Il contributo, inserito in un volume sulla cura educativa, indaga una particolare circostanza: quando la carenza di cura è causata dall’(eccessiva) sicurezza. La cura educativa, infatti, dovrebbe essere caratterizzata da alcune parole-chiave: inquietudine, incertezza, dubbi; per questo l’(eccessiva) sicurezza di educatori/trici - rispetto alle proprie convinzioni, alla capacità di comprendere le aspettative del contesto e le rappresentazioni delle colleghe, ecc. – diventa uno degli aspetti potenzialmente “inceppanti” la cura. A maggior ragione, la sicurezza può ostacolare quando riguarda la responsabilità educativa. Siamo certi di avere ben chiaro dove poniamo il limite estremo della nostra responsabilità? Conosciamo davvero in quali settori, per quanto tempo, ci sentiamo responsabili della cura dell’altro? Sappiamo fino a che punto possiamo arrivare senza che la collega, il genitore, il collettivo, il/la pedagogista, ecc., si sentano invasi nella loro sfera di responsabilità? Anche la responsabilità - tensione primaria delle professioni educative, obiettivo nobile cui tutti facciamo riferimento – cela possibili zone d’ombra. Il contributo, dunque, ne sgrana la (illusoria) trasparenza, per il suo quoziente di determinazione sociale e culturale; ancor più per i suoi possibili corollari di accettazione acritica. A tal fine, viene utilizzato il concetto di confine che possiede altresì un’efficacia metaforica: facilmente descrivibile, forte, palese, è una parola-chiave che permette di analizzare in modo diverso la professionalità di educatori/rici. Infatti, se visualizziamo la responsabilità come se fosse un campo “fisico-orario-territoriale-contenutistico” in cui ciascuno di noi si muove e si sente personalmente e professionalmente chiamato in causa dalle conseguenze anche remote del proprio esser-ci, scopriamo l’esistenza di una linea/di uno spazio/di un tempo che si pone sul limitare di tale vissuto. Tra “è mia responsabilità di cura” e “non è mia responsabilità di cura”; tra “io mi occupo di...” e “questo non riguarda me..” si sente un confine (dei confini) trasformabile, a seconda delle occasioni, in barriera e/o apertura, differenza dagli altri e possibilità di incontro.
S. Leonelli (2007). “Voci dal Nido, voci dall’Università. Può la responsabilità educativa ostacolare la cura?”. ROMA : Carocci.
“Voci dal Nido, voci dall’Università. Può la responsabilità educativa ostacolare la cura?”
LEONELLI, SILVIA
2007
Abstract
Il contributo, inserito in un volume sulla cura educativa, indaga una particolare circostanza: quando la carenza di cura è causata dall’(eccessiva) sicurezza. La cura educativa, infatti, dovrebbe essere caratterizzata da alcune parole-chiave: inquietudine, incertezza, dubbi; per questo l’(eccessiva) sicurezza di educatori/trici - rispetto alle proprie convinzioni, alla capacità di comprendere le aspettative del contesto e le rappresentazioni delle colleghe, ecc. – diventa uno degli aspetti potenzialmente “inceppanti” la cura. A maggior ragione, la sicurezza può ostacolare quando riguarda la responsabilità educativa. Siamo certi di avere ben chiaro dove poniamo il limite estremo della nostra responsabilità? Conosciamo davvero in quali settori, per quanto tempo, ci sentiamo responsabili della cura dell’altro? Sappiamo fino a che punto possiamo arrivare senza che la collega, il genitore, il collettivo, il/la pedagogista, ecc., si sentano invasi nella loro sfera di responsabilità? Anche la responsabilità - tensione primaria delle professioni educative, obiettivo nobile cui tutti facciamo riferimento – cela possibili zone d’ombra. Il contributo, dunque, ne sgrana la (illusoria) trasparenza, per il suo quoziente di determinazione sociale e culturale; ancor più per i suoi possibili corollari di accettazione acritica. A tal fine, viene utilizzato il concetto di confine che possiede altresì un’efficacia metaforica: facilmente descrivibile, forte, palese, è una parola-chiave che permette di analizzare in modo diverso la professionalità di educatori/rici. Infatti, se visualizziamo la responsabilità come se fosse un campo “fisico-orario-territoriale-contenutistico” in cui ciascuno di noi si muove e si sente personalmente e professionalmente chiamato in causa dalle conseguenze anche remote del proprio esser-ci, scopriamo l’esistenza di una linea/di uno spazio/di un tempo che si pone sul limitare di tale vissuto. Tra “è mia responsabilità di cura” e “non è mia responsabilità di cura”; tra “io mi occupo di...” e “questo non riguarda me..” si sente un confine (dei confini) trasformabile, a seconda delle occasioni, in barriera e/o apertura, differenza dagli altri e possibilità di incontro.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.