Come la critica ha più volte sottolineato, il trasferimento ad Amburgo nel 1982 e l’impatto con il tedesco rappresentano per Tawada Yoko l'occasione per ricreare in modo completamente nuovo il rapporto sia con la lingua straniera sia con la lingua madre. Non solo il mondo esterno e gli elementi di cui si compone sembrano allontanarsi e dissolversi nel silenzio ovattato della nebbia, ma anche il soggetto che li esperisce – e che normalmente li enuncerebbe – si scopre svuotato dei punti di riferimento abituali. La dissoluzione del paradigma monolingue apre la via all’approccio per così dire ludico alla scrittura che caratterizza l’artista, quasi un ritorno all'infanzia, a una fase cioè in cui riflettere sulle parole sconosciute o sul loro significato era naturale. E il vuoto, l’abisso che si genera dall’incontro rappresenta lo spazio ideale. Tawada infatti non si propone di superare i confini: vuole scrivere esattamente sul confine, nello Zwischenraum, negli intersizi invisibili. È per questo che decide di produrre letteratura in una lingua che per lei è 'estranea', senza però abbandonare quella originaria: utilizza entrambi i linguaggi, giustapponendoli, per liberarsi da limiti e creare libertà espressiva. La short story “Futakuchi otoko” (The Man with Two Mouths), che la scrittrice pubblica in Giappone nel 1999, è in questo senso emblematica: non a caso nasce come pièce teatrale, intitolata semplicemente "Till", portata in scena sia in Giappone che in Germania, e bilingue, nel senso che vede personaggi/attori che si esprimono in tedesco e altri che si esprimono in giapponese. Il che significa ovviamente che in entrambi i paesi il pubblico è in grado di seguire e comprendere solo la metà dei dialoghi. In altri termini, Tawada mette letteralmente in scena i meccanismi alla base del processo di costruzione identitaria: nella pièce attraverso gli strumenti della performance e nel racconto attraverso l’uso del potenziale performativo degli speech acts, in un gioco complesso fra esplicito e implicito, letterale e simbolico.
Scrolavezza, P. (2016). Futakuchi otoko: stage performance and text performativity. Tubingen : Stauffenberg Verlag GmbH.
Futakuchi otoko: stage performance and text performativity
SCROLAVEZZA, PAOLA
2016
Abstract
Come la critica ha più volte sottolineato, il trasferimento ad Amburgo nel 1982 e l’impatto con il tedesco rappresentano per Tawada Yoko l'occasione per ricreare in modo completamente nuovo il rapporto sia con la lingua straniera sia con la lingua madre. Non solo il mondo esterno e gli elementi di cui si compone sembrano allontanarsi e dissolversi nel silenzio ovattato della nebbia, ma anche il soggetto che li esperisce – e che normalmente li enuncerebbe – si scopre svuotato dei punti di riferimento abituali. La dissoluzione del paradigma monolingue apre la via all’approccio per così dire ludico alla scrittura che caratterizza l’artista, quasi un ritorno all'infanzia, a una fase cioè in cui riflettere sulle parole sconosciute o sul loro significato era naturale. E il vuoto, l’abisso che si genera dall’incontro rappresenta lo spazio ideale. Tawada infatti non si propone di superare i confini: vuole scrivere esattamente sul confine, nello Zwischenraum, negli intersizi invisibili. È per questo che decide di produrre letteratura in una lingua che per lei è 'estranea', senza però abbandonare quella originaria: utilizza entrambi i linguaggi, giustapponendoli, per liberarsi da limiti e creare libertà espressiva. La short story “Futakuchi otoko” (The Man with Two Mouths), che la scrittrice pubblica in Giappone nel 1999, è in questo senso emblematica: non a caso nasce come pièce teatrale, intitolata semplicemente "Till", portata in scena sia in Giappone che in Germania, e bilingue, nel senso che vede personaggi/attori che si esprimono in tedesco e altri che si esprimono in giapponese. Il che significa ovviamente che in entrambi i paesi il pubblico è in grado di seguire e comprendere solo la metà dei dialoghi. In altri termini, Tawada mette letteralmente in scena i meccanismi alla base del processo di costruzione identitaria: nella pièce attraverso gli strumenti della performance e nel racconto attraverso l’uso del potenziale performativo degli speech acts, in un gioco complesso fra esplicito e implicito, letterale e simbolico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.