Le motivazioni che hanno spinto, e talora ancora spingono, sovrani e mercanti, letterati e cardinali, artisti e viaggiatori, sconosciuti, a collezionare reliquie, opere d’arte oppure oggetti della scienza e della meraviglia, disegni e incisioni, maioliche e ceramiche, entro il limite delle loro risorse finanziarie, e anche oltre, sono molteplici, talora inespresse, non sempre riconosciute o ammesse. In questo percorso metamorfico dal sacro al profano, dalla magia alla scienza, dal naturale al bizzarro, al teratologico, al bric-à-brac cercato nei mercati di strada, occorre considerare, con l’evoluzione della mentalità e con la persistenza della volontà e della disponibilità economica, l’ego narcisistico, l’esigenza della rappresentatività, la filantropia, la curiosità intellettuale, il diletto personale, l’eccitazione della ricerca, il valore di mercato, l’avarizia, l’ingordigia dell’accumulo. Ed ogni collezione si distingue dalle altre non solo per la natura degli oggetti che la compongono, anche per il dialogo con i luoghi in cui è esposta, per i modi in cui è mostrata, per le circostanze della sua presentazione, per i comportamenti che impone a quanti la guardano, per la quantità dei singoli oggetti. Sappiamo che non basta raccogliere indiscriminatamente e ammucchiare senza ordine. Eppure non mancano tele che raccontano di collezioni preziose con opere collocate alla rinfusa l’una accanto all’altra senza alcun ordine, e l’ambientazione di questo disordine sublime è spesso ricca di colonne e di storia. Ancora nell’età di passaggio dall’enciclopedismo ad un sistema ordinatore, Giorgio III, re dal 1760 al 1820 nell’Inghilterra vittoriosa su Napoleone e in pieno sviluppo industriale ed economico, fondatore della Royal Academy, è stato un collezionista onnivoro, eclettico ed accorto, alle cui raccolte bene sottostanno, pur nella loro varietà, i motivi ispiratori dell’accumulazione tradizionale. Innamorato dell’Italia, senza averla mai visitata a differenza di molti suoi sudditi impegnati nel pan-europeo Grand Tour, compra attraverso i suoi emissari tutto quanto di meglio il mercato d’arte italiano poteva offrire. Nel 1763, ed aveva solo 24 anni, acquista la collezione veneziana del console britannico Joseph Smith. La componevano cinquantaquattro opere di Canaletto, quarantadue di Marco Ricci, trentotto di Rosalba Carriera, trentasei di Zuccarelli, ventotto di Sebastiano Ricci, nove di Giuseppe Nogari, sei di Carlevariis e quattro di Pietro Longhi1. Nello stesso anno s’impadronisce dell’intera collezione del cardinale Alessandro Albani, pagandola tre mila e cinquecento sterline. Gli fa da intermediaria, per un compenso di 500 scudi, la contessa Cheroffini, l’amante del cardinale. Subito dopo decide di acquistare la collezione di disegni di Guercino, circa 800 fogli provenienti dalla bottega del pittore e conservati dagli eredi. Intanto riempiva di mobili, argenterie, ceramiche, orologi, tabacchiere le sue residenze, e alcune di queste egli stesso si dilettava a disegnare. Il principio imperante è quello dell’accumulazione. I diversi ambiti della formazione dell’erudito erano attestati da strumenti scientifici di varia epoca, ivi compresi i mappamondi, da strumenti musicali della tradizione occidentale ed etnografici, dai naturalia, per esempio i nautili o le uova di struzzo montate su artificiose oreficerie. Le scoperte geografiche facevano affluire in Occidente le espressioni artistiche e di costume di civiltà lontane ed esotiche, indirizzavano l’interesse per documenti etnografici, oggetti preziosi o curiosi, realizzati in avorio, in corno, in tartaruga, in piume d’uccelli. Pur avviandosi già i percorsi specialistici, era ancora possibile l’incontro tra la cultura artistica e quella scientifica, tra l’eredità della cultura greco-romana con quella giudaico-cristiana, con quella islamica, con quella dell’Estremo Oriente. Era quella un’Europa che non temeva di confrontarsi con le altre culture, consapevole della propria identità e questa consapevolezza emerge con particolare forza oggi, quando ci troviamo circondati dall’afasia identitaria. L’Europa incominciava con i vari Rinascimenti succedutisi dal Medio Evo al Quattrocento ad essere consapevole della propria storia e questa consapevolezza, oggi come allora, può essere l’ingrediente cruciale dell’identità, la premessa per il dialogo paritario con le altre identità.

Salvare la memoria per conoscere la nostra identità e valorizzarla. Le raccolte della Fondazione Cassa di Risparmio di Imola, in La collezione. Oggetti d’arte e d’artigianato della Fondazione Cassa di Risparmio di Imola, a cura di M. Pigozzi, Imola, Fondazione Cassa di Risparmio/Editrice La Mandragora, 2015 / Pigozzi, Marinella. - STAMPA. - 1:(2015), pp. 1.17-1.166.

Salvare la memoria per conoscere la nostra identità e valorizzarla. Le raccolte della Fondazione Cassa di Risparmio di Imola, in La collezione. Oggetti d’arte e d’artigianato della Fondazione Cassa di Risparmio di Imola, a cura di M. Pigozzi, Imola, Fondazione Cassa di Risparmio/Editrice La Mandragora, 2015

PIGOZZI, MARINELLA
2015

Abstract

Le motivazioni che hanno spinto, e talora ancora spingono, sovrani e mercanti, letterati e cardinali, artisti e viaggiatori, sconosciuti, a collezionare reliquie, opere d’arte oppure oggetti della scienza e della meraviglia, disegni e incisioni, maioliche e ceramiche, entro il limite delle loro risorse finanziarie, e anche oltre, sono molteplici, talora inespresse, non sempre riconosciute o ammesse. In questo percorso metamorfico dal sacro al profano, dalla magia alla scienza, dal naturale al bizzarro, al teratologico, al bric-à-brac cercato nei mercati di strada, occorre considerare, con l’evoluzione della mentalità e con la persistenza della volontà e della disponibilità economica, l’ego narcisistico, l’esigenza della rappresentatività, la filantropia, la curiosità intellettuale, il diletto personale, l’eccitazione della ricerca, il valore di mercato, l’avarizia, l’ingordigia dell’accumulo. Ed ogni collezione si distingue dalle altre non solo per la natura degli oggetti che la compongono, anche per il dialogo con i luoghi in cui è esposta, per i modi in cui è mostrata, per le circostanze della sua presentazione, per i comportamenti che impone a quanti la guardano, per la quantità dei singoli oggetti. Sappiamo che non basta raccogliere indiscriminatamente e ammucchiare senza ordine. Eppure non mancano tele che raccontano di collezioni preziose con opere collocate alla rinfusa l’una accanto all’altra senza alcun ordine, e l’ambientazione di questo disordine sublime è spesso ricca di colonne e di storia. Ancora nell’età di passaggio dall’enciclopedismo ad un sistema ordinatore, Giorgio III, re dal 1760 al 1820 nell’Inghilterra vittoriosa su Napoleone e in pieno sviluppo industriale ed economico, fondatore della Royal Academy, è stato un collezionista onnivoro, eclettico ed accorto, alle cui raccolte bene sottostanno, pur nella loro varietà, i motivi ispiratori dell’accumulazione tradizionale. Innamorato dell’Italia, senza averla mai visitata a differenza di molti suoi sudditi impegnati nel pan-europeo Grand Tour, compra attraverso i suoi emissari tutto quanto di meglio il mercato d’arte italiano poteva offrire. Nel 1763, ed aveva solo 24 anni, acquista la collezione veneziana del console britannico Joseph Smith. La componevano cinquantaquattro opere di Canaletto, quarantadue di Marco Ricci, trentotto di Rosalba Carriera, trentasei di Zuccarelli, ventotto di Sebastiano Ricci, nove di Giuseppe Nogari, sei di Carlevariis e quattro di Pietro Longhi1. Nello stesso anno s’impadronisce dell’intera collezione del cardinale Alessandro Albani, pagandola tre mila e cinquecento sterline. Gli fa da intermediaria, per un compenso di 500 scudi, la contessa Cheroffini, l’amante del cardinale. Subito dopo decide di acquistare la collezione di disegni di Guercino, circa 800 fogli provenienti dalla bottega del pittore e conservati dagli eredi. Intanto riempiva di mobili, argenterie, ceramiche, orologi, tabacchiere le sue residenze, e alcune di queste egli stesso si dilettava a disegnare. Il principio imperante è quello dell’accumulazione. I diversi ambiti della formazione dell’erudito erano attestati da strumenti scientifici di varia epoca, ivi compresi i mappamondi, da strumenti musicali della tradizione occidentale ed etnografici, dai naturalia, per esempio i nautili o le uova di struzzo montate su artificiose oreficerie. Le scoperte geografiche facevano affluire in Occidente le espressioni artistiche e di costume di civiltà lontane ed esotiche, indirizzavano l’interesse per documenti etnografici, oggetti preziosi o curiosi, realizzati in avorio, in corno, in tartaruga, in piume d’uccelli. Pur avviandosi già i percorsi specialistici, era ancora possibile l’incontro tra la cultura artistica e quella scientifica, tra l’eredità della cultura greco-romana con quella giudaico-cristiana, con quella islamica, con quella dell’Estremo Oriente. Era quella un’Europa che non temeva di confrontarsi con le altre culture, consapevole della propria identità e questa consapevolezza emerge con particolare forza oggi, quando ci troviamo circondati dall’afasia identitaria. L’Europa incominciava con i vari Rinascimenti succedutisi dal Medio Evo al Quattrocento ad essere consapevole della propria storia e questa consapevolezza, oggi come allora, può essere l’ingrediente cruciale dell’identità, la premessa per il dialogo paritario con le altre identità.
2015
La collezione. Oggetti d’arte e d’artigianato della Fondazione Cassa di Risparmio di Imola
17
166
Salvare la memoria per conoscere la nostra identità e valorizzarla. Le raccolte della Fondazione Cassa di Risparmio di Imola, in La collezione. Oggetti d’arte e d’artigianato della Fondazione Cassa di Risparmio di Imola, a cura di M. Pigozzi, Imola, Fondazione Cassa di Risparmio/Editrice La Mandragora, 2015 / Pigozzi, Marinella. - STAMPA. - 1:(2015), pp. 1.17-1.166.
Pigozzi, Marinella
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