – spesso retorica e a sproposito – nel definire le nostre come “società della conoscenza”, ci spingono ad essere estremamente cauti circa il riferimento ad essa. Tuttavia, è proprio il modo in cui è andata trasformandosi la “città del lavoro” che invita a riflettere su una “città della conoscenza” come ulteriore regime di giustificazione da prendere in considerazione. In particolare, l’aspetto che mi pare sia da mettere in primo piano è che, nei processi lavorativi, la conoscenza è andata assumendo una centralità straordinaria, soprattutto nei formati più funzionali alla tecnica, senza che tuttavia questo abbia comportato affatto un processo di emancipazione nella città del lavoro, cioè una riappropriazione del proprio ruolo da parte dei lavoratori nelle “catene globali del valore”, né una riorganizzazione ad un più avanzato livello di qualità e di integrazione tra sapere e lavoro. Al contrario, il rapporto tra conoscenza e lavoro, anche laddove vengono mobilitate dimensioni strettamente legate alla conoscenza (autonomia, creatività, immaginazione), continua ad essere distorto da obbiettivi di controllo e sottomissione del management.
Vando, B. (2017). Città del lavoro e città della conoscenza. Metamorfosi di una intersezione. Roma : DeriveApprodi.
Città del lavoro e città della conoscenza. Metamorfosi di una intersezione
vando borghi
2017
Abstract
La figura della città, non come fenomeno territoriale in senso stretto, ma come configurazione del sociale è stata utilizzata in diversi contesti e credo possa aiutarci a riflettere sul modo in cui è venuto trasformandosi il rapporto tra lavoro, conoscenza e società. La città, intesa come spazio di attivazione di principi di organizzazione sociale, è stata ad esempio chiamata in gioco nella “città del lavoro” di cui parla Trentin nella sua densa e ricchissima riflessione su come, del lavoro, siano andate cambiando rappresentazione e (dibattito sulla) rappresentanza. Oppure, in ambito sociologico, le “città” circoscrivono dei regimi di giustificazione politico-morale in base ai quali, secondo l’approccio della sociologia pragmatica francese, possiamo dar conto sia dei comportamenti degli attori sociali sia dei criteri di valutazione che incorporano sia infine dei conflitti che possono generarsi. In realtà, nessuna di queste due prospettive fa riferimento ad una specifica “città della conoscenza”. E d’altra parte, proprio l’insistenza – spesso retorica e a sproposito – nel definire le nostre come “società della conoscenza”, ci spingono ad essere estremamente cauti circa il riferimento ad essa. Tuttavia, è proprio il modo in cui è andata trasformandosi la “città del lavoro” che invita a riflettere su una “città della conoscenza” come ulteriore regime di giustificazione da prendere in considerazione. In particolare, l’aspetto che mi pare sia da mettere in primo piano è che, nei processi lavorativi, la conoscenza è andata assumendo una centralità straordinaria, soprattutto nei formati più funzionali alla tecnica, senza che tuttavia questo abbia comportato affatto un processo di emancipazione nella città del lavoro, cioè una riappropriazione del proprio ruolo da parte dei lavoratori nelle “catene globali del valore”, né una riorganizzazione ad un più avanzato livello di qualità e di integrazione tra sapere e lavoro. Al contrario, il rapporto tra conoscenza e lavoro, anche laddove vengono mobilitate dimensioni strettamente legate alla conoscenza (autonomia, creatività, immaginazione), continua ad essere distorto da obbiettivi di controllo e sottomissione del management.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.