Il miglioramento delle condizioni che limitano la relazione tra le madri detenute ed i propri figli è stato oggetto di numerosi interventi legislativi a cominciare dalla riforma penitenziaria del 1975, sino alla più recente promulgazione della legge n. 40 dell’8 marzo 2001. La normativa vigente, infatti, prevede l’adozione di misure alternative (detenzione domiciliare speciale o l’assistenza all’esterno dei propri figli) anche da parte di quelle madri che devono scontare una pena superiore ai 4 anni ed estende la possibilità di godere di tali benefici anche se i figli hanno un’età superiore ai dieci anni (art. 3, legge 8 marzo 2001 n. 40). Nei confronti del padre detenuto, invece, la legislazione non prevede gli stessi benefici, se non in casi eccezionali (ibidem , comma 7). Questa scarsa rilevanza mostrata dai legislatori nei confronti della funzione genitoriale paterna non è proporzionale alla dimensione del fenomeno, infatti, dai dati pubblicati dal ministero della Giustizia riferiti al 31 dicembre 2005 la popolazione detenuta con figli era composta da 21.422 soggetti; i figli con la madre in carcere erano più di 3.800, mentre quelli con il padre detenuto più di 44.400 unità . Sebbene l’indulto previsto dalla legge n. 241 del 31 luglio 2006 abbia consentito di ridurre in parte il numero di genitori detenuti (rimangono in carcere ancora 14.196 soggetti con figli) il totale di figli coinvolti continua ad essere rilevante: a dicembre 2006 si calcola che i figli con la madre detenuta siano più di 2.400, mentre quelli con il padre detenuto più di 29.700 unità. (http://www.giustizia.it/statistiche/statistiche_dap/det/2006/dic/figli.xls). Questo dato appare alquanto allarmante se si considera che da tempo la letteratura riconosce che la deprivazione paterna (presenza di modelli di comportamento paterno insufficienti o assenza vera e propria del padre) costituisce un importante fattore di rischio per lo sviluppo dell’individuo (Biller, 1974; Friedman e Esselstyn, 1965; Anderson, 1966; Hassin, 1979; Gabel, 1992; Beaty, 1995; Katz, Costa, 1996). Muovendoci da queste considerazioni e con l’obiettivo di evidenziare quali sono gli elementi di maggiore ostacolo alla costruzione ed al mantenimento di una relazione equilibrata tra figlio e padre detenuto è stata condotta una ricerca che ha coinvolto un gruppo di 52 padri detenuti nella Casa Circondariale di Reggio Emilia. I risultati evidenziano che il setting nel quale si svolge il colloquio in carcere non favorisce il recupero ed il mantenimento del rapporto “interrotto” tra padre detenuto e figlio. Al termine della visita questi genitori percepiscono una situazione di impotenza di fronte al distacco dai loro cari e provano un senso di vergogna nei loro confronti, nonché il timore di non rappresentare “un buon esempio” agli occhi dei figli.
G. Melotti, G. Maestri (2008). Genitorialità in carcere: una ricerca sui padri detenuti nella Casa Circondariale di Reggio Emilia. ROMA : Aracne editrice.
Genitorialità in carcere: una ricerca sui padri detenuti nella Casa Circondariale di Reggio Emilia
MELOTTI, GIANNINO;
2008
Abstract
Il miglioramento delle condizioni che limitano la relazione tra le madri detenute ed i propri figli è stato oggetto di numerosi interventi legislativi a cominciare dalla riforma penitenziaria del 1975, sino alla più recente promulgazione della legge n. 40 dell’8 marzo 2001. La normativa vigente, infatti, prevede l’adozione di misure alternative (detenzione domiciliare speciale o l’assistenza all’esterno dei propri figli) anche da parte di quelle madri che devono scontare una pena superiore ai 4 anni ed estende la possibilità di godere di tali benefici anche se i figli hanno un’età superiore ai dieci anni (art. 3, legge 8 marzo 2001 n. 40). Nei confronti del padre detenuto, invece, la legislazione non prevede gli stessi benefici, se non in casi eccezionali (ibidem , comma 7). Questa scarsa rilevanza mostrata dai legislatori nei confronti della funzione genitoriale paterna non è proporzionale alla dimensione del fenomeno, infatti, dai dati pubblicati dal ministero della Giustizia riferiti al 31 dicembre 2005 la popolazione detenuta con figli era composta da 21.422 soggetti; i figli con la madre in carcere erano più di 3.800, mentre quelli con il padre detenuto più di 44.400 unità . Sebbene l’indulto previsto dalla legge n. 241 del 31 luglio 2006 abbia consentito di ridurre in parte il numero di genitori detenuti (rimangono in carcere ancora 14.196 soggetti con figli) il totale di figli coinvolti continua ad essere rilevante: a dicembre 2006 si calcola che i figli con la madre detenuta siano più di 2.400, mentre quelli con il padre detenuto più di 29.700 unità. (http://www.giustizia.it/statistiche/statistiche_dap/det/2006/dic/figli.xls). Questo dato appare alquanto allarmante se si considera che da tempo la letteratura riconosce che la deprivazione paterna (presenza di modelli di comportamento paterno insufficienti o assenza vera e propria del padre) costituisce un importante fattore di rischio per lo sviluppo dell’individuo (Biller, 1974; Friedman e Esselstyn, 1965; Anderson, 1966; Hassin, 1979; Gabel, 1992; Beaty, 1995; Katz, Costa, 1996). Muovendoci da queste considerazioni e con l’obiettivo di evidenziare quali sono gli elementi di maggiore ostacolo alla costruzione ed al mantenimento di una relazione equilibrata tra figlio e padre detenuto è stata condotta una ricerca che ha coinvolto un gruppo di 52 padri detenuti nella Casa Circondariale di Reggio Emilia. I risultati evidenziano che il setting nel quale si svolge il colloquio in carcere non favorisce il recupero ed il mantenimento del rapporto “interrotto” tra padre detenuto e figlio. Al termine della visita questi genitori percepiscono una situazione di impotenza di fronte al distacco dai loro cari e provano un senso di vergogna nei loro confronti, nonché il timore di non rappresentare “un buon esempio” agli occhi dei figli.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.