Nella progressiva specializzazione disciplinare dei settori dell’architettura e in un passaggio –quanto involontario?- di testimone che ha visto l’urbanistica divenire, per alcuni decenni, il solo intorno disciplinare responsabile per le scelte d’uso strategiche della città intera e delle parti che la compongono, l’importanza, la rilevanza di quel rapporto sono divenute meno chiare, meno evidenti. Il riavvio (se di riavvio vogliamo parlare) della riflessione attorno ai criteri con i quali il restauro si deve approcciare al problema della definizione degli usi da attribuire alle architetture già dismesse o sottoutilizzate, che ha segnato il passo negli ultimi anni, è assolutamente necessario. Si tratta di una problematica che, come detto sopra, è stata lasciata troppo a lungo esclusivamente nelle mani di altri intorni disciplinari; intorni disciplinari che, basandosi sull’analisi di criteri del tutto estranei a quelli a noi (che di restauro ci occupiamo) più familiari, di conoscenza profonda del bene da restaurare, hanno spesso condotto a situazioni di forte rischio, quando non a danni conclamati, per il patrimonio storico-architettonico . Come evidente, si tratta di situazioni assolutamente non accettabili, sia nell’ottica di tutela e salvaguardia del bene riconosciuto di interesse storico-culturale di cui al D. Lgs. 42/2004, sia, più nello specifico, in relazione ai contenuti dell’art. 6 soprariportato. Il contributo tenta di mettere a punto nell'ottica illustrata una metodologia per individuare le possibili funzioni a cui la ex Casa del Fascio può meglio essere destinata.
Marco Pretelli, Sara Di Resta, Francesco Delizia, Carla Di Francesco (2015). La Casa del Fascio di Predappio nel panorama del restauro dell'architettura contemporanea. Contributi per aiutare a scegliere. Bologna : Bonomia University Press.
La Casa del Fascio di Predappio nel panorama del restauro dell'architettura contemporanea. Contributi per aiutare a scegliere
PRETELLI, MARCO;DELIZIA, FRANCESCO;DI FRANCESCO, CARLA
2015
Abstract
Nella progressiva specializzazione disciplinare dei settori dell’architettura e in un passaggio –quanto involontario?- di testimone che ha visto l’urbanistica divenire, per alcuni decenni, il solo intorno disciplinare responsabile per le scelte d’uso strategiche della città intera e delle parti che la compongono, l’importanza, la rilevanza di quel rapporto sono divenute meno chiare, meno evidenti. Il riavvio (se di riavvio vogliamo parlare) della riflessione attorno ai criteri con i quali il restauro si deve approcciare al problema della definizione degli usi da attribuire alle architetture già dismesse o sottoutilizzate, che ha segnato il passo negli ultimi anni, è assolutamente necessario. Si tratta di una problematica che, come detto sopra, è stata lasciata troppo a lungo esclusivamente nelle mani di altri intorni disciplinari; intorni disciplinari che, basandosi sull’analisi di criteri del tutto estranei a quelli a noi (che di restauro ci occupiamo) più familiari, di conoscenza profonda del bene da restaurare, hanno spesso condotto a situazioni di forte rischio, quando non a danni conclamati, per il patrimonio storico-architettonico . Come evidente, si tratta di situazioni assolutamente non accettabili, sia nell’ottica di tutela e salvaguardia del bene riconosciuto di interesse storico-culturale di cui al D. Lgs. 42/2004, sia, più nello specifico, in relazione ai contenuti dell’art. 6 soprariportato. Il contributo tenta di mettere a punto nell'ottica illustrata una metodologia per individuare le possibili funzioni a cui la ex Casa del Fascio può meglio essere destinata.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.