Negli ultimi anni le imprese cooperative hanno “scoperto” il welfare aziendale. Lo testimonia fra le altre cose anche il volume del 2016 di Emmanuele Pavolini Welfare aziendale e conciliazione. Proposte e esperienze dal mondo cooperativo. A dire il vero attività catalogabili come welfare hanno sempre fatto parte dell’esperienza cooperativa sotto al grande ombrello della mutualità interna o esterna e della solidarietà sociale. Inoltre sin dall’Ottocento attorno a tali iniziative è stata costruita una originale narrativa, rimasta pressoché inalterata per un intero secolo, se si esclude la parentesi del periodo fascista (essenzialmente dal 1925 allo scoppio della seconda guerra mondiale). Infatti, solamente a partire dagli anni Ottanta del Novecento, parallelamente all’affermarsi della centralità dell’impresa e al dissolversi dei legami con i grandi movimenti culturali e politici, il discorso pubblico su quello che nel nostro saggio chiameremo “welfare cooperativo” è diventato molto simile al tradizionale welfare aziendale. La contaminazione ha assunto la forma dei bilanci sociali, i quali, pur consentendo di rappresentare la tradizionale dimensione multistakeholder e il legame con la comunità locale tipico delle cooperative, utilizzavano lo stesso linguaggio delle altre imprese. Si può leggere questo passaggio come un’altra testimonianza di quel fenomeno di contaminazione fra forme di impresa diverse, che qui trattiamo nel paragrafo 2 e che ha conosciuto una forte accelerazione proprio alla fine del Novecento. Raccontare il “welfare cooperativo” significa quindi da un lato fissare le differenze e le somiglianze con il welfare delle aziende convenzionali e dall’altro tracciare l’evoluzione di una realtà imprenditoriale e sociale che oggi vive una fase storica che potremmo chiamare dell’ibridazione . La prima differenza è che, nel caso delle cooperative di lavoratori, l’insieme dei benefici per i dipendenti è in genere richiamato negli Statuti con il nome di attività per “la crescita morale ed economica dei soci” e risponde anche ai principi cooperativi, nello specifico il 3° (partecipazione economica dei soci) e il 5° (educazione, formazione e informazione dei soci). Nelle altre forme cooperative (di utenti o di conferenti), invece, esso rappresenta un’estensione dei servizi destinati ai soci. Si aggiunga che le iniziative a favore delle comunità locali, spesso classificate nelle imprese convenzionali come responsabilità sociale esterna, nel mondo cooperativo soddisfano il 7° principio (interesse verso la comunità) . In sostanza, pur in assenza di vincoli legislativi, il “welfare cooperativo” esprime la natura di questa forma di impresa invece di rappresentarne un complemento come avviene per le società convenzionali. La seconda differenza è legata alla governance: l’organizzazione di servizi per i soci o per altri stakeholders viene decisa dai soci stessi. E’ evidente che più funziona il processo democratico all’interno della cooperativa maggiore corrispondenza ci sarà fra le esigenze dei soci e i servizi del welfare cooperativo. Vi sono poi delle somiglianze. Nelle cooperative di utenti e di conferenti, i lavoratori non sono soci e quindi il rapporto che essi hanno con l’azienda non si discosta molto da quello che si ha nel caso delle imprese convenzionali. In questo caso è frequente che il “welfare cooperativo” coincida con quello aziendale. Un secondo elemento di contatto riguarda gli obiettivi del welfare aziendale. Oltre alla dimensione statutaria, anche nelle imprese cooperative le iniziative a favore di soci, dipendenti o della comunità locale possono rispondere ad una strategia di consolidamento della coesione interna e quindi dell’identità aziendale oppure far parte del percorso di costruzione di un’immagine pubblica , proprio come avviene in ogni tipo di impresa. All’interno di questo schema metodologico che definisce differenze e somiglianze delle imprese cooperative con le altre, analizzeremo l’evoluzione nel tempo di ciò che nel mondo for profit è chiamato welfare aziendale e che in quello cooperativo rientra nel concetto di mutualità e di solidarietà e che quindi chiameremo nel saggio “welfare cooperativo”. Non sono disponibili stime quantitative delle attività che le cooperative rivolgevano ai soci e ai dipendenti e quindi non ci resta che tracciare la loro evoluzione sulla base di alcuni case studies. In particolare il welfare delle cooperative ottocentesche sarà raccontato nel paragrafo 3 sulla base di quanto emerge dalle business histories sino ad ora pubblicate. Si tratta di un welfare esteso che copre molti ambiti dalla sicurezza sociale alla socializzazione e che coinvolge soci, dipendenti, comunità locale in una visione unitaria dettata dalla comune appartenenza a reti universali di solidarietà. Nel paragrafo 4 un’analoga metodologia sarà utilizzata per descrivere i cambiamenti intervenuti durante il fascismo, periodo in cui molte delle tradizionali attività si contraggono per lasciare spazio allo stato sia nell’organizzazione del tempo libero delle persone sia nella gestione dei fondi assicurativi. Le vicende della seconda metà del Novecento saranno invece analizzate nel paragrafo 5 e 6 attraverso una ricerca originale effettuata presso gli archivi di tre cooperative associate a Legacoop: la Cooperativa albergo mensa spettacolo turismo (Camst) , la Cooperativa trasporti alimentari (Cta) e il gruppo cooperativo Granarolo . Emergono così due fasi distinte del welfare cooperativo. La prima si delinea tra gli anni cinquanta e gli anni settanta, quando la presenza di reti di solidarietà ampie porta ad estendere i servizi per i soci ai dipendenti, al territorio circostante e a volte anche ad aree geografiche lontane attraverso la partecipazione alle campagne internazionali per aiutare le popolazioni in difficoltà. La seconda prende forma tra gli anni ottanta e il primo decennio del duemila, quando nelle cooperative si definisce con maggiore chiarezza il ruolo dei diversi stakeholders e i servizi dedicati a ciascuna categoria si differenziano. In questa fase storica l’andamento complessivo del welfare cooperativo in parte differisce da quello del welfare aziendale perché mentre quest’ultimo entra in una fase carsica e conosce una caduta di interesse il primo riscrive semplicemente i suoi obiettivi ponendo al primo posto la costruzione di quello che potremmo chiamare “il nuovo” socio, quello che vede nella cooperativa il luogo per la sua crescita imprenditoriale e abbandonando la narrativa della tutela nelle situazioni di bisogno.
Patrizia, B. (2017). Il welfare cooperativo: dalle reti della solidarietà alla centralità dell’impresa. Bologna : Il Mulino.
Il welfare cooperativo: dalle reti della solidarietà alla centralità dell’impresa
BATTILANI, PATRIZIA
2017
Abstract
Negli ultimi anni le imprese cooperative hanno “scoperto” il welfare aziendale. Lo testimonia fra le altre cose anche il volume del 2016 di Emmanuele Pavolini Welfare aziendale e conciliazione. Proposte e esperienze dal mondo cooperativo. A dire il vero attività catalogabili come welfare hanno sempre fatto parte dell’esperienza cooperativa sotto al grande ombrello della mutualità interna o esterna e della solidarietà sociale. Inoltre sin dall’Ottocento attorno a tali iniziative è stata costruita una originale narrativa, rimasta pressoché inalterata per un intero secolo, se si esclude la parentesi del periodo fascista (essenzialmente dal 1925 allo scoppio della seconda guerra mondiale). Infatti, solamente a partire dagli anni Ottanta del Novecento, parallelamente all’affermarsi della centralità dell’impresa e al dissolversi dei legami con i grandi movimenti culturali e politici, il discorso pubblico su quello che nel nostro saggio chiameremo “welfare cooperativo” è diventato molto simile al tradizionale welfare aziendale. La contaminazione ha assunto la forma dei bilanci sociali, i quali, pur consentendo di rappresentare la tradizionale dimensione multistakeholder e il legame con la comunità locale tipico delle cooperative, utilizzavano lo stesso linguaggio delle altre imprese. Si può leggere questo passaggio come un’altra testimonianza di quel fenomeno di contaminazione fra forme di impresa diverse, che qui trattiamo nel paragrafo 2 e che ha conosciuto una forte accelerazione proprio alla fine del Novecento. Raccontare il “welfare cooperativo” significa quindi da un lato fissare le differenze e le somiglianze con il welfare delle aziende convenzionali e dall’altro tracciare l’evoluzione di una realtà imprenditoriale e sociale che oggi vive una fase storica che potremmo chiamare dell’ibridazione . La prima differenza è che, nel caso delle cooperative di lavoratori, l’insieme dei benefici per i dipendenti è in genere richiamato negli Statuti con il nome di attività per “la crescita morale ed economica dei soci” e risponde anche ai principi cooperativi, nello specifico il 3° (partecipazione economica dei soci) e il 5° (educazione, formazione e informazione dei soci). Nelle altre forme cooperative (di utenti o di conferenti), invece, esso rappresenta un’estensione dei servizi destinati ai soci. Si aggiunga che le iniziative a favore delle comunità locali, spesso classificate nelle imprese convenzionali come responsabilità sociale esterna, nel mondo cooperativo soddisfano il 7° principio (interesse verso la comunità) . In sostanza, pur in assenza di vincoli legislativi, il “welfare cooperativo” esprime la natura di questa forma di impresa invece di rappresentarne un complemento come avviene per le società convenzionali. La seconda differenza è legata alla governance: l’organizzazione di servizi per i soci o per altri stakeholders viene decisa dai soci stessi. E’ evidente che più funziona il processo democratico all’interno della cooperativa maggiore corrispondenza ci sarà fra le esigenze dei soci e i servizi del welfare cooperativo. Vi sono poi delle somiglianze. Nelle cooperative di utenti e di conferenti, i lavoratori non sono soci e quindi il rapporto che essi hanno con l’azienda non si discosta molto da quello che si ha nel caso delle imprese convenzionali. In questo caso è frequente che il “welfare cooperativo” coincida con quello aziendale. Un secondo elemento di contatto riguarda gli obiettivi del welfare aziendale. Oltre alla dimensione statutaria, anche nelle imprese cooperative le iniziative a favore di soci, dipendenti o della comunità locale possono rispondere ad una strategia di consolidamento della coesione interna e quindi dell’identità aziendale oppure far parte del percorso di costruzione di un’immagine pubblica , proprio come avviene in ogni tipo di impresa. All’interno di questo schema metodologico che definisce differenze e somiglianze delle imprese cooperative con le altre, analizzeremo l’evoluzione nel tempo di ciò che nel mondo for profit è chiamato welfare aziendale e che in quello cooperativo rientra nel concetto di mutualità e di solidarietà e che quindi chiameremo nel saggio “welfare cooperativo”. Non sono disponibili stime quantitative delle attività che le cooperative rivolgevano ai soci e ai dipendenti e quindi non ci resta che tracciare la loro evoluzione sulla base di alcuni case studies. In particolare il welfare delle cooperative ottocentesche sarà raccontato nel paragrafo 3 sulla base di quanto emerge dalle business histories sino ad ora pubblicate. Si tratta di un welfare esteso che copre molti ambiti dalla sicurezza sociale alla socializzazione e che coinvolge soci, dipendenti, comunità locale in una visione unitaria dettata dalla comune appartenenza a reti universali di solidarietà. Nel paragrafo 4 un’analoga metodologia sarà utilizzata per descrivere i cambiamenti intervenuti durante il fascismo, periodo in cui molte delle tradizionali attività si contraggono per lasciare spazio allo stato sia nell’organizzazione del tempo libero delle persone sia nella gestione dei fondi assicurativi. Le vicende della seconda metà del Novecento saranno invece analizzate nel paragrafo 5 e 6 attraverso una ricerca originale effettuata presso gli archivi di tre cooperative associate a Legacoop: la Cooperativa albergo mensa spettacolo turismo (Camst) , la Cooperativa trasporti alimentari (Cta) e il gruppo cooperativo Granarolo . Emergono così due fasi distinte del welfare cooperativo. La prima si delinea tra gli anni cinquanta e gli anni settanta, quando la presenza di reti di solidarietà ampie porta ad estendere i servizi per i soci ai dipendenti, al territorio circostante e a volte anche ad aree geografiche lontane attraverso la partecipazione alle campagne internazionali per aiutare le popolazioni in difficoltà. La seconda prende forma tra gli anni ottanta e il primo decennio del duemila, quando nelle cooperative si definisce con maggiore chiarezza il ruolo dei diversi stakeholders e i servizi dedicati a ciascuna categoria si differenziano. In questa fase storica l’andamento complessivo del welfare cooperativo in parte differisce da quello del welfare aziendale perché mentre quest’ultimo entra in una fase carsica e conosce una caduta di interesse il primo riscrive semplicemente i suoi obiettivi ponendo al primo posto la costruzione di quello che potremmo chiamare “il nuovo” socio, quello che vede nella cooperativa il luogo per la sua crescita imprenditoriale e abbandonando la narrativa della tutela nelle situazioni di bisogno.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.