Le martire de Verité, dialogue de Lucian mis en lumiere Francoys risponde alle caratteristiche della pubblicazione-tipo introdotta sul mercato librario dall’editore François Juste, attivo a Lione tra il 1524 ed il 1547: è un testo in volgare, di piccolo formato e di qualche decina di pagine. Quanto al contenuto, le sue origini non vanno ricercate nella Grecia del II secolo dopo Cristo, ma nell’Italia del primo Rinascimento, e segnatamente in un dialogo à la façon de Luciano redatto nel 1444 in lingua latina da Maffeo Vegio, umanista padano per lo più vissuto alla curia romana. Così ha da tempo stabilito la critica, più prudente sull’identificazione del traduttore, l’anonimo D.V.Z., dietro il quale si nasconde con ogni probabilità il lionese Jean de Vauzelles. Il passaggio che era stato invece ad oggi ignorato nella riscostruzione del percorso che porta il Philalethes del Vegio a Lione è quello costituito da una traduzione italiana intermedia, ideata in un ambiente culturale completamente diverso rispetto alla versione iniziale; una traduzione che ha a sua volta costituito il vero testo di partenza del prodotto lionese. Nicolò Leoniceno, il professore di medicina nello studio di Ferrara che l’ha realizzata, si era distinto nell’applicazione della filologia all’interpretazione dei testi dei grandi maestri della scienza antica, dimostrando profonda simpatia nei confronti di Erasmo, cui l’avvicinava un comune sentimento non solo della cultura, ma anche della vita religiosa. Era stato così che, un testo nato come generale denuncia della corruzione umana, era diventato ben altro: le variazioni che il medico ferrarese aveva apportato al testo di partenza non riguardano solo singole parole o frasi, ma arrivavano a toccare in maniera macroscopica la struttura e il contenuto del dialogo. Quello che il Vauzelles decide di importare a Lione è insomma un testo già connotato. Malgrado l’apparenza dunque, il lettore cui il Martire de Verité è rivolto, come è stato del resto scritto a proposito delle opere uscite dai torchi di François Juste, non è il «gros populaire». Appartiene ad una élite intellettuale che è non solo perfettamente in grado di leggere sotto la «poetique escorce», ma che ugualmente si interroga sulla liceità del suo uso, allo stesso modo in cui, data la violenza dei tempi, non può fare a meno di interrogarsi sulla liceità di comportamenti doppi, che comportano una scissione tra ciò che è «sulla bocca e nel cuore». Si tratta di stabilire, prima che Calvino sancisca definitivamente la figura di Luciano dissimulatore nel suo trattato contro i Nicodemiti (1544), dov’è la soglia, fino a dove è possibile e giustificato spingersi.

Fingere in nome della verità: il ‘Philalethes’ di Maffeo Vegio nella Lione di Vauzelles

CONCONI, BRUNA
2017

Abstract

Le martire de Verité, dialogue de Lucian mis en lumiere Francoys risponde alle caratteristiche della pubblicazione-tipo introdotta sul mercato librario dall’editore François Juste, attivo a Lione tra il 1524 ed il 1547: è un testo in volgare, di piccolo formato e di qualche decina di pagine. Quanto al contenuto, le sue origini non vanno ricercate nella Grecia del II secolo dopo Cristo, ma nell’Italia del primo Rinascimento, e segnatamente in un dialogo à la façon de Luciano redatto nel 1444 in lingua latina da Maffeo Vegio, umanista padano per lo più vissuto alla curia romana. Così ha da tempo stabilito la critica, più prudente sull’identificazione del traduttore, l’anonimo D.V.Z., dietro il quale si nasconde con ogni probabilità il lionese Jean de Vauzelles. Il passaggio che era stato invece ad oggi ignorato nella riscostruzione del percorso che porta il Philalethes del Vegio a Lione è quello costituito da una traduzione italiana intermedia, ideata in un ambiente culturale completamente diverso rispetto alla versione iniziale; una traduzione che ha a sua volta costituito il vero testo di partenza del prodotto lionese. Nicolò Leoniceno, il professore di medicina nello studio di Ferrara che l’ha realizzata, si era distinto nell’applicazione della filologia all’interpretazione dei testi dei grandi maestri della scienza antica, dimostrando profonda simpatia nei confronti di Erasmo, cui l’avvicinava un comune sentimento non solo della cultura, ma anche della vita religiosa. Era stato così che, un testo nato come generale denuncia della corruzione umana, era diventato ben altro: le variazioni che il medico ferrarese aveva apportato al testo di partenza non riguardano solo singole parole o frasi, ma arrivavano a toccare in maniera macroscopica la struttura e il contenuto del dialogo. Quello che il Vauzelles decide di importare a Lione è insomma un testo già connotato. Malgrado l’apparenza dunque, il lettore cui il Martire de Verité è rivolto, come è stato del resto scritto a proposito delle opere uscite dai torchi di François Juste, non è il «gros populaire». Appartiene ad una élite intellettuale che è non solo perfettamente in grado di leggere sotto la «poetique escorce», ma che ugualmente si interroga sulla liceità del suo uso, allo stesso modo in cui, data la violenza dei tempi, non può fare a meno di interrogarsi sulla liceità di comportamenti doppi, che comportano una scissione tra ciò che è «sulla bocca e nel cuore». Si tratta di stabilire, prima che Calvino sancisca definitivamente la figura di Luciano dissimulatore nel suo trattato contro i Nicodemiti (1544), dov’è la soglia, fino a dove è possibile e giustificato spingersi.
2017
Le savoir italien sous les presses lyonnaises à la Renaissance
359
393
Conconi, Bruna
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