La rilevanza storica della scomunica pronunciata da papa Francesco nei confronti dei mafiosi del 21/6/2014 a Cassano all’Jonio va spiegata innanzitutto alla luce della precedente condanna del 9/5/1993 ad Agrigento, a opera di Giovanni Paolo II. Prima e dopo, nessun pontefice aveva mai preso una altrettanto inequivocabile e paradigmatica posizione nei confronti del fenomeno mafioso. Sotto questo profilo, tuttavia, è bene rilevare una differenza tra papa Wojtiła e papa Bergoglio. Giovanni Paolo II si era rivolto ai mafiosi, li aveva considerati suoi interlocutori in un appello a convertirsi rammentando loro l’inderogabilità del «giudizio di Dio». Francesco invece, scomunicandoli, di fatto esclude i mafiosi dallo spettro dei suoi destinatari. La mafia si mostra, nelle parole di Francesco, come un vero e proprio ordinamento, operante in modo uguale e opposto rispetto allo Stato, che ne risulta il solo legittimo interlocutore secolare della Chiesa. Il discorso del 21 giugno 2014 è rilevante anche per un’altra ragione: si tratta dell’ultimo di una serie di pronunciamenti ufficiali, a conti fatti, tecnicamente inefficaci, della Chiesa e del magistero cattolico – tra loro tutti comunque eterogenei per ragioni storiche e di contesto. Mi riferisco soprattutto alle “scomuniche” inferte dai vescovi siciliani ai mafiosi – alle volte, come nel 1944 e nel 1952, peraltro nemmeno rivolte ai “mafiosi”: quelle del 1944, del 1952, del 1982 e, successivamente alla condanna della mafia da parte di Giovanni Paolo II, del 1994. Si tratta di condanne attente più alla loro eco presso l’opinione pubblica che alla loro funzionalità canonica, normativa. Così, a suo modo, anche la “scomunica” di papa Francesco suscita una serie di interrogativi che non trovano risposta in un’omelia – ad esempio, la definizione canonica (è latae, come pare, o ferendae sententiae?), oppure la riserva (qual è, nello specifico, l’organo competente della revoca della scomunica?). Vale invece la pena chiedersi quale sia il senso di ciò che avviene il 21 giugno 2014 a Cassano all’Jonio, attraverso certo, ma soprattutto al di là degli elementi relativi alla disciplina giuscanonistica. Bisogna domandarsi quale ragione abbia spinto papa Bergoglio a prendere una simile posizione. Va probabilmente gettata luce sul ruolo giocato, in tutto ciò, dal segretario della CEI, mons. Nunzio Galantino – vescovo, per l’appunto, di Cassano all’Jonio – che ha fortemente voluto la visita pastorale di Francesco. Le parole, non di condanna, ma di autoriflessione di Galantino, che parla di «una Chiesa che […] rallenta il suo passo» rischiando «di perdere la gioia evangelica e l’entusiasmo della testimonianza», sembrano, alla luce della storia dei pronunciamenti della Chiesa contro la mafia, non meno significative della scomunica comminata da un pontefice in un contesto omiletico.

La "scomunica" ai mafiosi del 21 giugno 2014 tra filologia e storia

DAINESE, DAVIDE
2017

Abstract

La rilevanza storica della scomunica pronunciata da papa Francesco nei confronti dei mafiosi del 21/6/2014 a Cassano all’Jonio va spiegata innanzitutto alla luce della precedente condanna del 9/5/1993 ad Agrigento, a opera di Giovanni Paolo II. Prima e dopo, nessun pontefice aveva mai preso una altrettanto inequivocabile e paradigmatica posizione nei confronti del fenomeno mafioso. Sotto questo profilo, tuttavia, è bene rilevare una differenza tra papa Wojtiła e papa Bergoglio. Giovanni Paolo II si era rivolto ai mafiosi, li aveva considerati suoi interlocutori in un appello a convertirsi rammentando loro l’inderogabilità del «giudizio di Dio». Francesco invece, scomunicandoli, di fatto esclude i mafiosi dallo spettro dei suoi destinatari. La mafia si mostra, nelle parole di Francesco, come un vero e proprio ordinamento, operante in modo uguale e opposto rispetto allo Stato, che ne risulta il solo legittimo interlocutore secolare della Chiesa. Il discorso del 21 giugno 2014 è rilevante anche per un’altra ragione: si tratta dell’ultimo di una serie di pronunciamenti ufficiali, a conti fatti, tecnicamente inefficaci, della Chiesa e del magistero cattolico – tra loro tutti comunque eterogenei per ragioni storiche e di contesto. Mi riferisco soprattutto alle “scomuniche” inferte dai vescovi siciliani ai mafiosi – alle volte, come nel 1944 e nel 1952, peraltro nemmeno rivolte ai “mafiosi”: quelle del 1944, del 1952, del 1982 e, successivamente alla condanna della mafia da parte di Giovanni Paolo II, del 1994. Si tratta di condanne attente più alla loro eco presso l’opinione pubblica che alla loro funzionalità canonica, normativa. Così, a suo modo, anche la “scomunica” di papa Francesco suscita una serie di interrogativi che non trovano risposta in un’omelia – ad esempio, la definizione canonica (è latae, come pare, o ferendae sententiae?), oppure la riserva (qual è, nello specifico, l’organo competente della revoca della scomunica?). Vale invece la pena chiedersi quale sia il senso di ciò che avviene il 21 giugno 2014 a Cassano all’Jonio, attraverso certo, ma soprattutto al di là degli elementi relativi alla disciplina giuscanonistica. Bisogna domandarsi quale ragione abbia spinto papa Bergoglio a prendere una simile posizione. Va probabilmente gettata luce sul ruolo giocato, in tutto ciò, dal segretario della CEI, mons. Nunzio Galantino – vescovo, per l’appunto, di Cassano all’Jonio – che ha fortemente voluto la visita pastorale di Francesco. Le parole, non di condanna, ma di autoriflessione di Galantino, che parla di «una Chiesa che […] rallenta il suo passo» rischiando «di perdere la gioia evangelica e l’entusiasmo della testimonianza», sembrano, alla luce della storia dei pronunciamenti della Chiesa contro la mafia, non meno significative della scomunica comminata da un pontefice in un contesto omiletico.
2017
L'immaginario devoto tra mafie e antimafia. 1. Riti, culti e santi
269
286
Dainese, Davide
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