I disturbi alimentari dell’infanzia comprendono una varietà di problemi specifici con eziologie ed esiti diversi e il lungo elenco di sintomi associati ne riflette la natura eterogenea. In generale si stima che circa il 25% dei bambini con un normale sviluppo psicofisico (indipendentemente dal sesso) possono presentare un problema alimentare, mentre tale percentuale sale al 35% in bambini con una difficoltà di sviluppo. Clinici e ricercatori hanno sottolineato l’evoluzione dei disturbi alimentari infantili in termini di continuità temporale e tendenza a persistere, rappresentando fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi evolutivi della crescita, di problemi comportamentali e disturbi della personalità. Data l’incidenza e la varietà sintomatologica dei disturbi alimentari in età evolutiva, gli effetti nocivi sulla vita familiare e l’associazione con successivi disturbi comportamentali e di personalità, diviene sempre più importante possedere classificazioni diagnostiche che fungano da punti di riferimento e che consentano di osservare e riconoscere sia i disagi transitori che le forme subcliniche, prima che si conclamino in veri e propri quadri psicopatologici. Attualmente, sebbene nelle varie categorie e nei criteri diagnostici (DSM-IV, ICD-10, Classificazione diagnostica: 0-3) esistano ancora delle incoerenze (Benoit, 1996; Lucarelli, 2001), emerge chiaramente come la valutazione clinico-diagnostica dei disturbi alimentari nell’infanzia debba prendere in considerazione sia le caratteristiche del bambino, che quelle delle figure di attaccamento, unitamente alle loro dinamiche relazionali all’interno dello specifico contesto di vita e lungo il continuum dello sviluppo. Gli approcci clinici attuali si focalizzano quindi con attenzione sulla qualità della relazione bambino/adulto e sono orientati all’identificazione precoce e all’intervento sulle relazioni disfunzionali con le figure primarie di accudimento per prevenire l’insorgenza di disturbi individuali successivi (che possono avere esordio anche solo in età adolescenziale o prima età adulta, come l’anoressia e la bulimia nervose), causati dalle difficoltà di regolazione affettiva e dai fallimenti interattivi durante l’infanzia. Questo inquadramento sottolinea la necessità che il clinico si soffermi non solamente sulla fenomenologia descrittiva dei vari disturbi alimentari in età evolutiva, ma soprattutto sul significato di disagio relazionale sottostante il sintomo. Vengono presi in considerazione i delicati passaggi di sviluppo che portano a una integrazione psicosomatica dell’individuo e gli eventuali fallimenti all’interno di tale processo. I disturbi alimentari in età evolutiva, compresi in tale ottica, possono perciò essere affrontati già dal pediatra con strategie di intervento preventive che consentono di individuare le forme legate a un momentaneo disagio relazionale bambino/adulto da altre forme di disagio maggiormente strutturate, da inviare ai colleghi specialisti (psicologi clinici e neuropsichiatri infantili).
E. Trombini (2007). I disturbi alimentari in età evolutiva. ROMA : Il Pensiero Scientifico.
I disturbi alimentari in età evolutiva
TROMBINI, ELENA
2007
Abstract
I disturbi alimentari dell’infanzia comprendono una varietà di problemi specifici con eziologie ed esiti diversi e il lungo elenco di sintomi associati ne riflette la natura eterogenea. In generale si stima che circa il 25% dei bambini con un normale sviluppo psicofisico (indipendentemente dal sesso) possono presentare un problema alimentare, mentre tale percentuale sale al 35% in bambini con una difficoltà di sviluppo. Clinici e ricercatori hanno sottolineato l’evoluzione dei disturbi alimentari infantili in termini di continuità temporale e tendenza a persistere, rappresentando fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi evolutivi della crescita, di problemi comportamentali e disturbi della personalità. Data l’incidenza e la varietà sintomatologica dei disturbi alimentari in età evolutiva, gli effetti nocivi sulla vita familiare e l’associazione con successivi disturbi comportamentali e di personalità, diviene sempre più importante possedere classificazioni diagnostiche che fungano da punti di riferimento e che consentano di osservare e riconoscere sia i disagi transitori che le forme subcliniche, prima che si conclamino in veri e propri quadri psicopatologici. Attualmente, sebbene nelle varie categorie e nei criteri diagnostici (DSM-IV, ICD-10, Classificazione diagnostica: 0-3) esistano ancora delle incoerenze (Benoit, 1996; Lucarelli, 2001), emerge chiaramente come la valutazione clinico-diagnostica dei disturbi alimentari nell’infanzia debba prendere in considerazione sia le caratteristiche del bambino, che quelle delle figure di attaccamento, unitamente alle loro dinamiche relazionali all’interno dello specifico contesto di vita e lungo il continuum dello sviluppo. Gli approcci clinici attuali si focalizzano quindi con attenzione sulla qualità della relazione bambino/adulto e sono orientati all’identificazione precoce e all’intervento sulle relazioni disfunzionali con le figure primarie di accudimento per prevenire l’insorgenza di disturbi individuali successivi (che possono avere esordio anche solo in età adolescenziale o prima età adulta, come l’anoressia e la bulimia nervose), causati dalle difficoltà di regolazione affettiva e dai fallimenti interattivi durante l’infanzia. Questo inquadramento sottolinea la necessità che il clinico si soffermi non solamente sulla fenomenologia descrittiva dei vari disturbi alimentari in età evolutiva, ma soprattutto sul significato di disagio relazionale sottostante il sintomo. Vengono presi in considerazione i delicati passaggi di sviluppo che portano a una integrazione psicosomatica dell’individuo e gli eventuali fallimenti all’interno di tale processo. I disturbi alimentari in età evolutiva, compresi in tale ottica, possono perciò essere affrontati già dal pediatra con strategie di intervento preventive che consentono di individuare le forme legate a un momentaneo disagio relazionale bambino/adulto da altre forme di disagio maggiormente strutturate, da inviare ai colleghi specialisti (psicologi clinici e neuropsichiatri infantili).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.