I tentativi di studiare in termini storici o economici le culture della produzione nel cinema italiano, anche nella sua fase di (relativa) maggiore solidità industriale, si sono scontrati finora con una serie di limiti disciplinari e di impedimenti oggettivi. Da un lato la storia economica del cinema italiano del dopoguerra, quando non è stata narrata "dal basso" come "avventura", è stata concepita come estensione del dibattito politico e si è quindi concentrata sulle responsabilità istituzionali, sulla costituzione di reti clientelari e in generale sui legami diretti tra potere costituito e industria cinematografica (Rossi, Bernagozzi, Quaglietti). Dall'altro la difficoltà nel reperimento e nell'accesso a basi di datiattendibili e confrontabili (si pensi soltanto a quelli relativi agli incassi), nonché l'assenza di pratiche consolidate di trasmissione della memoria da parte delle realtà industriali o delle associazioni di categoria, che nella stragrande maggioranza dei casi non hanno conservato documentazioni cartacee relative al proprio operato, hanno spesso scoraggiato gli studiosi dall'intraprendere ricerche dedicate alle routine produttive o alle culture professionali. Le eccezioni non sono ovviamente mancate (si pensi agli studi di Farassino, Buccheri, Corsi, Venturini, Wagstaff, Di Chiara, o ai lavori prodotti nell'ambito del progetto di ricerca Prin 2002 "La tecnologia nel cinema, la tecnologia del cinema") e hanno per lo più illuminato situazioni locali e determinate, quali singole case di produzione, momenti di passaggio e di aggiornamento tecnologico (la diffusione del colore o dei formati panoramici), esperimenti produttivi e coproduttivi. Negli ultimi anni, tuttavia, agli archivi istituzionali già frequentati dagli studiosi (ACS, Cineteca Nazionale, CSC) si sono aggiunti repertori provenienti da privati (autori, sceneggiatori, produttori) e archivi creati da collezionisti che hanno assunto una dimensione istituzionale, come la Cineteca Lucana (che contiene, tra l'altro, un fondo documentale ceduto dall'ANICA), i quali permettono di ampliare la base di conoscenze sui fenomeni in questione. Lo scopo di questo articolo è quindi quello di offrire un campione di luoghi e di repertori di documenti che consentano di avviare una ricerca sulle culture della produzione nel cinema italiano dalla fine della Seconda Guerra Mondiale al 1965, anno di entrata in vigore della legge Corona. A tale ricognizione si affianca l'analisi di un caso ideale, quello del regista e operatore Mario Bava, per testare le possibilità di applicazione al panorama italiano delle ipotesi sull'autoetnografia dei professionisti del cinema elaborate da John T. Caldwell.
Noto, P., Di Chiara, F. (2016). Appunti per una storia un po' meno avventurosa. Produzione e cinema italiano 1945-1965.. Milano : Unicopli.
Appunti per una storia un po' meno avventurosa. Produzione e cinema italiano 1945-1965.
NOTO, PAOLO;
2016
Abstract
I tentativi di studiare in termini storici o economici le culture della produzione nel cinema italiano, anche nella sua fase di (relativa) maggiore solidità industriale, si sono scontrati finora con una serie di limiti disciplinari e di impedimenti oggettivi. Da un lato la storia economica del cinema italiano del dopoguerra, quando non è stata narrata "dal basso" come "avventura", è stata concepita come estensione del dibattito politico e si è quindi concentrata sulle responsabilità istituzionali, sulla costituzione di reti clientelari e in generale sui legami diretti tra potere costituito e industria cinematografica (Rossi, Bernagozzi, Quaglietti). Dall'altro la difficoltà nel reperimento e nell'accesso a basi di datiattendibili e confrontabili (si pensi soltanto a quelli relativi agli incassi), nonché l'assenza di pratiche consolidate di trasmissione della memoria da parte delle realtà industriali o delle associazioni di categoria, che nella stragrande maggioranza dei casi non hanno conservato documentazioni cartacee relative al proprio operato, hanno spesso scoraggiato gli studiosi dall'intraprendere ricerche dedicate alle routine produttive o alle culture professionali. Le eccezioni non sono ovviamente mancate (si pensi agli studi di Farassino, Buccheri, Corsi, Venturini, Wagstaff, Di Chiara, o ai lavori prodotti nell'ambito del progetto di ricerca Prin 2002 "La tecnologia nel cinema, la tecnologia del cinema") e hanno per lo più illuminato situazioni locali e determinate, quali singole case di produzione, momenti di passaggio e di aggiornamento tecnologico (la diffusione del colore o dei formati panoramici), esperimenti produttivi e coproduttivi. Negli ultimi anni, tuttavia, agli archivi istituzionali già frequentati dagli studiosi (ACS, Cineteca Nazionale, CSC) si sono aggiunti repertori provenienti da privati (autori, sceneggiatori, produttori) e archivi creati da collezionisti che hanno assunto una dimensione istituzionale, come la Cineteca Lucana (che contiene, tra l'altro, un fondo documentale ceduto dall'ANICA), i quali permettono di ampliare la base di conoscenze sui fenomeni in questione. Lo scopo di questo articolo è quindi quello di offrire un campione di luoghi e di repertori di documenti che consentano di avviare una ricerca sulle culture della produzione nel cinema italiano dalla fine della Seconda Guerra Mondiale al 1965, anno di entrata in vigore della legge Corona. A tale ricognizione si affianca l'analisi di un caso ideale, quello del regista e operatore Mario Bava, per testare le possibilità di applicazione al panorama italiano delle ipotesi sull'autoetnografia dei professionisti del cinema elaborate da John T. Caldwell.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.