Tra le prime immagini della storia della fotografia si trovano delle tavole imbandite. Quando finalmente, dopo esperimenti fallimentari e secolari diatribe scientifiche, l’uomo moderno compie i passi decisivi verso la scoperta che avrebbe cambiato i modi e le dinamiche degli sguardi sul mondo che gli ruotava attorno, sono gli oggetti e le situazioni della quotidianità banale a diventare protagonisti della nuova magia della tecnica. Rivelando il mistero di catturare la realtà imprigionandola dentro a una scatola (la moglie dell’inventore inglese Henry Fox Talbot chiamava “trappola per topi” la camera oscura con cui il marito trafficava tutto il giorno), istintivamente i pionieri della fotografia rivolgono i loro dispositivi verso ciò che di più facile e immediato hanno sotto agli occhi: la veduta da una finestra della casa di famiglia, una scopa, un pagliaio, degli oggetti inanimati e, appunto, una tavola apparecchiata. La scelta del banale quotidiano non era naturalmente solo una questione di semplicità e di comodo. Decidere di focalizzare la propria attenzione e orientare l’obiettivo della propria camera oscura verso la realtà di tutti i giorni significava sostanzialmente andare incontro “naturalmente” alla filosofia con la quale era nato il nuovo mezzo, e cioè fornire all’uomo la possibilità di studiare, documentare e memorizzare il mondo nella sua essenza visibile. Per la prima volta era pensabile l’atto di conservare in immagine tutto ciò sul quale si poteva genericamente posare lo sguardo (e anche di più, visto che anche la volta celeste diviene uno dei soggetti della nuova applicazioni della fotografia astronomica). Ma oltre alle questioni relative alla filosofia del mezzo, sussistevano anche determinanti problematiche tecniche che rendevano assai limitata la scelta dei soggetti della preistoria della fotografia.

Fotografia. La pescivendola di Benjamin

MARRA, CLAUDIO;MUZZARELLI, FEDERICA
2015

Abstract

Tra le prime immagini della storia della fotografia si trovano delle tavole imbandite. Quando finalmente, dopo esperimenti fallimentari e secolari diatribe scientifiche, l’uomo moderno compie i passi decisivi verso la scoperta che avrebbe cambiato i modi e le dinamiche degli sguardi sul mondo che gli ruotava attorno, sono gli oggetti e le situazioni della quotidianità banale a diventare protagonisti della nuova magia della tecnica. Rivelando il mistero di catturare la realtà imprigionandola dentro a una scatola (la moglie dell’inventore inglese Henry Fox Talbot chiamava “trappola per topi” la camera oscura con cui il marito trafficava tutto il giorno), istintivamente i pionieri della fotografia rivolgono i loro dispositivi verso ciò che di più facile e immediato hanno sotto agli occhi: la veduta da una finestra della casa di famiglia, una scopa, un pagliaio, degli oggetti inanimati e, appunto, una tavola apparecchiata. La scelta del banale quotidiano non era naturalmente solo una questione di semplicità e di comodo. Decidere di focalizzare la propria attenzione e orientare l’obiettivo della propria camera oscura verso la realtà di tutti i giorni significava sostanzialmente andare incontro “naturalmente” alla filosofia con la quale era nato il nuovo mezzo, e cioè fornire all’uomo la possibilità di studiare, documentare e memorizzare il mondo nella sua essenza visibile. Per la prima volta era pensabile l’atto di conservare in immagine tutto ciò sul quale si poteva genericamente posare lo sguardo (e anche di più, visto che anche la volta celeste diviene uno dei soggetti della nuova applicazioni della fotografia astronomica). Ma oltre alle questioni relative alla filosofia del mezzo, sussistevano anche determinanti problematiche tecniche che rendevano assai limitata la scelta dei soggetti della preistoria della fotografia.
2015
Il cibo nelle arti e nella cultura
141
155
C. Marra; F. Muzzarelli
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