Dopo una premessa che, attraverso le tesi di antropologi e di storici delle idee, si ribadisce che i miti sono soggetti nel tempo a elaborazioni e varianti anche profonde, il saggio segue la diffusione del mito di Prometeo, la cui interpretazione e il cui significato subiscono una netta svolta al principio dell’età moderna, tra Cinque e Seicento. Presso Esiodo, Eschilo e in generale nella cultura greco-romana Prometeo, pur rappresentando anche l’astuzia, l’intraprendenza, l’abilità, l’intelligenza, la generosità di chi ha donato il fuoco e le tecniche, costituisce soprattutto un esempio di hybris che ricorda quella della scalata all’Olimpo tentata dai titani, essendo Prometeo uno di loro, non ancora riconosciuto come uomo, ma come semi-dio ribelle. La sua irriverenza sacrilega, il ricorso all’inganno, la volontà di andare oltre i limiti ontologici concessi dagli dèi lo rendono simbolo di tracotanza, di superbia, di presunzione. Così è visto ancora in Properzio, in Ovidio, in Tertulliano, in Apuleio, in sant’Agostino, tutti concordi, sia pure con variazioni sul tema, nel condannarne la curiositas e l’intraprendenza. La condanna dunque si trasmette anche presso il cristianesimo, di cui è esemplare la formula di san Paolo: «noli altum sapere, sed time». Dante, che non conosceva a sufficienza il mito di Prometeo, lo sostituisce idealmente altre figure mitiche colpevoli di hybris, come Icaro, Fetonte e Ulisse, lungo una tradizione secolare che si spinge fino all’emblematica di Andrea Alciato. Dalla metà del Seicento comincia a notarsi una radicale inversione di tendenza, in quanto di Prometeo e di altre figure mitiche protagonisti di uguale hybris non si viene più a condannare l’audacia e la curiosità, ma anzi a esaltarle. Lo si vede in Erasmo, Pomponazzi, Bruno (che sostituisce a Prometeo Atteone), Bacone, Gassendi e negli alfieri della nuova scienza, dei quali Galileo è chiamato «un altro Prometeo». La nuova scienza, aprendosi agli orizzonti di sempre nuove attese fondate sull’idea di progresso indefinito, infrange gli inviolabili veti degli antichi, coltivando il mito della «terra incognita», nutrito di incessante desiderio, intima insoddisfazione e pulsione conoscitiva, di cui Prometeo diventa un archetipo tra i più significativi, in attesa del mito superomistico romantico e nietzscheano.

Il mito di Prometeo in età moderna: dal peccato di «hybris» alla virtù della «curiositas»

BATTISTINI, ANDREA
2015

Abstract

Dopo una premessa che, attraverso le tesi di antropologi e di storici delle idee, si ribadisce che i miti sono soggetti nel tempo a elaborazioni e varianti anche profonde, il saggio segue la diffusione del mito di Prometeo, la cui interpretazione e il cui significato subiscono una netta svolta al principio dell’età moderna, tra Cinque e Seicento. Presso Esiodo, Eschilo e in generale nella cultura greco-romana Prometeo, pur rappresentando anche l’astuzia, l’intraprendenza, l’abilità, l’intelligenza, la generosità di chi ha donato il fuoco e le tecniche, costituisce soprattutto un esempio di hybris che ricorda quella della scalata all’Olimpo tentata dai titani, essendo Prometeo uno di loro, non ancora riconosciuto come uomo, ma come semi-dio ribelle. La sua irriverenza sacrilega, il ricorso all’inganno, la volontà di andare oltre i limiti ontologici concessi dagli dèi lo rendono simbolo di tracotanza, di superbia, di presunzione. Così è visto ancora in Properzio, in Ovidio, in Tertulliano, in Apuleio, in sant’Agostino, tutti concordi, sia pure con variazioni sul tema, nel condannarne la curiositas e l’intraprendenza. La condanna dunque si trasmette anche presso il cristianesimo, di cui è esemplare la formula di san Paolo: «noli altum sapere, sed time». Dante, che non conosceva a sufficienza il mito di Prometeo, lo sostituisce idealmente altre figure mitiche colpevoli di hybris, come Icaro, Fetonte e Ulisse, lungo una tradizione secolare che si spinge fino all’emblematica di Andrea Alciato. Dalla metà del Seicento comincia a notarsi una radicale inversione di tendenza, in quanto di Prometeo e di altre figure mitiche protagonisti di uguale hybris non si viene più a condannare l’audacia e la curiosità, ma anzi a esaltarle. Lo si vede in Erasmo, Pomponazzi, Bruno (che sostituisce a Prometeo Atteone), Bacone, Gassendi e negli alfieri della nuova scienza, dei quali Galileo è chiamato «un altro Prometeo». La nuova scienza, aprendosi agli orizzonti di sempre nuove attese fondate sull’idea di progresso indefinito, infrange gli inviolabili veti degli antichi, coltivando il mito della «terra incognita», nutrito di incessante desiderio, intima insoddisfazione e pulsione conoscitiva, di cui Prometeo diventa un archetipo tra i più significativi, in attesa del mito superomistico romantico e nietzscheano.
2015
Le «borie» vichiane come paradigma euristico, Atti cdel convegno di Napoli (22-23 novembre 2012)191-208. http://www.ispf-lab.cnr.it/system/files/ispf_lab/quaderni/2015_q03/index.html
191
208
Battistini, Andrea
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/544705
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