In Giappone la storia della fotografia inizia alla metà del XIX secolo, come uno dei tanti effetti dell’espansione del controllo politico ed economico da parte di America ed Europa in Asia. L’8 luglio del 1853 infatti le navi nere del Commodoro statunitense Matthew C. Perry fanno il loro minaccioso ingresso nella baia di Uraga, nella prefettura di Kanagawa, e costringono il Giappone ad abbandonare definitivamente il suo altero isolamento per riaprire i propri porti al commercio con l’Occidente. La storia ci insegna che la riapertura in realtà fu il frutto di scelte politiche maturate nel corso di decenni e che la comparsa delle vele americane funse solo da acceleratore di un cambiamento già in atto, ma nell’immaginario il catalizzatore fu la paura della schiacciante superiorità della tecnologia militare statunitense. In altre parole, dei cannoni che fiorivano sulle fiancate delle navi al comando di Perry. La tecnologia dunque si definisce fin dal primo contatto con l’Altro come fulcro dell’interesse per un paese che dopo due secoli di nuovo si confronta a viso aperto con l’imperialismo euro-americano. E la fotografia è una tessera del mosaico: introdotta in sordina, si impone ben presto all’attenzione di un establishment che ne coglie l’incredibile potenziale in termini ideologici e sociali in quanto strumento di rappresentazione del reale. Un reale facilmente modellabile ai fini del rafforzamento delle nuove dinamiche di potere nate col Giappone moderno, che vedono al centro il ruolo e la figura dell’imperatore, e – per traslato – dello stato.
Scrolavezza, P. (2016). Immagini di un'idea:metamorfosi identitarie nell'obiettivo dei fotografi Meiji. Roma : Bulzoni Editore.
Immagini di un'idea:metamorfosi identitarie nell'obiettivo dei fotografi Meiji
SCROLAVEZZA, PAOLA
2016
Abstract
In Giappone la storia della fotografia inizia alla metà del XIX secolo, come uno dei tanti effetti dell’espansione del controllo politico ed economico da parte di America ed Europa in Asia. L’8 luglio del 1853 infatti le navi nere del Commodoro statunitense Matthew C. Perry fanno il loro minaccioso ingresso nella baia di Uraga, nella prefettura di Kanagawa, e costringono il Giappone ad abbandonare definitivamente il suo altero isolamento per riaprire i propri porti al commercio con l’Occidente. La storia ci insegna che la riapertura in realtà fu il frutto di scelte politiche maturate nel corso di decenni e che la comparsa delle vele americane funse solo da acceleratore di un cambiamento già in atto, ma nell’immaginario il catalizzatore fu la paura della schiacciante superiorità della tecnologia militare statunitense. In altre parole, dei cannoni che fiorivano sulle fiancate delle navi al comando di Perry. La tecnologia dunque si definisce fin dal primo contatto con l’Altro come fulcro dell’interesse per un paese che dopo due secoli di nuovo si confronta a viso aperto con l’imperialismo euro-americano. E la fotografia è una tessera del mosaico: introdotta in sordina, si impone ben presto all’attenzione di un establishment che ne coglie l’incredibile potenziale in termini ideologici e sociali in quanto strumento di rappresentazione del reale. Un reale facilmente modellabile ai fini del rafforzamento delle nuove dinamiche di potere nate col Giappone moderno, che vedono al centro il ruolo e la figura dell’imperatore, e – per traslato – dello stato.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.