Un affaticato percorso di sviluppo culturale vedeva, nel ‘periodo eroico’ della nascita disciplinare dell’Urbanistica in Italia e in Europa, il passaggio dalle intenzioni “igieniste” – volte cioè soprattutto alla bonifica edilizia di interi quartieri malsani e alla soluzione di problemi igienici cui erano chiamati i “Piani regolatori e di ampliamento” – ad una programmazione delle città sulla base di un recupero e uno sviluppo organizzato secondo la Zonizzazione funzionalista; originariamente un ‘metodo’ di Pianificazione, poi divenuto una vera e propria visione quasi filosofica. Per la prima volta si concepiva, infatti, uno spazio urbano costituito da ‘parti specializzate’ e soprattutto raggruppate, rispetto alla mixitè che caratterizzava invece la città storica. Una concezione ingegneristica in origine tedesca e olandese – che in Italia veniva fatta propria da Gustavo Giovannoni oltre che da gran parte dei nuovi ‘organizzatori’ della vita cittadina fino alla “Legge urbanistica” del 1942 – che, nata dall’idea delle strade medievali delle Corporazioni, si mostrava ora ben più estesa e dirigisticamente adatta sia per lo Stato liberale (ma in verità capitalista e oligarchico), sia per quello socialista, sia per quello totalitario: controllo e organizzazione procedevano – pur per scopi molto diversi – di pari passo e confluivano spesso nell’”Urbanistica nazionalista”, legata cioè a intenti celebrativi, simbolici o anche di privilegio (etnico, economico…) per alcuni componenti della Cittadinanza. Una visione ‘mitigata’ di un tale Funzionalismo (ma senza esclusione dei suoi principi fondanti) era quella linea culturale che, in Italia, Marcello Piacentini adottava cercando di ‘leggere’ la città (o la prospettiva di essa) attraverso l’individuazione dei suoi nodi e delle sue ‘cerniere’ urbane, che andavano opportunamente qualificate attraverso un nuovo “Disegno”. Completava il quadro, la visione urbanistica del Razionalismo, laddove i soliti aspetti del Funzionalismo venivano adattati ad una visione di ‘progetto urbano’, declinata secondo peculiari linee progettuali che, sostanzialmente, puntavano all’individuazione di ‘fulcri urbani’ puntuali o lineari (la piazza, l’acropoli, la strada) con un tessuto rarefatto all’intorno: una dissoluzione della città nella campagna in cui il Piano veniva chiamato a individuare connessione spaziali, che si fondavano sul principio dei percorsi gerarchici, delle zone e delle macrostrutture. La città si andava profondamente organizzando e il quadro di riferimento velocemente mutava per quei centri urbani, che da una Modernità dirompente si avviavano, nei Totalitarismi, a divenire città “organizzate”. Ferruccio Canali

LA CENTRALITÀ DELLO STRUMENTO DEL PIANO REGOLATOR E GENERALE NELLA “LEGGE URBANISTICA NAZIONALE n. 1150 DEL 1942”

GULLI', LUCA;MASSARETTI, PIER GIORGIO
2016

Abstract

Un affaticato percorso di sviluppo culturale vedeva, nel ‘periodo eroico’ della nascita disciplinare dell’Urbanistica in Italia e in Europa, il passaggio dalle intenzioni “igieniste” – volte cioè soprattutto alla bonifica edilizia di interi quartieri malsani e alla soluzione di problemi igienici cui erano chiamati i “Piani regolatori e di ampliamento” – ad una programmazione delle città sulla base di un recupero e uno sviluppo organizzato secondo la Zonizzazione funzionalista; originariamente un ‘metodo’ di Pianificazione, poi divenuto una vera e propria visione quasi filosofica. Per la prima volta si concepiva, infatti, uno spazio urbano costituito da ‘parti specializzate’ e soprattutto raggruppate, rispetto alla mixitè che caratterizzava invece la città storica. Una concezione ingegneristica in origine tedesca e olandese – che in Italia veniva fatta propria da Gustavo Giovannoni oltre che da gran parte dei nuovi ‘organizzatori’ della vita cittadina fino alla “Legge urbanistica” del 1942 – che, nata dall’idea delle strade medievali delle Corporazioni, si mostrava ora ben più estesa e dirigisticamente adatta sia per lo Stato liberale (ma in verità capitalista e oligarchico), sia per quello socialista, sia per quello totalitario: controllo e organizzazione procedevano – pur per scopi molto diversi – di pari passo e confluivano spesso nell’”Urbanistica nazionalista”, legata cioè a intenti celebrativi, simbolici o anche di privilegio (etnico, economico…) per alcuni componenti della Cittadinanza. Una visione ‘mitigata’ di un tale Funzionalismo (ma senza esclusione dei suoi principi fondanti) era quella linea culturale che, in Italia, Marcello Piacentini adottava cercando di ‘leggere’ la città (o la prospettiva di essa) attraverso l’individuazione dei suoi nodi e delle sue ‘cerniere’ urbane, che andavano opportunamente qualificate attraverso un nuovo “Disegno”. Completava il quadro, la visione urbanistica del Razionalismo, laddove i soliti aspetti del Funzionalismo venivano adattati ad una visione di ‘progetto urbano’, declinata secondo peculiari linee progettuali che, sostanzialmente, puntavano all’individuazione di ‘fulcri urbani’ puntuali o lineari (la piazza, l’acropoli, la strada) con un tessuto rarefatto all’intorno: una dissoluzione della città nella campagna in cui il Piano veniva chiamato a individuare connessione spaziali, che si fondavano sul principio dei percorsi gerarchici, delle zone e delle macrostrutture. La città si andava profondamente organizzando e il quadro di riferimento velocemente mutava per quei centri urbani, che da una Modernità dirompente si avviavano, nei Totalitarismi, a divenire città “organizzate”. Ferruccio Canali
2016
Piani regolatori comunali: legislazione, regolamenti e modelli tra Otto e Novecento (1865-1945)
225
240
Luca, Gullì; Pier Giorgio, Massaretti
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/586667
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