L’elaborazione di un discorso sulla religione caratterizza la storia intellettuale dell’India coloniale e costituisce la base del confronto culturale con i colonizzatori. Rispondere alla domanda “che cos’è la religione?” sembra essere la precondizione per costruire rappresentazioni di sé e del proprio passato che siano adeguate alle sfide e ai problemi posti dalla presenza dell’Europa, in un quadrosegnato da rigidità concettuali dovute all’imporsi di coppie oppositive come “universalità” / “particolarità”, “tradizione” /”modernità”, “scienza” / ”superstizione”, “ragione” /“irrazionalità”, “riforma” / “conservazione”. Ciò vale specialmente per gli intellettuali che si riconoscono, ofiniscono per riconoscersi, nell’induismo, per i quali l’investigazione sulla “religione” diviene necessariamente, almeno a partiredalla metà del XIX secolo, un’indagine sul concetto di dharma. Sul terreno dell’elaborazione del discorso metareligioso nasce e si sviluppa, negli ultimi decenni del secolo, l’atteggiamento anticoloniale che struttura il cosiddetto neo-induismo e che sfocia nell’assunzione programmatica del linguaggio e delle prospettive politiche del nazionalismo. Esemplifica in modo emblematico il processo appena descritto l’intellettuale bengalese Bankimchandra Chattopadhyay (1838-1894), una delle personalità più rilevanti della storia culturaleindiana della seconda metà del secolo XIX. La sua Dharmajijñāsā (1884) - il testo che viene tradotto e annotato nella Parte seconda di questo volume - costituisce uno dei tentativi più sistematici di riflettere sui possibili usi moderni del termine dharma e sulla sua risignificazione in rapporto al concetto di “religione”. Essa è inoltre la prima testimonianza esplicita della “svolta religiosa” nel pensiero di Bankim, in seguito alla quale egli assume un ruolo preminente e decisivo nell’elaborazione di undiscorso metareligioso imperniato sul concetto dharma. Nel saggio che costituisce la Parte prima cerco di mettere in luce l’originalità dell’indagine sul dharma di Bankim e di far emergere i problemi ai quali essa fornisce una risposta. Dopo aver inquadrato ,nell’Introduzione, il problema della interpretazione del dharma data da Bankim nella cornice del più generale discorso metareligioso neo-induista e aver caratterizzato la speciale situazione ermeneutica, segnata dalla presenza dell’Europa, dalla quale tale discorso scaturisce, passo a descrivere le ragioni per le quali la biografia intellettuale di Bankim risulta eccezionalmente interessante per la ricostruzione della storia culturale dell’India coloniale, evidenziando soprattutto il rapporto, ambiguo, creativo e conflittuale, che egli istituisce con la cultura europea con la quale entra in contatto fin da ragazzo e che per lui si incarna principalmente nel razionalismo di stampo illuminista (ad esempio Rousseau), e nell’utilitarismo di John Stuart Mill e nel positivismo di Auguste Comte. Analizzo poi le ragioni della svolta dei primi anni ’80 (che qualcuno ha chiamato “revivalista”), alla quale segue, dopo la pubblicazione della Dharmajijñāsā, il periodo di sviluppo di un pensiero religioso e metareligioso caratterizzato in senso anticoloniale e teso a operare una sintesi tra la tradizione hindū rappresentata principalmente dalla Bhagavadgītā e il nuovo linguaggio metareligioso (Mill) e in alcuni casi neoreligioso (Comte, Seeley) mutuato da filosofi, teologi e storici delle religioni (in particolare Max Müller) europei. L’approdo alla risignificazione del dharma come “cultura” e “coltivazione di sé” rende eall’elaborazione della dottrina del dharma-senza-desiderio (niṣkāma dharma), rende possibile la teorizzazione di un’ascesi intramondana rivolta al bene della comunità politica (la “nazione”) e segna l’atto di nascita di una vera e propria religione politica secolarizzata, nella quale convivono programmaticamente, in una prospettiva “culturalista”, atteggiamento teista e ateismo. È possibile a questo punto a questo punto il problema: qual è il lascito di Bankim ai protagonisti del neo-induismo nazionalista?
Marchignoli, S. (2015). Indagine sul dharma. Bankimchandra Chattopadhyay e il discorso sulla religione nell'India colonizzata. Bologna : Bonomo editore.
Indagine sul dharma. Bankimchandra Chattopadhyay e il discorso sulla religione nell'India colonizzata
MARCHIGNOLI, SAVERIO
2015
Abstract
L’elaborazione di un discorso sulla religione caratterizza la storia intellettuale dell’India coloniale e costituisce la base del confronto culturale con i colonizzatori. Rispondere alla domanda “che cos’è la religione?” sembra essere la precondizione per costruire rappresentazioni di sé e del proprio passato che siano adeguate alle sfide e ai problemi posti dalla presenza dell’Europa, in un quadrosegnato da rigidità concettuali dovute all’imporsi di coppie oppositive come “universalità” / “particolarità”, “tradizione” /”modernità”, “scienza” / ”superstizione”, “ragione” /“irrazionalità”, “riforma” / “conservazione”. Ciò vale specialmente per gli intellettuali che si riconoscono, ofiniscono per riconoscersi, nell’induismo, per i quali l’investigazione sulla “religione” diviene necessariamente, almeno a partiredalla metà del XIX secolo, un’indagine sul concetto di dharma. Sul terreno dell’elaborazione del discorso metareligioso nasce e si sviluppa, negli ultimi decenni del secolo, l’atteggiamento anticoloniale che struttura il cosiddetto neo-induismo e che sfocia nell’assunzione programmatica del linguaggio e delle prospettive politiche del nazionalismo. Esemplifica in modo emblematico il processo appena descritto l’intellettuale bengalese Bankimchandra Chattopadhyay (1838-1894), una delle personalità più rilevanti della storia culturaleindiana della seconda metà del secolo XIX. La sua Dharmajijñāsā (1884) - il testo che viene tradotto e annotato nella Parte seconda di questo volume - costituisce uno dei tentativi più sistematici di riflettere sui possibili usi moderni del termine dharma e sulla sua risignificazione in rapporto al concetto di “religione”. Essa è inoltre la prima testimonianza esplicita della “svolta religiosa” nel pensiero di Bankim, in seguito alla quale egli assume un ruolo preminente e decisivo nell’elaborazione di undiscorso metareligioso imperniato sul concetto dharma. Nel saggio che costituisce la Parte prima cerco di mettere in luce l’originalità dell’indagine sul dharma di Bankim e di far emergere i problemi ai quali essa fornisce una risposta. Dopo aver inquadrato ,nell’Introduzione, il problema della interpretazione del dharma data da Bankim nella cornice del più generale discorso metareligioso neo-induista e aver caratterizzato la speciale situazione ermeneutica, segnata dalla presenza dell’Europa, dalla quale tale discorso scaturisce, passo a descrivere le ragioni per le quali la biografia intellettuale di Bankim risulta eccezionalmente interessante per la ricostruzione della storia culturale dell’India coloniale, evidenziando soprattutto il rapporto, ambiguo, creativo e conflittuale, che egli istituisce con la cultura europea con la quale entra in contatto fin da ragazzo e che per lui si incarna principalmente nel razionalismo di stampo illuminista (ad esempio Rousseau), e nell’utilitarismo di John Stuart Mill e nel positivismo di Auguste Comte. Analizzo poi le ragioni della svolta dei primi anni ’80 (che qualcuno ha chiamato “revivalista”), alla quale segue, dopo la pubblicazione della Dharmajijñāsā, il periodo di sviluppo di un pensiero religioso e metareligioso caratterizzato in senso anticoloniale e teso a operare una sintesi tra la tradizione hindū rappresentata principalmente dalla Bhagavadgītā e il nuovo linguaggio metareligioso (Mill) e in alcuni casi neoreligioso (Comte, Seeley) mutuato da filosofi, teologi e storici delle religioni (in particolare Max Müller) europei. L’approdo alla risignificazione del dharma come “cultura” e “coltivazione di sé” rende eall’elaborazione della dottrina del dharma-senza-desiderio (niṣkāma dharma), rende possibile la teorizzazione di un’ascesi intramondana rivolta al bene della comunità politica (la “nazione”) e segna l’atto di nascita di una vera e propria religione politica secolarizzata, nella quale convivono programmaticamente, in una prospettiva “culturalista”, atteggiamento teista e ateismo. È possibile a questo punto a questo punto il problema: qual è il lascito di Bankim ai protagonisti del neo-induismo nazionalista?I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.