Da diversi anni alcune tra le soluzioni più innovative, e più critiche, per la costruzione di un diritto penale europeo, si sono intrecciate con la materia tributaria. Si pensi, solo per citare i temi che hanno goduto di maggiore rinomanza negli ultimi tempi, al problema del ne bis in idem, sviluppatosi nella giurisprudenza delle Corti europee, prevalentemente attorno alle sanzioni tributarie (e in particolare all’IVA). O, ancora, alla prescrizione, probabilmente in concreto l’istituto di maggiore delicatezza per la tenuta del sistema penale nel nostro ordinamento: la critica rivolta da parte Corte di Giustizia, con la sentenza del 2015 sul caso Taricco, alla disciplina nazionale sulla interruzione dei termini prescrittivi trae, infatti, come noto, la sua origine da una vicenda di frode fiscale in materia di imposta sul valore aggiunto. Sullo sfondo il nodo dei tributi, e in particolare dell’IVA, assume rilievo identitario nella costruzione dell’ordinamento sovranazionale dell’Unione: esclusa questa imposta dal novero delle risorse originarie dell’Unione da parte del legislatore (si pensi alla scelta operata dalla Convenzione PIF del 1995, o alla competenza dell’OLAF, da cui l’IVA è stata sottratta), essa ha rappresentato invece nella giurisprudenza della Corte di giustizia l’elemento chiave per adottare alcune decisioni cruciali per lo sviluppo della area di libertà, sicurezza e giustizia delineata dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dal Programma di Stoccolma del 2009. Se allarghiamo lo sguardo, è facile accorgersi di come la questione primaria – per lo meno dalla prospettiva del penalista - appaia quella legata alla costruzione di un diritto punitivo sovranazionale, di carattere unitario, a livello continentale, sganciato dalle classificazioni adottate dal legislatore statuale. Un sistema a “colorazione penale” di matrice europea, con principi e, ciò che è più difficile, con regole comuni per tutti i Paesi parte della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (e a cascata per gli Stati membri dell’Unione europea, considerato come la Carta dei diritti fondamentali proclami il recepimento dei principi e delle garanzie della CEDU all’interno del sistema UE). A fronte di una posta in gioco così ampia, si avverte la mancanza di una comunità di valori stabile e interpretata in modo uniforme. La giurisprudenza sviluppatasi nel nuovo millennio, per esempio, appare ancora inadeguata a trovare delle soluzioni soddisfacenti. Se infatti a causa delle sentenze della Corte di Strasburgo siamo sempre più spesso indotti a dubitare della natura di un sistema sanzionatorio – se sia esso penale o in senso lato amministrativo – al tempo stesso, tuttavia, non disponiamo ancora, stando al case law sovranazionale, di criteri chiari per separare l’area penale da ciò che se ne pone al di fuori. Gli sviluppi susseguitisi sulla materia del ne bis in idem, e in particolare del ne bis puniri, risultano sotto questo profilo emblematici. In un primo periodo, infatti, diverse pronunce adottate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (ma anche dalla Corte di giustizia, nel caso Åkerberg Fransson del 2013) avevano portato a concludere che, in presenza di un provvedimento sanzionatorio di carattere tributario, fosse precluso l’avvio o il proseguimento del processo penale (e viceversa). Non pochi legislatori nazionali avevano di conseguenza scelto di adattare le proprie regole alle indicazioni provenienti dalle Corti europee, finendo per abbandonare il modello del doppio binario sanzionatorio – penale e tributario – da tempo risalente caratterizzante la tradizione continentale. Ne sono originate soluzioni nuove, come il sistema una via, concepito dal Belgio e dai Paesi Bassi, di cui si dà conto in diversi contributi di questo volume, che impone di applicare in via esclusiva, alternativamente la sanzione tributaria o quella penale, di fronte a uno stesso fatto illecito. Volendo, anche la riforma introdotta con il d. lsg. 158 del 24 settembre 2015, sulla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario, appare dovuta alla necessità di recepire il diritto giurisprudenziale di Strasburgo: così, il nuovo art. 13 del d.lgs. 74 del 2000, che introduce una causa di non punibilità per il pagamento del debito tributario per alcuni reati in materia di imposte dirette e di IVA deve certamente la sua origine alla necessità di stemperare i rigori del modello improntato al doppio binario, in omaggio al ne bis puniri estrapolato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo interpretando il principio del ne bis in idem convenzionale. Ad onta della strada intrapresa, tanto dalla Corte di Strasburgo quanto – come conseguenza – dai legislatori nazionali, si deve riscontrare tuttavia una recente pronuncia che pare rimettere in discussione approdi che ormai sembravano consolidati: nel caso A e B v. Norvegia, dell’ottobre 2016, la Corte di Strasburgo ritorna a dare cittadinanza al modello punitivo incentrato sul doppio binario, introducendo nuovi criteri di problematica applicazione (“a sufficiently close connection in substance and in time”) quale condizione di validità della duplice punizione dello stesso fatto illecito. D’altro canto, anche le fonti positive rifuggono quasi sempre da scelte chiare, rimettendo ai legislatori nazionali passaggi chiave per il successo effettivo delle disposizioni adottate: è il caso, ad esempio, delle clausole relative alle conseguenze derivanti dalla inosservanza delle previsioni in materia di accesso a un difensore (direttiva 2013/48/UE), tutte lasciate alle scelte discrezionali dei vari Paesi membri, quasi si avesse paura si adottare soluzioni nette su una questione che in sé racchiude tutta la idoneità della nuova normativa a tutelare in maniera efficace il diritto al difensore dell’imputato. Le considerazioni che precedono inducono a pensare che, nella edificazione del nuovo ordinamento penale europeo, manchi un approccio sistematico adeguato, tale da fornire di fondamenta solide una costruzione sviluppatasi in taluni casi troppo velocemente, e in altri modo troppo esteso. A questo compito sembrano chiamati gli studiosi, per dare vita a quel conteso di valori, di significati e principi condivisi, di metodi stabili che possano fungere da supporto al nuovo (e fragile) ordinamento sovranazionale. Occorre in altre parole costruire quel terreno culturale e valoriale comune, senza il quale difficilmente la legalità penale può fiorire, in specie in un quadro di strutturale fragilità istituzionale, come quello attuale, che caratterizza l’intero nostro continente.

Il progetto e la ricerca “Criminal and Administrative Investigations in the field of Vat and Customs Duty”

CAIANIELLO, MICHELE;DI PIETRO, ADRIANO
2016

Abstract

Da diversi anni alcune tra le soluzioni più innovative, e più critiche, per la costruzione di un diritto penale europeo, si sono intrecciate con la materia tributaria. Si pensi, solo per citare i temi che hanno goduto di maggiore rinomanza negli ultimi tempi, al problema del ne bis in idem, sviluppatosi nella giurisprudenza delle Corti europee, prevalentemente attorno alle sanzioni tributarie (e in particolare all’IVA). O, ancora, alla prescrizione, probabilmente in concreto l’istituto di maggiore delicatezza per la tenuta del sistema penale nel nostro ordinamento: la critica rivolta da parte Corte di Giustizia, con la sentenza del 2015 sul caso Taricco, alla disciplina nazionale sulla interruzione dei termini prescrittivi trae, infatti, come noto, la sua origine da una vicenda di frode fiscale in materia di imposta sul valore aggiunto. Sullo sfondo il nodo dei tributi, e in particolare dell’IVA, assume rilievo identitario nella costruzione dell’ordinamento sovranazionale dell’Unione: esclusa questa imposta dal novero delle risorse originarie dell’Unione da parte del legislatore (si pensi alla scelta operata dalla Convenzione PIF del 1995, o alla competenza dell’OLAF, da cui l’IVA è stata sottratta), essa ha rappresentato invece nella giurisprudenza della Corte di giustizia l’elemento chiave per adottare alcune decisioni cruciali per lo sviluppo della area di libertà, sicurezza e giustizia delineata dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dal Programma di Stoccolma del 2009. Se allarghiamo lo sguardo, è facile accorgersi di come la questione primaria – per lo meno dalla prospettiva del penalista - appaia quella legata alla costruzione di un diritto punitivo sovranazionale, di carattere unitario, a livello continentale, sganciato dalle classificazioni adottate dal legislatore statuale. Un sistema a “colorazione penale” di matrice europea, con principi e, ciò che è più difficile, con regole comuni per tutti i Paesi parte della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (e a cascata per gli Stati membri dell’Unione europea, considerato come la Carta dei diritti fondamentali proclami il recepimento dei principi e delle garanzie della CEDU all’interno del sistema UE). A fronte di una posta in gioco così ampia, si avverte la mancanza di una comunità di valori stabile e interpretata in modo uniforme. La giurisprudenza sviluppatasi nel nuovo millennio, per esempio, appare ancora inadeguata a trovare delle soluzioni soddisfacenti. Se infatti a causa delle sentenze della Corte di Strasburgo siamo sempre più spesso indotti a dubitare della natura di un sistema sanzionatorio – se sia esso penale o in senso lato amministrativo – al tempo stesso, tuttavia, non disponiamo ancora, stando al case law sovranazionale, di criteri chiari per separare l’area penale da ciò che se ne pone al di fuori. Gli sviluppi susseguitisi sulla materia del ne bis in idem, e in particolare del ne bis puniri, risultano sotto questo profilo emblematici. In un primo periodo, infatti, diverse pronunce adottate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (ma anche dalla Corte di giustizia, nel caso Åkerberg Fransson del 2013) avevano portato a concludere che, in presenza di un provvedimento sanzionatorio di carattere tributario, fosse precluso l’avvio o il proseguimento del processo penale (e viceversa). Non pochi legislatori nazionali avevano di conseguenza scelto di adattare le proprie regole alle indicazioni provenienti dalle Corti europee, finendo per abbandonare il modello del doppio binario sanzionatorio – penale e tributario – da tempo risalente caratterizzante la tradizione continentale. Ne sono originate soluzioni nuove, come il sistema una via, concepito dal Belgio e dai Paesi Bassi, di cui si dà conto in diversi contributi di questo volume, che impone di applicare in via esclusiva, alternativamente la sanzione tributaria o quella penale, di fronte a uno stesso fatto illecito. Volendo, anche la riforma introdotta con il d. lsg. 158 del 24 settembre 2015, sulla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario, appare dovuta alla necessità di recepire il diritto giurisprudenziale di Strasburgo: così, il nuovo art. 13 del d.lgs. 74 del 2000, che introduce una causa di non punibilità per il pagamento del debito tributario per alcuni reati in materia di imposte dirette e di IVA deve certamente la sua origine alla necessità di stemperare i rigori del modello improntato al doppio binario, in omaggio al ne bis puniri estrapolato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo interpretando il principio del ne bis in idem convenzionale. Ad onta della strada intrapresa, tanto dalla Corte di Strasburgo quanto – come conseguenza – dai legislatori nazionali, si deve riscontrare tuttavia una recente pronuncia che pare rimettere in discussione approdi che ormai sembravano consolidati: nel caso A e B v. Norvegia, dell’ottobre 2016, la Corte di Strasburgo ritorna a dare cittadinanza al modello punitivo incentrato sul doppio binario, introducendo nuovi criteri di problematica applicazione (“a sufficiently close connection in substance and in time”) quale condizione di validità della duplice punizione dello stesso fatto illecito. D’altro canto, anche le fonti positive rifuggono quasi sempre da scelte chiare, rimettendo ai legislatori nazionali passaggi chiave per il successo effettivo delle disposizioni adottate: è il caso, ad esempio, delle clausole relative alle conseguenze derivanti dalla inosservanza delle previsioni in materia di accesso a un difensore (direttiva 2013/48/UE), tutte lasciate alle scelte discrezionali dei vari Paesi membri, quasi si avesse paura si adottare soluzioni nette su una questione che in sé racchiude tutta la idoneità della nuova normativa a tutelare in maniera efficace il diritto al difensore dell’imputato. Le considerazioni che precedono inducono a pensare che, nella edificazione del nuovo ordinamento penale europeo, manchi un approccio sistematico adeguato, tale da fornire di fondamenta solide una costruzione sviluppatasi in taluni casi troppo velocemente, e in altri modo troppo esteso. A questo compito sembrano chiamati gli studiosi, per dare vita a quel conteso di valori, di significati e principi condivisi, di metodi stabili che possano fungere da supporto al nuovo (e fragile) ordinamento sovranazionale. Occorre in altre parole costruire quel terreno culturale e valoriale comune, senza il quale difficilmente la legalità penale può fiorire, in specie in un quadro di strutturale fragilità istituzionale, come quello attuale, che caratterizza l’intero nostro continente.
2016
Indagini penali e amministrative in materia di frodi IVA e doganali L’impatto dell’European Investigation Order sulla cooperazione transnazionale
IX
XIII
Caianiello, M.; Di Pietro, A.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/598793
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