Chi era Socrate? Lo storico della filosofia antica Pierre Hadot inizia così il suo Elogio: “Disegnare con esattezza la realtà della figura storica di Socrate è molto difficile, forse impossibile, per quanto i fatti salienti della sua vita siano ben documentati. Le testimonianze su Socrate lasciateci dai suoi contemporanei, quelle di Platone, di Senofonte, di Aristofane, hanno trasformato, idealizzato, deformato i tratti di Socrate, l’uomo vissuto ad Atene sul finire del V secolo a.C. Sarà mai possibile ritrovare e ricostruire ciò che egli fu veramente? Potrei forse azzardare l’affermazione che, in un certo senso, poco importa! Giacché è stata la figura ideale di Socrate, così come è stata tratteggiata da Platone nel Simposio e come l’hanno colta due grandi socratici, Kierkegaard e Nietzsche, a svolgere un ruolo fondamentale per la nostra tradizione occidentale e per la nascita del pensiero contemporaneo”. L’immagine di Socrate che possiamo scorgere all’orizzonte di tutte le testimonianze – articolate o frammentarie – dei suoi contemporanei è in effetti quella di una figura ambigua e paradossale, che a seconda di come se ne interpreti i tratti superficiali può trasformarsi, come un essere proteiforme, in un mostruoso condensato di vizi e bramosie, in una buffa caricatura a metà tra filosofo e sofista, nel paradigma di uomo saggio e irreprensibile. “È significativo”, scrive Nietzsche, “che Socrate fosse il primo grande greco a essere brutto” – come l’omerico Tersite – di quella bruttezza che secondo Aristotele avrebbe potuto pregiudicare la felicità di un uomo: gli occhi bovini, il naso camuso, le labbra sporgenti, il ventre rigonfio, i piedi scalzi e il mantello logoro e sempre lo stesso lo rendevano, agli occhi dei fisiognomici, l’espressione vivente della lussuria e dell’intemperanza – la sua assidua frequentazione dei giovani ateniesi doveva sembrarne una conferma. Non solo: scrive ancora Nietzsche che in lui “tutto è al tempo stesso occulto, pieno di secondi fini, sotterraneo” perché, per ottenere i favori di quei giovani, Socrate si finge ignorante dissimulando la propria sapienza, come le statuine dei Sileni di cui parla Platone nel Simposio, costruite dagli artigiani con una cavità che nasconde dietro le sembianze corpulente e animalesche delle mitiche creature boschive – che tanto somigliano a Socrate! – la preziosa immagine di un dio. Eppure Socrate fu il primo grande greco a essere brutto, cioè fu il primo a rompere quell’ideale apparentemente infrangibile rappresentato dalla kalokagathía: l’unione di bellezza e bontà come qualità inscindibili che garantiva il valore intellettuale e morale di un uomo, oltre a sancirne le origini aristocratiche; tanto che Senofonte potrà fare di lui un modello di liberalità, giustizia e saggezza, qualcuno capace di calcolare serenamente, di fronte alla propria condanna a morte, che non vale la pena di investire le ultime risorse nel tentativo di sopravvivere quando l’età raggiunta è ormai avanzata e vivere ancora significherebbe doverne sopportare gli inevitabili tormenti. Ma non è questa saggezza misurata e dimessa a fare di Socrate il primo grande greco, almeno non per noi: la sua grandezza non può essere separata dalla sua atopía, dalla stranezza e unicità del filosofo che Platone ha reso immortale trasformandolo in un eroe del pensiero, e nell’eroe dei suoi dialoghi filosofici; qualcuno che nasconde davvero un cuore prezioso dietro le sembianze sileniche. Socrate è per noi il primo uomo che ha saputo vivere senza mai tradire le proprie convinzioni per viltà o convenienza, ma sottoponendole costantemente all’esame critico della ragione per verificarne la bontà ed esser certo così di affidare ogni sua scelta e azione al miglior ragionamento di cui fosse capace. È stato il primo che ha saputo condurre questa coerenza tra pensiero e azione fino alle sue estreme conseguenze, senza indietreggiare nemmeno di fronte alla morte, e che su di essa ha fondato la propria felicità rendendola incorruttibile; come scrive il filosofo contemporaneo Robert Nozick, la scelta di Socrate di andare incontro alla morte anziché salvarsi rinnegando ciò in cui credeva più profondamente ha reso la sua morte una parte essenziale della sua vita, l’ha trasformata, cioè, in quell’ultimo singolo episodio capace di proiettare un cono di luce sull’intera vita rendendola imperitura. In altre parole, se il suo ‘allievo’ Platone è per noi un grande stimolo filosofico – forse il più grande invito a fare filosofia – e l’allievo dell’allievo Aristotele è la mente universale che ha inaugurato l’enciclopedia delle scienze, a Socrate dobbiamo il primo – e forse unico – esempio di vita consacrata alla filosofia. Quanto alle accuse – implicite o esplicite – di avere trascurato l’impegno politico, al di là dei semplici doveri di buon cittadino, la sua condotta contiene già la migliore risposta; con le parole del filosofo del ‘900 Ludwig Wittgenstein: “Non esiste altro mondo se non il tuo mondo: se vuoi migliorare il mondo, devi migliorare te stesso”.

Socrate

CAPUCCINO, CARLOTTA
2014

Abstract

Chi era Socrate? Lo storico della filosofia antica Pierre Hadot inizia così il suo Elogio: “Disegnare con esattezza la realtà della figura storica di Socrate è molto difficile, forse impossibile, per quanto i fatti salienti della sua vita siano ben documentati. Le testimonianze su Socrate lasciateci dai suoi contemporanei, quelle di Platone, di Senofonte, di Aristofane, hanno trasformato, idealizzato, deformato i tratti di Socrate, l’uomo vissuto ad Atene sul finire del V secolo a.C. Sarà mai possibile ritrovare e ricostruire ciò che egli fu veramente? Potrei forse azzardare l’affermazione che, in un certo senso, poco importa! Giacché è stata la figura ideale di Socrate, così come è stata tratteggiata da Platone nel Simposio e come l’hanno colta due grandi socratici, Kierkegaard e Nietzsche, a svolgere un ruolo fondamentale per la nostra tradizione occidentale e per la nascita del pensiero contemporaneo”. L’immagine di Socrate che possiamo scorgere all’orizzonte di tutte le testimonianze – articolate o frammentarie – dei suoi contemporanei è in effetti quella di una figura ambigua e paradossale, che a seconda di come se ne interpreti i tratti superficiali può trasformarsi, come un essere proteiforme, in un mostruoso condensato di vizi e bramosie, in una buffa caricatura a metà tra filosofo e sofista, nel paradigma di uomo saggio e irreprensibile. “È significativo”, scrive Nietzsche, “che Socrate fosse il primo grande greco a essere brutto” – come l’omerico Tersite – di quella bruttezza che secondo Aristotele avrebbe potuto pregiudicare la felicità di un uomo: gli occhi bovini, il naso camuso, le labbra sporgenti, il ventre rigonfio, i piedi scalzi e il mantello logoro e sempre lo stesso lo rendevano, agli occhi dei fisiognomici, l’espressione vivente della lussuria e dell’intemperanza – la sua assidua frequentazione dei giovani ateniesi doveva sembrarne una conferma. Non solo: scrive ancora Nietzsche che in lui “tutto è al tempo stesso occulto, pieno di secondi fini, sotterraneo” perché, per ottenere i favori di quei giovani, Socrate si finge ignorante dissimulando la propria sapienza, come le statuine dei Sileni di cui parla Platone nel Simposio, costruite dagli artigiani con una cavità che nasconde dietro le sembianze corpulente e animalesche delle mitiche creature boschive – che tanto somigliano a Socrate! – la preziosa immagine di un dio. Eppure Socrate fu il primo grande greco a essere brutto, cioè fu il primo a rompere quell’ideale apparentemente infrangibile rappresentato dalla kalokagathía: l’unione di bellezza e bontà come qualità inscindibili che garantiva il valore intellettuale e morale di un uomo, oltre a sancirne le origini aristocratiche; tanto che Senofonte potrà fare di lui un modello di liberalità, giustizia e saggezza, qualcuno capace di calcolare serenamente, di fronte alla propria condanna a morte, che non vale la pena di investire le ultime risorse nel tentativo di sopravvivere quando l’età raggiunta è ormai avanzata e vivere ancora significherebbe doverne sopportare gli inevitabili tormenti. Ma non è questa saggezza misurata e dimessa a fare di Socrate il primo grande greco, almeno non per noi: la sua grandezza non può essere separata dalla sua atopía, dalla stranezza e unicità del filosofo che Platone ha reso immortale trasformandolo in un eroe del pensiero, e nell’eroe dei suoi dialoghi filosofici; qualcuno che nasconde davvero un cuore prezioso dietro le sembianze sileniche. Socrate è per noi il primo uomo che ha saputo vivere senza mai tradire le proprie convinzioni per viltà o convenienza, ma sottoponendole costantemente all’esame critico della ragione per verificarne la bontà ed esser certo così di affidare ogni sua scelta e azione al miglior ragionamento di cui fosse capace. È stato il primo che ha saputo condurre questa coerenza tra pensiero e azione fino alle sue estreme conseguenze, senza indietreggiare nemmeno di fronte alla morte, e che su di essa ha fondato la propria felicità rendendola incorruttibile; come scrive il filosofo contemporaneo Robert Nozick, la scelta di Socrate di andare incontro alla morte anziché salvarsi rinnegando ciò in cui credeva più profondamente ha reso la sua morte una parte essenziale della sua vita, l’ha trasformata, cioè, in quell’ultimo singolo episodio capace di proiettare un cono di luce sull’intera vita rendendola imperitura. In altre parole, se il suo ‘allievo’ Platone è per noi un grande stimolo filosofico – forse il più grande invito a fare filosofia – e l’allievo dell’allievo Aristotele è la mente universale che ha inaugurato l’enciclopedia delle scienze, a Socrate dobbiamo il primo – e forse unico – esempio di vita consacrata alla filosofia. Quanto alle accuse – implicite o esplicite – di avere trascurato l’impegno politico, al di là dei semplici doveri di buon cittadino, la sua condotta contiene già la migliore risposta; con le parole del filosofo del ‘900 Ludwig Wittgenstein: “Non esiste altro mondo se non il tuo mondo: se vuoi migliorare il mondo, devi migliorare te stesso”.
2014
Storia della filosofia. Vol. 1: Dall'antichità al Medioevo
71
89
Capuccino, Carlotta
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/583056
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