I capitoli che compongono questo libro presentano altrettante tappe di un'interpretazione "culturale" dell'universo mafioso, del quale mettono in luce, al contempo, anche le specifiche dimensioni politiche. L'idea di fondo dell'autore è che il fenomeno possa essere compreso nella sua complessità solo portando alla luce i codici che strutturano sia il discorso sulla mafia - solitamente costruito, anche dalle scienze sociali, come proiezione negativa della retorica liberal-democratica dello Stato - sia il discorso della mafia, qui rappresentato dalla voce stessa di alcuni mafiosi "eccellenti". Perché è solo nella continua e irrisolta tensione fra questi due discorsi che la "mafia", fenomeno di ibridazione culturale ancor prima che sociale, può prendere forma e identità. Usando gli strumenti analitici che hanno accompagnato l'emergere e l'affermarsi degli "studi culturali", e attingendo selettivamente al repertorio classico delle scienze sociali e politiche, il libro cerca così di contribuire alla costruzione di una "sociologia politico-culturale della mafia", insieme critica e riflessiva, che nulla concede alla ragione dello Stato per nulla concedere a quella mafia che ad esso a volte si oppone e a volte si sovrappone. Diversamente da altri studi, in cui le dimensioni economiche e criminali restano in primo piano, la "mafia" è qui dunque per la prima volta considerata come "sistema culturale" e, insieme, "forma del politico". È solo con una radicale messa tra parentesi della pretesa di legittimità anche cognitiva dello Stato che, secondo l'autore, possiamo sperare di penetrarne le radici più profonde: le stesse da cui dovremmo muovere se vogliamo comprendere le ragioni del suo radicamento e, ancora prima, della sua sempre velata e ambivalente identità.
M. Santoro (2007). La voce del padrino. Mafia, cultura e politica. VERONA : Ombrecorte.
La voce del padrino. Mafia, cultura e politica
SANTORO, MARCO
2007
Abstract
I capitoli che compongono questo libro presentano altrettante tappe di un'interpretazione "culturale" dell'universo mafioso, del quale mettono in luce, al contempo, anche le specifiche dimensioni politiche. L'idea di fondo dell'autore è che il fenomeno possa essere compreso nella sua complessità solo portando alla luce i codici che strutturano sia il discorso sulla mafia - solitamente costruito, anche dalle scienze sociali, come proiezione negativa della retorica liberal-democratica dello Stato - sia il discorso della mafia, qui rappresentato dalla voce stessa di alcuni mafiosi "eccellenti". Perché è solo nella continua e irrisolta tensione fra questi due discorsi che la "mafia", fenomeno di ibridazione culturale ancor prima che sociale, può prendere forma e identità. Usando gli strumenti analitici che hanno accompagnato l'emergere e l'affermarsi degli "studi culturali", e attingendo selettivamente al repertorio classico delle scienze sociali e politiche, il libro cerca così di contribuire alla costruzione di una "sociologia politico-culturale della mafia", insieme critica e riflessiva, che nulla concede alla ragione dello Stato per nulla concedere a quella mafia che ad esso a volte si oppone e a volte si sovrappone. Diversamente da altri studi, in cui le dimensioni economiche e criminali restano in primo piano, la "mafia" è qui dunque per la prima volta considerata come "sistema culturale" e, insieme, "forma del politico". È solo con una radicale messa tra parentesi della pretesa di legittimità anche cognitiva dello Stato che, secondo l'autore, possiamo sperare di penetrarne le radici più profonde: le stesse da cui dovremmo muovere se vogliamo comprendere le ragioni del suo radicamento e, ancora prima, della sua sempre velata e ambivalente identità.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.