Le tecnologie informatiche forniscono quella che si può definire una “nuova dimensione della realtà” poiché, aggregando e combinando (e quindi “creando”) dati, riducono la distinzione tra realtà e rappresentazione della realtà. I dati o, più in generale, i modelli delle cose che l’informatica crea, non restano confinati nel sistema informatico ma sono in continua interazione con il mondo fisico, generando in esso cambiamenti e conseguenze. Non solo il dato “reale” deve essere in qualche modo concettualizzato per essere trasposto in una sequenza di bit “maneggiabili” dal calcolatore, ma ogni rappresentazione informatica ha necessariamente un impatto, o retroazione, sulla realtà, un impatto che dipende da molte e successive elaborazioni. La convinzione che i dati non siano altro che il materiale grezzo, primitivo, dei sistemi informatici deve essere respinta: la rappresentazione informatica di un fatto (o di un problema, utilizzando un linguaggio informatico) della realtà fisica sotto forma di bit presuppone, anche nei casi più semplici, una concettualizzazione, anche implicita. Gli oggetti che “vivono” nel sistema informatico sono interpretati e descritti attraverso la mediazione degli schemi concettuali di chi ha realizzato il sistema, secondo precise scelte ontologiche. L’esplicitazione degli schemi concettuali alla base del dominio li rende inoltre elaborabili automaticamente, cosicché il contenuto concettuale diviene capace di autonoma operatività (ontologie computazionali). A partire dal dato fisico (reale) il sistema informatico costruisce un modello che lo rappresenta, in modo più o meno adeguato, secondo categorie e concettualizzazioni che fanno parte del sistema stesso (o di altri sistemi connessi), creando una nuovo modo di percepire il mondo fisico. Questo rapporto circolare non è nuovo in filosofia della scienza e richiama il rapporto tra le teorie scientifiche da un lato e l’osservazione empirica dall’altro. Il processo di collezione dei dati sperimentali spesso comporta l’uso di teorie (relative al dominio di esperienza, all’esperimento, al controllo e alla strumentazione): i dati che si ottengono in questo modo sono “reificazioni” di tali teorie o teorie reificate, per usare un termine bachelardiano. L’esperienza deve attraversare una griglia concettuale; la teoria non viene confrontata direttamente con i dati, ma i dati sono ricondotti in “forma canonica” alla teoria sulla base dei criteri specificati dal modello dell’esperimento e adattati e costruiti come “modelli di dati” (SUPPES, Models of Data, 1969). Ciò porta a concludere che, per la natura stessa degli oggetti informatici, non solo non può essere tracciata una linea di demarcazione tra reale e virtuale ma che gli artefatti informatici (le strutture dati, le classi, le istanze, gli algoritmi) costruiscono in qualche misura la realtà. Ma quali sono le conseguenze per il diritto? Le scelte concettuali alla base della progettazione dei sistemi informatici creano categorie e regole che non valgono solo per i processi computazionali ma incidono direttamente sul comportamento umano, esattamente come le norme giuridiche e sociali. Se da un lato la progettazione di infrastrutture informatiche che vincolino l’individuo a comportamenti corretti (si pensi, ad esempio, ai principi della privacy by design) può indurre a pensare a un superamento del diritto, non si può trascurare che gran parte dei processi computazionali opera in modo nascosto e coercitivo per l’utilizzatore. Il rapporto tra costruzione del dato informatico e ordinamento giuridico può quindi anche configurarsi come rapporto tra due forme di normazione, non necessariamente armonizzate o compatibili, dell’azione individuale.

Dati informatici e modelli dei dati. Verso “una nuova dimensione della realtà”

BRIGHI, RAFFAELLA
2015

Abstract

Le tecnologie informatiche forniscono quella che si può definire una “nuova dimensione della realtà” poiché, aggregando e combinando (e quindi “creando”) dati, riducono la distinzione tra realtà e rappresentazione della realtà. I dati o, più in generale, i modelli delle cose che l’informatica crea, non restano confinati nel sistema informatico ma sono in continua interazione con il mondo fisico, generando in esso cambiamenti e conseguenze. Non solo il dato “reale” deve essere in qualche modo concettualizzato per essere trasposto in una sequenza di bit “maneggiabili” dal calcolatore, ma ogni rappresentazione informatica ha necessariamente un impatto, o retroazione, sulla realtà, un impatto che dipende da molte e successive elaborazioni. La convinzione che i dati non siano altro che il materiale grezzo, primitivo, dei sistemi informatici deve essere respinta: la rappresentazione informatica di un fatto (o di un problema, utilizzando un linguaggio informatico) della realtà fisica sotto forma di bit presuppone, anche nei casi più semplici, una concettualizzazione, anche implicita. Gli oggetti che “vivono” nel sistema informatico sono interpretati e descritti attraverso la mediazione degli schemi concettuali di chi ha realizzato il sistema, secondo precise scelte ontologiche. L’esplicitazione degli schemi concettuali alla base del dominio li rende inoltre elaborabili automaticamente, cosicché il contenuto concettuale diviene capace di autonoma operatività (ontologie computazionali). A partire dal dato fisico (reale) il sistema informatico costruisce un modello che lo rappresenta, in modo più o meno adeguato, secondo categorie e concettualizzazioni che fanno parte del sistema stesso (o di altri sistemi connessi), creando una nuovo modo di percepire il mondo fisico. Questo rapporto circolare non è nuovo in filosofia della scienza e richiama il rapporto tra le teorie scientifiche da un lato e l’osservazione empirica dall’altro. Il processo di collezione dei dati sperimentali spesso comporta l’uso di teorie (relative al dominio di esperienza, all’esperimento, al controllo e alla strumentazione): i dati che si ottengono in questo modo sono “reificazioni” di tali teorie o teorie reificate, per usare un termine bachelardiano. L’esperienza deve attraversare una griglia concettuale; la teoria non viene confrontata direttamente con i dati, ma i dati sono ricondotti in “forma canonica” alla teoria sulla base dei criteri specificati dal modello dell’esperimento e adattati e costruiti come “modelli di dati” (SUPPES, Models of Data, 1969). Ciò porta a concludere che, per la natura stessa degli oggetti informatici, non solo non può essere tracciata una linea di demarcazione tra reale e virtuale ma che gli artefatti informatici (le strutture dati, le classi, le istanze, gli algoritmi) costruiscono in qualche misura la realtà. Ma quali sono le conseguenze per il diritto? Le scelte concettuali alla base della progettazione dei sistemi informatici creano categorie e regole che non valgono solo per i processi computazionali ma incidono direttamente sul comportamento umano, esattamente come le norme giuridiche e sociali. Se da un lato la progettazione di infrastrutture informatiche che vincolino l’individuo a comportamenti corretti (si pensi, ad esempio, ai principi della privacy by design) può indurre a pensare a un superamento del diritto, non si può trascurare che gran parte dei processi computazionali opera in modo nascosto e coercitivo per l’utilizzatore. Il rapporto tra costruzione del dato informatico e ordinamento giuridico può quindi anche configurarsi come rapporto tra due forme di normazione, non necessariamente armonizzate o compatibili, dell’azione individuale.
2015
Filosofia del diritto e nuove tecnologie. Prospettive di ricerca tra teoria e pratica
281
294
BRIGHI, RAFFAELLA
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/535390
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