Dell’acceso dibattito che a partire gli anni Settanta si sviluppò intorno al rinnovamento degli studi sul fascismo, viene tutt’ora offerta una rappresentazione ricorrente, che vede contrapporsi da una parte il lavoro di Renzo De Felice, teso al superamento di schematismi interpretativi e alla liberazione dal peso delle ideologie e, dall’altra, un canone antifascista irrigidito, che cercava la condanna del fascismo più che la reale comprensione delle sue radici. Si tratta di una rappresentazione incompleta, se non falsata. Contrariamente a quanto si è spesso sostenuto, infatti, contributi originali vennero anche da quell’area vasta e composita di studiosi che si ricollegavano apertamente alla cultura e alla progettualità dei vari segmenti della sinistra italiana. L’articolo prende in esame proprio i risultati raggiunti, tra anni Settanta e Ottanta, nello studio del fascismo, da quella che, con una locuzione generica, chiamiamo «storiografia di sinistra», fermando l’attenzione su quelle figure direttamente impegnate, con un ruolo più o meno di primo piano, nelle attività delle maggiori istituzioni culturali della sinistra politica, almeno in relazione alla ricerca storica: l’Istituto Gramsci, con la rivista «Studi Storici», filiazione diretta della politica culturale del Pci, e la rete degli istituti della Resistenza, raccolti intorno all’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (Insmli). Dopo aver preso in esame l’influenza esercitata dalla «scoperta», o riscoperta, delle analisi elaborate negli anni Trenta da Gramsci e Togliatti, ci si sofferma sui temi rispetto ai quali si registrarono le maggiori innovazioni interpretative: le basi di massa del fascismo; la cultura fascista e il ruolo degli intellettuali; la modernità del fascismo. I molteplici spunti emersi negli anni Settanta, tuttavia, non diedero luogo nel decennio successivo né a un’interpretazione complessiva né a un organico lavoro di ricostruzione. L’asprezza della polemica con De Felice, l’impatto del discorso storico promosso dai mass media, le divisioni interne e la crisi più generale delle culture della sinistra furono all’origine, negli anni Ottanta, di un crescente rinserrarsi entro i confini dello specialismo e nelle certezze di un paradigma interpretativo consolidato (il «canone antifascista»), ma sempre meno capace di intercettare le nuove esigenze di conoscenza.
Alessio Gagliardi (2015). Innovazioni e reticenze della storiografia di sinistra nello studio del fascismo. Roma : Carocci.
Innovazioni e reticenze della storiografia di sinistra nello studio del fascismo
GAGLIARDI, ALESSIO
2015
Abstract
Dell’acceso dibattito che a partire gli anni Settanta si sviluppò intorno al rinnovamento degli studi sul fascismo, viene tutt’ora offerta una rappresentazione ricorrente, che vede contrapporsi da una parte il lavoro di Renzo De Felice, teso al superamento di schematismi interpretativi e alla liberazione dal peso delle ideologie e, dall’altra, un canone antifascista irrigidito, che cercava la condanna del fascismo più che la reale comprensione delle sue radici. Si tratta di una rappresentazione incompleta, se non falsata. Contrariamente a quanto si è spesso sostenuto, infatti, contributi originali vennero anche da quell’area vasta e composita di studiosi che si ricollegavano apertamente alla cultura e alla progettualità dei vari segmenti della sinistra italiana. L’articolo prende in esame proprio i risultati raggiunti, tra anni Settanta e Ottanta, nello studio del fascismo, da quella che, con una locuzione generica, chiamiamo «storiografia di sinistra», fermando l’attenzione su quelle figure direttamente impegnate, con un ruolo più o meno di primo piano, nelle attività delle maggiori istituzioni culturali della sinistra politica, almeno in relazione alla ricerca storica: l’Istituto Gramsci, con la rivista «Studi Storici», filiazione diretta della politica culturale del Pci, e la rete degli istituti della Resistenza, raccolti intorno all’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (Insmli). Dopo aver preso in esame l’influenza esercitata dalla «scoperta», o riscoperta, delle analisi elaborate negli anni Trenta da Gramsci e Togliatti, ci si sofferma sui temi rispetto ai quali si registrarono le maggiori innovazioni interpretative: le basi di massa del fascismo; la cultura fascista e il ruolo degli intellettuali; la modernità del fascismo. I molteplici spunti emersi negli anni Settanta, tuttavia, non diedero luogo nel decennio successivo né a un’interpretazione complessiva né a un organico lavoro di ricostruzione. L’asprezza della polemica con De Felice, l’impatto del discorso storico promosso dai mass media, le divisioni interne e la crisi più generale delle culture della sinistra furono all’origine, negli anni Ottanta, di un crescente rinserrarsi entro i confini dello specialismo e nelle certezze di un paradigma interpretativo consolidato (il «canone antifascista»), ma sempre meno capace di intercettare le nuove esigenze di conoscenza.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.