Uno dei canoni più saldi dell’ideologia classicista è il principio dell’imitazione, fondato sul presupposto che esistano modelli esemplari di perfezione assoluta ai quali gli emuli devono cercare di avvicinarsi. A un certo punto però, sul finire del Cinquecento, queste autorità diventano un peso mal sopportabile, se non addirittura un’ossessione edipica. La mimesi, dapprima serenamente praticata con un’imitazione deferente, necessaria per perpetuare una tradizione e una continuità senza traumi, non viene ancora rigettata, ma esercitata con la volontà di distinguersi. Con l’avvento della Weltanschauung barocca viene meno in letteratura il canone che persegue l’armonia, l’ordine, la simmetria, il decoro, la misura, la proporzione delle parti. È come se il cerchio si deformasse e si convertisse in ellisse. Non per caso il secolo XVII si apre simbolicamente nel 1608-10 quando Keplero scopre che le orbite del pianeti sono ellittiche e non circolari e Galileo con il Sidereus Nuncius annuncia che la Terra non è più il centro di un universo che ruota intorno a essa. Senza volere negare le altre cause, compresenti e interagenti, come sempre, nei periodi di svolte epocali (la Riforma protestante, la crisi politica, il sistema economico-finanziario mutato con la scoperta di nuove terre e nuovi commerci, l’espansione della politica culturale dei gesuiti, la guerra dei trent’anni…), l’avvento del Barocco sembra avere una ragione soprattutto epistemologica, connessa alla fine del paradigma geostatico di ascendenza aristotelico-tolemaica e all’antagonismo di un paradigma eliocentrico. Ne consegue la fine di credenze millenarie, senza che se ne sostituiscano delle nuove. Non a caso viene meno il principio di autorità, la cui caduta inculca negli uomini un senso di precarietà, d’instabilità, di contraddittorietà, derivato comunque dalla loro intraprendenza conoscitiva. Mancando di punti di riferimento, le forme classiche della lirica e dell’epica si colorano di tinte romanzesche, mentre i contenuti petrarcheschi subiscono un’intenzionale deformazione delle loro astratte bellezze. Alla classicistica divisione degli stili subentra un canone inclusivo. Tesi del saggio è che, se la modernità consiste, per lo meno nei suoi caratteri dominanti e più evidenti, nella multidimensionalità e fluidità dei rapporti, nell’ibridazione, nell’instabilità, è più probabile che essa cominci, per impulso del nuovo paradigma scientifico, con la fine delle poetiche classicistiche fondate, in senso centripeto, sul principio dell’esemplarità.
Battistini, A. (2016). Dal cerchio all’ellisse: la fine del classicismo rinascimentale. Pisa : Pacini.
Dal cerchio all’ellisse: la fine del classicismo rinascimentale
BATTISTINI, ANDREA
2016
Abstract
Uno dei canoni più saldi dell’ideologia classicista è il principio dell’imitazione, fondato sul presupposto che esistano modelli esemplari di perfezione assoluta ai quali gli emuli devono cercare di avvicinarsi. A un certo punto però, sul finire del Cinquecento, queste autorità diventano un peso mal sopportabile, se non addirittura un’ossessione edipica. La mimesi, dapprima serenamente praticata con un’imitazione deferente, necessaria per perpetuare una tradizione e una continuità senza traumi, non viene ancora rigettata, ma esercitata con la volontà di distinguersi. Con l’avvento della Weltanschauung barocca viene meno in letteratura il canone che persegue l’armonia, l’ordine, la simmetria, il decoro, la misura, la proporzione delle parti. È come se il cerchio si deformasse e si convertisse in ellisse. Non per caso il secolo XVII si apre simbolicamente nel 1608-10 quando Keplero scopre che le orbite del pianeti sono ellittiche e non circolari e Galileo con il Sidereus Nuncius annuncia che la Terra non è più il centro di un universo che ruota intorno a essa. Senza volere negare le altre cause, compresenti e interagenti, come sempre, nei periodi di svolte epocali (la Riforma protestante, la crisi politica, il sistema economico-finanziario mutato con la scoperta di nuove terre e nuovi commerci, l’espansione della politica culturale dei gesuiti, la guerra dei trent’anni…), l’avvento del Barocco sembra avere una ragione soprattutto epistemologica, connessa alla fine del paradigma geostatico di ascendenza aristotelico-tolemaica e all’antagonismo di un paradigma eliocentrico. Ne consegue la fine di credenze millenarie, senza che se ne sostituiscano delle nuove. Non a caso viene meno il principio di autorità, la cui caduta inculca negli uomini un senso di precarietà, d’instabilità, di contraddittorietà, derivato comunque dalla loro intraprendenza conoscitiva. Mancando di punti di riferimento, le forme classiche della lirica e dell’epica si colorano di tinte romanzesche, mentre i contenuti petrarcheschi subiscono un’intenzionale deformazione delle loro astratte bellezze. Alla classicistica divisione degli stili subentra un canone inclusivo. Tesi del saggio è che, se la modernità consiste, per lo meno nei suoi caratteri dominanti e più evidenti, nella multidimensionalità e fluidità dei rapporti, nell’ibridazione, nell’instabilità, è più probabile che essa cominci, per impulso del nuovo paradigma scientifico, con la fine delle poetiche classicistiche fondate, in senso centripeto, sul principio dell’esemplarità.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


