La questione su cui il presente saggio si sofferma è la crescente difficoltà a precisare i confini, empirici e concettuali, del lavorare contemporaneo. Il nesso tra produzione e soggettività pare, infatti, oggi caratterizzarsi in modo rovesciato rispetto al passato: la seconda è divenuta, infatti, una condizione indispensabile per generare ricchezza e non più un fattore da trattenere e annichilire all’interno della fabbricazione in serializzate e oggettivabili operazioni macchiniche. L’esplosione delle soggettività nelle prassi produttive è poi anche l’esito del diffondersi di una vera e propria passione che attraversa e anima le biografie del lavoro vivo contemporaneo. Il crescente desiderio di autonomia e il definirsi di un proprio sapere di autoproduzione che animano la soggettività contemporanea al lavoro paiono, allora, scrivere la storia sociale di un’inedita e tenace linea di fuga dall’alveo della società salariale. Il lavoro, inteso nella società industriale come imprescindibile componente di valorizzazione del Capitale, è infatti oggi attraversato da profonde e radicali trasformazioni, sia formali che materiali, che lo portano a confondersi e a intrecciarsi, sempre di più, con l’esercizio sociale di altre attività (lavoro di cura, tempo libero, consumo, formazione). La crescente difficoltà a perimetrare in uno spazio sociale definito e privilegiato l’energia di valorizzazione di cui abbisogna il capitalismo (oggi postfordista) per estrarre plusvalore, non ha però a che fare solamente con un mero esercizio analitico, ma è immediatamente anche una questione politica, che pone alla ribalta, sotto le vesti della precarizzazione generalizzata e della finanziarizzazione di ogni attività umana, lo scottante problema dello sfruttamento della vita tout court, senza più alcuna mediazione sociale e/o istituzionale. È questo uno degli aspetti più inquietanti dell’affermazione del paradigma di accumulazione bioeconomica: il farsi irrisorio della distanza tra vita e razionalità economica. La questione investe e contagia di profonda incertezza ed aleatorietà non solo l’esperienza soggettiva del lavorare ma la vita sociale nel suo complesso. Le norme e le discipline che in passato hanno garantito, nel bene e nel male, una certa consistenza sociale e giuridica del lavoro, paiono oggi immediatamente incomplete. Il contratto del lavoro ad esempio diviene un ambito normativo sempre più opaco e umbratile, che intercetta, riconosce in termini di reddito e regola solo una minima parte delle qualità del lavoro vivo che sono oggi mobilitate e richieste nelle attività di produzione del capitalismo digitale e delle sempre più rilevanti industrie della creatività che qui vengono in particolare indagate per meglio rintracciare le principali caratteristiche del lavoro nella società capitalistica attuale.

Chicchi, F., Turrini, M. (2015). Lisciature e striature del capitalismo cognitivo. Percorsi di autonomia professionale e spazi espressivi della precarietà nel "distretto del piacere". Verona : ombre corte.

Lisciature e striature del capitalismo cognitivo. Percorsi di autonomia professionale e spazi espressivi della precarietà nel "distretto del piacere"

Chicchi Federico;
2015

Abstract

La questione su cui il presente saggio si sofferma è la crescente difficoltà a precisare i confini, empirici e concettuali, del lavorare contemporaneo. Il nesso tra produzione e soggettività pare, infatti, oggi caratterizzarsi in modo rovesciato rispetto al passato: la seconda è divenuta, infatti, una condizione indispensabile per generare ricchezza e non più un fattore da trattenere e annichilire all’interno della fabbricazione in serializzate e oggettivabili operazioni macchiniche. L’esplosione delle soggettività nelle prassi produttive è poi anche l’esito del diffondersi di una vera e propria passione che attraversa e anima le biografie del lavoro vivo contemporaneo. Il crescente desiderio di autonomia e il definirsi di un proprio sapere di autoproduzione che animano la soggettività contemporanea al lavoro paiono, allora, scrivere la storia sociale di un’inedita e tenace linea di fuga dall’alveo della società salariale. Il lavoro, inteso nella società industriale come imprescindibile componente di valorizzazione del Capitale, è infatti oggi attraversato da profonde e radicali trasformazioni, sia formali che materiali, che lo portano a confondersi e a intrecciarsi, sempre di più, con l’esercizio sociale di altre attività (lavoro di cura, tempo libero, consumo, formazione). La crescente difficoltà a perimetrare in uno spazio sociale definito e privilegiato l’energia di valorizzazione di cui abbisogna il capitalismo (oggi postfordista) per estrarre plusvalore, non ha però a che fare solamente con un mero esercizio analitico, ma è immediatamente anche una questione politica, che pone alla ribalta, sotto le vesti della precarizzazione generalizzata e della finanziarizzazione di ogni attività umana, lo scottante problema dello sfruttamento della vita tout court, senza più alcuna mediazione sociale e/o istituzionale. È questo uno degli aspetti più inquietanti dell’affermazione del paradigma di accumulazione bioeconomica: il farsi irrisorio della distanza tra vita e razionalità economica. La questione investe e contagia di profonda incertezza ed aleatorietà non solo l’esperienza soggettiva del lavorare ma la vita sociale nel suo complesso. Le norme e le discipline che in passato hanno garantito, nel bene e nel male, una certa consistenza sociale e giuridica del lavoro, paiono oggi immediatamente incomplete. Il contratto del lavoro ad esempio diviene un ambito normativo sempre più opaco e umbratile, che intercetta, riconosce in termini di reddito e regola solo una minima parte delle qualità del lavoro vivo che sono oggi mobilitate e richieste nelle attività di produzione del capitalismo digitale e delle sempre più rilevanti industrie della creatività che qui vengono in particolare indagate per meglio rintracciare le principali caratteristiche del lavoro nella società capitalistica attuale.
2015
Precariato. Forme e critica della condizione precaria
46
62
Chicchi, F., Turrini, M. (2015). Lisciature e striature del capitalismo cognitivo. Percorsi di autonomia professionale e spazi espressivi della precarietà nel "distretto del piacere". Verona : ombre corte.
Chicchi, Federico; Turrini, Mauro
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/526924
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