La ricerca, nel contributo di Beatrice Borghi, assume il valore di un vero viaggio intellettuale, che risponde a un’esigenza precisa: interrogare, porre quesiti, cercare risposte. È questo l’approccio, la predisposizione, che deve caratterizzare la relazione in presenza tra le testimonianze del patrimonio culturale e coloro che ne fanno esperienza. Il museo – e così la biblioteca e l’archivio – propongono un “modo di vedere” , una porzione del sapere, che per essere compresa deve essere interrogata ed esplorata con l’attitudine della curiosità intelligente, che non ha requie e non si pone limiti, in quanto generativa di altri interrogativi e dunque di ulteriori ricerche. Mettendo in risonanza ciò che già si sa o si sa fare, arricchendo il vissuto personale, fornendo indizi preziosi per proseguire in altri contesti, anche in autonomia, rispetto a quanto intrapreso. Purtroppo tale approccio non è pratica abituale in ambito scolastico-formativo, poiché non si sollecita l’allievo a essere attore del percorso di ricerca, ma solo destinatario passivo di preconfezionate porzioni di conoscenza. Nell’esempio delle fasi di un itinerario di ricerca storica da condurre in ambito scolastico Beatrice Borghi ricompone il tracciato delle azioni imprescindibili: dalla problematizzazione, alla predisposizione delle modalità di lavoro diretto con le fonti, all’organizzazione rigorosa degli esiti. Prestando attenzione agli interessi degli allievi, alla motivazione che muove la loro intraprendenza a condurre un’indagine attiva. All’interno di quest’esperienza, l’insegnante è il mediatore sia del sapere esperto, poiché ne cura la selezione e la trasposizione, sia in quanto facilitatore della relazione tra la messe di tracce, di indizi, informazioni e gli alunni-attori. Beatrice Borghi afferma che: “siamo noi stessi la fonte più importante della nostra storia: siamo il visibile e l’invisibile e la nostra conoscenza è l’inizio di un’attività di ricerca volta a scoprire e a far riaffiorare la sedimentazione di tracce che sono in noi, che nei millenni si sono stratificate e che ci hanno accompagnato fino al presente ” e la didattica laboratoriale è “spazio di esperienza”, una sorta di “officina” attrezzata, all’interno della quale insegnanti e allievi si preoccupano di investigare, comparare, ricomporre quadri di contesto, costruire ... Ponendo al centro la consapevolezza dell’operatività assunta: perché si fa, cosa si fa, come si fa, sviluppando dunque capacità autoriflessive riguardo al sapere e al saper fare. Ed è proprio questa consapevolezza che deve caratterizzare ogni esperienza laboratoriale, anche all’interno di un museo, a diretto contatto con il patrimonio culturale. Un richiamo importante presente nel saggio e quello inerente il raccordo condiviso che a livello formativo si deve attuare tra università, scuola e territorio, e a livello esperienziale, attivando il partenariato tra istituzioni scolastiche e istituzioni culturali. Una questione cruciale, di inevitabile attualità per l’educazione al patrimonio culturale, è l’impiego delle tecnologie e dei linguaggi che le caratterizzano; esse infatti non devono sostituire l’esperienza in stretta relazione con le testimonianze del patrimonio culturale, sviluppando nel cittadino in formazione la consapevolezza della profonda “differenza” tra ciò che è autentico e ciò che ne costituisce la rappresentazione e la trasposizione virtuale (sovente accattivante e facile). L’utilizzo delle tecnologie è il tema-problema più attuale e controverso inerente quello ben più ampio della comunicazione all’interno del museo, che implica il pensiero riflessivo sulla relazione tra museo-patrimonio, pubblici, paradigmi, modalità, linguaggi di trasmissione dei saperi. Il museo è il pubblico, con l’accento forte e marcato può sembrare un’asserzione anche azzardata, una dichiarazione sbilanciata in modo eccessivo solo verso i destinatari e non considerando l’istituzione, il patrimonio. Non è questo l’intento, bensì sottolineare quanto la vita stessa del museo e del patrimonio culturale sia possibile solo se i pubblici ne sono complici, interessati e attivi nel costruire l’attualità del suo significato. Un approdo importante della sinergia che si attiva tra scuola e museo – di cui sovente non si sottolinea la rilevanza – è il valore di ripensamento in chiave innovativa per le didattiche delle diverse discipline, approdo felice e proficuo di una progettazione meditata e concertata, che genera nel contempo un’esperienza di ricerca-azione per vivere negli spazi della propria città, “aprendo gli occhi” (e la mente) sul nostro quotidiano paesaggio culturale, non con “attenzione distratta”, pratica diffusa. In chiusura del saggio, Beatrice Borghi pone alcune pietre angolari dell’educazione patrimonio, intesa quale educazione alla cittadinanza e all’esercizio dei diritti culturali, strettamente vincolati alla messa in atto di politiche responsabili, costanti e non straordinarie, che garantiscano le condizioni per attuare esperienze educative nel segno della continuità, ordinarie e non “eccezionali” poiché affidate solo all’impegno di insegnanti, conservatori ed esperti: una comunità coraggiosa e corsara, che vive con affanno e difficoltà il proprio mandato istituzionale.

L'uso delle fonti nella didattica della storia e del patrimonio / Borghi, Beatrice. - STAMPA. - (2014), pp. 63-88.

L'uso delle fonti nella didattica della storia e del patrimonio

BORGHI, BEATRICE
2014

Abstract

La ricerca, nel contributo di Beatrice Borghi, assume il valore di un vero viaggio intellettuale, che risponde a un’esigenza precisa: interrogare, porre quesiti, cercare risposte. È questo l’approccio, la predisposizione, che deve caratterizzare la relazione in presenza tra le testimonianze del patrimonio culturale e coloro che ne fanno esperienza. Il museo – e così la biblioteca e l’archivio – propongono un “modo di vedere” , una porzione del sapere, che per essere compresa deve essere interrogata ed esplorata con l’attitudine della curiosità intelligente, che non ha requie e non si pone limiti, in quanto generativa di altri interrogativi e dunque di ulteriori ricerche. Mettendo in risonanza ciò che già si sa o si sa fare, arricchendo il vissuto personale, fornendo indizi preziosi per proseguire in altri contesti, anche in autonomia, rispetto a quanto intrapreso. Purtroppo tale approccio non è pratica abituale in ambito scolastico-formativo, poiché non si sollecita l’allievo a essere attore del percorso di ricerca, ma solo destinatario passivo di preconfezionate porzioni di conoscenza. Nell’esempio delle fasi di un itinerario di ricerca storica da condurre in ambito scolastico Beatrice Borghi ricompone il tracciato delle azioni imprescindibili: dalla problematizzazione, alla predisposizione delle modalità di lavoro diretto con le fonti, all’organizzazione rigorosa degli esiti. Prestando attenzione agli interessi degli allievi, alla motivazione che muove la loro intraprendenza a condurre un’indagine attiva. All’interno di quest’esperienza, l’insegnante è il mediatore sia del sapere esperto, poiché ne cura la selezione e la trasposizione, sia in quanto facilitatore della relazione tra la messe di tracce, di indizi, informazioni e gli alunni-attori. Beatrice Borghi afferma che: “siamo noi stessi la fonte più importante della nostra storia: siamo il visibile e l’invisibile e la nostra conoscenza è l’inizio di un’attività di ricerca volta a scoprire e a far riaffiorare la sedimentazione di tracce che sono in noi, che nei millenni si sono stratificate e che ci hanno accompagnato fino al presente ” e la didattica laboratoriale è “spazio di esperienza”, una sorta di “officina” attrezzata, all’interno della quale insegnanti e allievi si preoccupano di investigare, comparare, ricomporre quadri di contesto, costruire ... Ponendo al centro la consapevolezza dell’operatività assunta: perché si fa, cosa si fa, come si fa, sviluppando dunque capacità autoriflessive riguardo al sapere e al saper fare. Ed è proprio questa consapevolezza che deve caratterizzare ogni esperienza laboratoriale, anche all’interno di un museo, a diretto contatto con il patrimonio culturale. Un richiamo importante presente nel saggio e quello inerente il raccordo condiviso che a livello formativo si deve attuare tra università, scuola e territorio, e a livello esperienziale, attivando il partenariato tra istituzioni scolastiche e istituzioni culturali. Una questione cruciale, di inevitabile attualità per l’educazione al patrimonio culturale, è l’impiego delle tecnologie e dei linguaggi che le caratterizzano; esse infatti non devono sostituire l’esperienza in stretta relazione con le testimonianze del patrimonio culturale, sviluppando nel cittadino in formazione la consapevolezza della profonda “differenza” tra ciò che è autentico e ciò che ne costituisce la rappresentazione e la trasposizione virtuale (sovente accattivante e facile). L’utilizzo delle tecnologie è il tema-problema più attuale e controverso inerente quello ben più ampio della comunicazione all’interno del museo, che implica il pensiero riflessivo sulla relazione tra museo-patrimonio, pubblici, paradigmi, modalità, linguaggi di trasmissione dei saperi. Il museo è il pubblico, con l’accento forte e marcato può sembrare un’asserzione anche azzardata, una dichiarazione sbilanciata in modo eccessivo solo verso i destinatari e non considerando l’istituzione, il patrimonio. Non è questo l’intento, bensì sottolineare quanto la vita stessa del museo e del patrimonio culturale sia possibile solo se i pubblici ne sono complici, interessati e attivi nel costruire l’attualità del suo significato. Un approdo importante della sinergia che si attiva tra scuola e museo – di cui sovente non si sottolinea la rilevanza – è il valore di ripensamento in chiave innovativa per le didattiche delle diverse discipline, approdo felice e proficuo di una progettazione meditata e concertata, che genera nel contempo un’esperienza di ricerca-azione per vivere negli spazi della propria città, “aprendo gli occhi” (e la mente) sul nostro quotidiano paesaggio culturale, non con “attenzione distratta”, pratica diffusa. In chiusura del saggio, Beatrice Borghi pone alcune pietre angolari dell’educazione patrimonio, intesa quale educazione alla cittadinanza e all’esercizio dei diritti culturali, strettamente vincolati alla messa in atto di politiche responsabili, costanti e non straordinarie, che garantiscano le condizioni per attuare esperienze educative nel segno della continuità, ordinarie e non “eccezionali” poiché affidate solo all’impegno di insegnanti, conservatori ed esperti: una comunità coraggiosa e corsara, che vive con affanno e difficoltà il proprio mandato istituzionale.
2014
Fonti del sapere. Didattica ed educazione al patrimonio culturale
63
88
L'uso delle fonti nella didattica della storia e del patrimonio / Borghi, Beatrice. - STAMPA. - (2014), pp. 63-88.
Borghi, Beatrice
File in questo prodotto:
Eventuali allegati, non sono esposti

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/528034
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact