Period rooms were the object of a lively international debate in the first decades of the twentieth century. Not only were the 1920s and 1930s crucial years for the development and transformation of museology worldwide; they were also fundamental to the growth of a new awareness of the public’s needs. Italian art historians, critics, and curators took part in the debate, which peaked during the Madrid conference in 1934, and often took opposite stances in favor of either the historicism or the esthetic valuation of the individual object. Indeed, the controversy considered on the one hand the notion of history and its role, and on the other the type of audience these figures wished to address. The very role of the museum as an institution in society was ultimately under discussion. International aspirations, valorization of the history of the homeland and its genius loci, pedagogical intent, and social redemption were the often complementary aspects of a dispute that eventually led to the establishment or renovation of many important Italian museums. The logic of “absolute quality” and standards of beauty opposed the concept of a historical documentation of living spaces. Nonetheless, these different display settings, however contrasted, shared an interest in the public and their response. Advocates of “period rooms” included Andrea Moschetti (1865-1943), Francesco Malaguzzi Valeri (1867-1928), Federico Hermanin (1868-1953), Gino Fogolari (1875-1841), and the younger Alberto Alpago-Novello (1889-1985). The curators of the next generation, however, who belonged to the formalist school, were to oppose this model, and instead favored promoting the esthetic value of the individual artwork so as to facilitate the “pure enjoyment” of the spectator. Suffice it to say that in 1919 Roberto Longhi stated, “il fine dei musei e dunque in alto senso di cultura estetica, e non didattico, contemplativo e non pedagogico”. Indeed, according to Lionello Venturi, the “gusto del conoscitore” had started to replace decorative standards since the early 1920s. Through the analysis of a series of better or lesser known examples, this essay offers a reflection upon the variety of players and their audience, the relationship between settings and history – between reality and appearance, between looking to know and looking to know how to do – and, ultimately, upon the role Italians played in the international debate on period rooms in the 1930s.

La realizzazione del volume, curato dall’autore con Dominique Poulot (Université Paris1) e Mercedes Volait (Institut National d’Histoire de l’Art) si inserisce all’interno del programma di ricerca internazionale "Reinvestir le decor historique au musée" patrocinato da HeSam université. Il progetto scientifico è nato dalla collaborazione tra il centro di ricerca HiCSA dedicato alla storia culturale e sociale dell’arte dell’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne, la sezione Co.Me del Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna e il centro di ricerca InVisu dell’Institut National d’Histoire de l’Art di Parigi. Il volume di 303 pagine riunisce 25 saggi in italiano, francese e inglese di studiosi internazionali specialisti di storia del collezionismo, di critica d’arte e di museologia e costituisce la più completa ed aggiornata ricerca sul tema delle "Period rooms", cioè degli allestimenti storici dei musei, che vengono analizzati sia dal punto di vista della storia della critica e del gusto che da quello museologico in una prospettiva culturale ed antropologico, All’interno di questo contesto di ricerca il contributo dell’autore analizza come gli allestimenti di ambientazione storica nei musei siano stati l’oggetto di un vivo dibattito internazionale nel periodo tra le due guerre. Gli anni Venti e Trenta, infatti, furono di grandissima importanza non solo per gli sviluppi e le trasformazioni della museografia internazionale, ma anche per la crescita di una nuova sensibilità nei confronti delle esigenze di fruizione del pubblico. Al dibattito, che doveva avere il suo culmine nella conferenza di Madrid del 1934, parteciparono anche storici dell’arte, critici e conservatori italiani che, tuttavia, si schierarono spesso sugli opposti fronti dello storicismo da un lato e della nuova tendenza della valorizzazione estetica del singolo oggetto dall’altro. Il divario, in realtà, toccava sia la concezione della Storia e del suo ruolo che il pubblico di riferimento cui ci si voleva rivolgere. In fine veniva ad essere coinvolto il compito stesso dell’istituzione museale nella società. Aspirazioni internazionali e valorizzazione della storia patria e del genus loci, volontà didattica e riscatto sociale costituirono così gli aspetti, spesso complementari, di una polemica destinata a coinvolgere la creazione o il restauro di molti importanti musei italiani. Si affrontano due concezioni culturali in cui la logica della “qualità assoluta” e degli esempi di bellezza si oppone a quella della documentazione storica di ambienti di vita. In entrambi i casi, però, queste pur opposte preferenze espositive rivolgevano il loro interesse soprattutto al pubblico e alle sue reazioni. Da un lato si trovano le scelte dei fautori dei musei “d’ambientazione” di Andrea Moschetti (1865-1943), per esempio, di Francesco Malaguzzi Valeri (1867-1928), di Federico Hermanin (1868-1953), di Gino Fogolari (1875-1841) e del più giovane Alberto Alpago-Novello (1889-1985); a questo modello dovevano opporsi soprattutto i conservatori di ascendenza formalista della generazione successiva tesi a valorizzare il valore estetico delle singole opere per favorirne il “puro godimento” presso il pubblico. Basti pensare che, nel 1919, Roberto Longhi aveva affermato che “il fine dei musei è dunque in alto senso di cultura estetica, e non didattico, contemplativo e non pedagogico” e secondo Lionello Venturi il “gusto del conoscitore” aveva cominciato a soppiantare i criteri decorativi dai primi anni Venti. Analizzando una serie di esempi più o meno celebri, il contributo ha proposto una inedita riflessione sulla molteplicità degli attori e del pubblico di riferimento, sul rapporto degli allestimenti rispetto all’uso della storia - tra verità e verosimiglianza, tra guardare per sapere e guardare per saper fare - e, infine, sul ruolo degli italiani nella riflessione internazionale degli anni Trenta dedicata ai musei d’ambientazione.

I pubblici, la fruizione e la Storia. Aspetti del dibattito in Italia nel primo Novecento / Sandra Costa. - STAMPA. - (2016), pp. 2.29-2.47.

I pubblici, la fruizione e la Storia. Aspetti del dibattito in Italia nel primo Novecento

COSTA, SANDRA
2016

Abstract

Period rooms were the object of a lively international debate in the first decades of the twentieth century. Not only were the 1920s and 1930s crucial years for the development and transformation of museology worldwide; they were also fundamental to the growth of a new awareness of the public’s needs. Italian art historians, critics, and curators took part in the debate, which peaked during the Madrid conference in 1934, and often took opposite stances in favor of either the historicism or the esthetic valuation of the individual object. Indeed, the controversy considered on the one hand the notion of history and its role, and on the other the type of audience these figures wished to address. The very role of the museum as an institution in society was ultimately under discussion. International aspirations, valorization of the history of the homeland and its genius loci, pedagogical intent, and social redemption were the often complementary aspects of a dispute that eventually led to the establishment or renovation of many important Italian museums. The logic of “absolute quality” and standards of beauty opposed the concept of a historical documentation of living spaces. Nonetheless, these different display settings, however contrasted, shared an interest in the public and their response. Advocates of “period rooms” included Andrea Moschetti (1865-1943), Francesco Malaguzzi Valeri (1867-1928), Federico Hermanin (1868-1953), Gino Fogolari (1875-1841), and the younger Alberto Alpago-Novello (1889-1985). The curators of the next generation, however, who belonged to the formalist school, were to oppose this model, and instead favored promoting the esthetic value of the individual artwork so as to facilitate the “pure enjoyment” of the spectator. Suffice it to say that in 1919 Roberto Longhi stated, “il fine dei musei e dunque in alto senso di cultura estetica, e non didattico, contemplativo e non pedagogico”. Indeed, according to Lionello Venturi, the “gusto del conoscitore” had started to replace decorative standards since the early 1920s. Through the analysis of a series of better or lesser known examples, this essay offers a reflection upon the variety of players and their audience, the relationship between settings and history – between reality and appearance, between looking to know and looking to know how to do – and, ultimately, upon the role Italians played in the international debate on period rooms in the 1930s.
2016
The Period Rooms / Allestimenti storici tra arte, collezionismo e museologia
29
47
I pubblici, la fruizione e la Storia. Aspetti del dibattito in Italia nel primo Novecento / Sandra Costa. - STAMPA. - (2016), pp. 2.29-2.47.
Sandra Costa
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