La prima parte del contributo prende in esame i documenti nei quali verrà articolandosi in Oriente, nel corso del IX secolo, la polemica contro l’inserzione nel simbolo di fede niceno-costantinopolitano, in alcune chiese occidentali, dell’addizione “Filioque”, per esprimere la relazione d’origine dello Spirito Santo anche dal Figlio, oltre che dal Padre. Il primo di essi, l’horos del concilio di Santa Sofia dell’879-880, viene riconosciuto come autentico e l’autore ritiene che esso condanni sia l’addizione al Credo sia la dottrina in sé della processione dello Spirito ab utroque. Lo fa tuttavia in termini generici, in primo luogo per non turbare lo spirito conciliante di questo “concilio d’unione” e poi anche con il probabile intento di favorire nella Chiesa romana la reazione contro le tendenze “filioquiste” della sua componente filo-franca (in termini quasi paradossali, Fozio, l’anima di quel concilio, sottostimava l’impatto dottrinale del “Filioque” in Occidente, perché evidentemente sovrastimava il peso, sempre in Occidente, del primato romano. Quando il rifiuto romano di inserire l’addizione nel Credo verrà meno, cioè verosimilmente all’inizio del secondo decennio dell’XI secolo, verrà meno anche la comunione gerarchica e sacramentale tra le due Chiese (si parla a questo proposito dello “scisma dei due Sergi”, perché in quel momento il papa ed il patriarca di Costantinopoli portavano questo stesso nome). Dai documenti relativi allo scontro del 1054 si deduce poi che proprio questa alterazione della professione di fede comune era stata la causa della divisione che, all’inizio del secolo XI, aveva rotto l’unità della Chiesa. Anche la corrispondenza irenica del patriarca Pietro III di Antiochia diretta ai protagonisti dello scontro, mentre assolve i Latini da molte delle accuse rivolte loro dal patriarca Michele Cerulario, ammette che la sola colpa dei Latini, assolutamente imperdonabile, è proprio l’addizione del “Filioque” al Simbolo. L’autore sostiene la tesi che la dottrina del “Filioque” sia un theologoumenon, cioè una legittima opinione teologica, ma non una verità di fede, in quanto non dogmatizzata dalla Chiesa unità del primo millennio, e conclude auspicando – nello spirito pacificatore a suo tempo testimoniato da Pietro di Antiochia – che entrambe le Chiese, cattolica ed ortodossa, riconoscano come VIII concilio ecumenico quello di S. Sofia dell’879-880, perché esso, con la solenne dichiarazione della liceità per le due Chiese di seguire ciascuna le sue consuetudini, le autorizza implicitamente a seguire le proprie diverse tradizioni teologiche, ritornando ad esprimere l’unità della fede, nella recita comune del testo originale della professione di fede di Nicea-Costantinopoli, senza l’incriminata addizione.

Il Filioque nella crisi foziana e negli avvenimenti del 1054

MORINI, ENRICO
2015

Abstract

La prima parte del contributo prende in esame i documenti nei quali verrà articolandosi in Oriente, nel corso del IX secolo, la polemica contro l’inserzione nel simbolo di fede niceno-costantinopolitano, in alcune chiese occidentali, dell’addizione “Filioque”, per esprimere la relazione d’origine dello Spirito Santo anche dal Figlio, oltre che dal Padre. Il primo di essi, l’horos del concilio di Santa Sofia dell’879-880, viene riconosciuto come autentico e l’autore ritiene che esso condanni sia l’addizione al Credo sia la dottrina in sé della processione dello Spirito ab utroque. Lo fa tuttavia in termini generici, in primo luogo per non turbare lo spirito conciliante di questo “concilio d’unione” e poi anche con il probabile intento di favorire nella Chiesa romana la reazione contro le tendenze “filioquiste” della sua componente filo-franca (in termini quasi paradossali, Fozio, l’anima di quel concilio, sottostimava l’impatto dottrinale del “Filioque” in Occidente, perché evidentemente sovrastimava il peso, sempre in Occidente, del primato romano. Quando il rifiuto romano di inserire l’addizione nel Credo verrà meno, cioè verosimilmente all’inizio del secondo decennio dell’XI secolo, verrà meno anche la comunione gerarchica e sacramentale tra le due Chiese (si parla a questo proposito dello “scisma dei due Sergi”, perché in quel momento il papa ed il patriarca di Costantinopoli portavano questo stesso nome). Dai documenti relativi allo scontro del 1054 si deduce poi che proprio questa alterazione della professione di fede comune era stata la causa della divisione che, all’inizio del secolo XI, aveva rotto l’unità della Chiesa. Anche la corrispondenza irenica del patriarca Pietro III di Antiochia diretta ai protagonisti dello scontro, mentre assolve i Latini da molte delle accuse rivolte loro dal patriarca Michele Cerulario, ammette che la sola colpa dei Latini, assolutamente imperdonabile, è proprio l’addizione del “Filioque” al Simbolo. L’autore sostiene la tesi che la dottrina del “Filioque” sia un theologoumenon, cioè una legittima opinione teologica, ma non una verità di fede, in quanto non dogmatizzata dalla Chiesa unità del primo millennio, e conclude auspicando – nello spirito pacificatore a suo tempo testimoniato da Pietro di Antiochia – che entrambe le Chiese, cattolica ed ortodossa, riconoscano come VIII concilio ecumenico quello di S. Sofia dell’879-880, perché esso, con la solenne dichiarazione della liceità per le due Chiese di seguire ciascuna le sue consuetudini, le autorizza implicitamente a seguire le proprie diverse tradizioni teologiche, ritornando ad esprimere l’unità della fede, nella recita comune del testo originale della professione di fede di Nicea-Costantinopoli, senza l’incriminata addizione.
2015
Il Filioque. A mille anni dal suo inserimento nel Credo a Roma (1014-2014)
39
63
Morini, Enrico
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